ARTICOLO 8: CHE NE FACCIAMO?

LA NUOVA NORMA PUÒ ESSERE UTILIZZATA MALISSIMO: PER QUESTO È UNA NORMA SBAGLIATA – MA PUÒ ESSERE UTILIZZATA ANCHE BENISSIMO: ALLORA, PERCHÉ NON PROVARCI?

Con questo mio articolo pubblicato oggi, 17 ottobre 2011, si inaugura la rubrica Lavorare cambia nel sito Tuttosullavoro.it, curata dallo Studio Ichino Brugnatelli e Associati di Milano

Per i profani, sto parlando dell’articolo del decreto di Ferragosto, la “manovra-bis” (d.l. n. 138, convertito con la legge n. 148/2011): quello che autorizza ogni impresa a stipulare con le proprie rappresentanze sindacali contratti aziendali in deroga non soltanto rispetto ai contratti collettivi nazionali, ma anche rispetto alle leggi dello Stato in materia di lavoro.

È una norma sbagliata, ne sono convinto. Perché la riforma del nostro diritto del lavoro – pure necessaria – non può essere delegata interamente dal legislatore alla contrattazione aziendale. Richiede un disegno organico e un policy-maker che se ne assuma la responsabilità. Detto questo, però, ora l’articolo 8 è in vigore. Può essere utilizzato malissimo: per questo dico che è una norma sbagliata. Ma può essere anche utilizzato benissimo. E allora, perché non provarci?

Il diritto del lavoro italiano si caratterizza oggi per un grave difetto: il regime di vero e proprio apartheid fra lavoratori regolari stabili, per i quali vige una legislazione estremamente complessa, e lavoratori non protetti, i “paria” ingaggiati come collaboratori autonomi, ma in realtà dipendenti quanto e più dei primi. Fino a ieri si è detto: almeno per i rapporti di lavoro destinati a costituirsi da qui in avanti occorre disegnare un nuovo diritto del lavoro semplice, capace di applicasi davvero a tutti. Tutti a tempo indeterminato (tranne, ovviamente, i casi classici del lavoro a termine), a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile; e a tutti coloro che perdono il posto una protezione robusta nel passaggio dalla vecchia alla nuova occupazione.

La politica finora non ne è stata capace. Ma ora ogni imprenditore lungimirante, se ha di fronte rappresentanti sindacali altrettanto lungimiranti, può sostituire nella propria azienda quella legislazione mastodontica e illeggibile con un Codice del lavoro di 32 articoli semplicissimo, allineato ai migliori standard europei, comprensibile anche per chi di diritto non sa nulla, facilmente traducibile in inglese e in qualsiasi altra lingua. E, soprattutto, molto equilibrato: basato su di una coniugazione della massima flessibilità delle strutture produttive con la massima sicurezza del lavoratore; e passato – come lo è stato questo – al vaglio di centinaia di seminari universitari, incontri e dibattiti tra imprenditori e sindacalisti.

Come? Con un accordo aziendale stipulato secondo la nuova normativa: il combinato disposto dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011 e dell’articolo 8 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138. Certo, per questo occorre che in azienda sia d’accordo una coalizione sindacale che rappresenti la maggioranza dei dipendenti. Ma il consenso su questa scelta è molto più diffuso di quanto si pensi. Ciò si spiega col fatto che il sistematico grave ritardo dell’aggiustamento industriale prodotto dalla nostra vecchia disciplina del rapporto di lavoro – soprattutto in materia di licenziamento e di mansioni – comporta uno spreco enorme di risorse: talmente grande, da lasciare un larghissimo margine per soluzioni alternative dalle quali entrambe le parti abbiano molto da guadagnare. La flexsecurity, appunto, che dà più flex alle imprese e più security ai lavoratori.

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