LA SERA DI PARMA: PERCHE’ ALL’ITALIA MANCA L’IMPRENDITORIA DI CUI AVREBBE BISOGNO

LE CAUSE DELLA NOSTRA CHIUSURA AGLI INVESTIMENTI STRANIERI, MA ANCHE DELLE DIFFICOLTA’ DELL’IMPRENDITORIA NOSTRANA – E QUALCHE INDICAZIONE SU COME USCIRNE

Intervista a Massimo Capuccini pubblicata su La Sera di Parma l’11 marzo 2011, in occasione di un incontro pubblico nel quale i temi qui discussi sono stati al centro del dibattito

Partiamo dal tema del convegno: “come riaprire il mercato del lavoro alle nuove generazioni”. Qual è la sua risposta?
Oggi il nostro mercato del lavoro è caratterizzato da un regime di vero e proprio apartheid tra protetti e non protetti. Questo regime costituisce l’effetto di un diritto del lavoro molto rigido, strutturato in modo tale, che può applicarsi soltanto a metà della nostra forza-lavoro: tutta la flessibilità di cui il sistema ha bisogno si scarica, così, sull’altra metà.

Come si supera questo dualismo?
Occorre riscrivere il diritto del lavoro; delineare un ordinamento che sia realmente suscettibile di applicarsi a tutti. Si può pensare di lasciare la vecchia disciplina per tutti i contratti di lavoro stipulati prima d’ora; ma da qui in avanti, a tutti i nuovi rapporti si applica la nuova disciplina.

Facile a dirsi.
Io, però, ho anche mostrato come si può fare. I disegni di legge n. 1872 e 1873/2009, firmati con me da altri 54 senatori, mirano a sostituire tutta la legislazione sui rapporti individuali e collettivi di lavoro oggi vigente con un nuovo Codice del lavoro semplificato, composto di soli 70 articoli, tutti scritti in modo estremamente semplice e facilmente traducibili in inglese.

In sintesi?
L’idea di fondo è che, se si escludono i casi classici di contratto a termine, tutti i nuovi rapporti di lavoro siano a tempo indeterminato; ma che nessuno dei nuovi assunti sia inamovibile. La protezione forte, di tipo tradizionale, sarà soltanto quella antidiscriminatoria. In cambio della libertà di licenziamento per motivi economici od organizzativi, l’impresa dovrà garantire ai lavoratori licenziati, con più di due anni di anzianità di servizio, un trattamento complementare di disoccupazione crescente con l’anzianità e un servizio di assistenza intensiva per la ricerca della nuova occupazione.

A otto anni dalla sua approvazione come giudica la legge Biagi?
Quella legge ha proseguito la riforma avviata con la legge Treu del 1997. Certamente non è tra le cause dell’aumento della quota di lavoro precario registratasi nell’ultimo decennio. Altrettanto certamente essa non ha neppure risolto il problema del dualismo del mercato del lavoro di cui abbiamo parlato sopra.

Secondo autorevoli esperti il mercato del lavoro si rimette in moto anche favorendo la nascita di un’imprenditoria giovane, fatta di idee, coraggio e voglia di mettersi in gioco. Cosa ne pensa?
Questo è sicuramente vero. Ma la leva più importante su cui noi oggi dovremmo agire consiste nell’apertura del nostro Paese agli investimenti stranieri. Su questo terreno siamo penultimi in Europa: peggio di noi fa soltanto la Grecia. Se fossimo capaci di attirare capitali in proporzione a quanto avviene in un Paese mediano, come l’Olanda, avremmo ogni anno circa 57 miliardi di investimenti stranieri in più rispetto a oggi. Che porterebbero non soltanto domanda aggiuntiva di manodopera, ma anche piani industriali innovativi.

Nel mondo dell’impresa esiste un problema di passaggio generazionale nella classe dirigente. Rischiamo di veder sparire imprese sane e competitive solo perché non si è trovato un degno successore alla guida dell’azienda?
Questo è un altro effetto della nostra chiusura agli investimenti stranieri. Gli italiani sono l’uno per cento della popolazione mondiale: se ci chiudiamo all’imprenditoria straniera, perdiamo il 99 per cento delle risorse imprenditoriali di cui potremmo disporre.

Tassazione alta e accesso al credito, se si intervista un imprenditore, questi due temi sembrano essere il vero fattore che impedisce il rilancio delle aziende. Si tratta di pretesti o ci sono elementi che oggettivamente ostacolano il fare impresa?
Tassazione più alta che altrove e accesso al credito costituiscono sicuramente due ostacoli gravi. Ma ci metterei anche una burocrazia pubblica più lenta e vischiosa, il costo dei servizi alle imprese più alto, per difetto di concorrenza nei rispettivi mercati, infrastrutture di trasporto e comunicazione meno efficienti. Sono gli stessi ostacoli che, insieme a un diritto del lavoro illeggibile e a un sistema di relazioni industriali arretrato e inconcludente, impediscono all’Italia di intercettare i capitali nel mercato finanziario globale

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