RIFORMA DEL LAVORO: DI FRONTE AL GOVERNO CHE HA DECISO DI PROCEDERE, SI RIMUOVONO LE BARRICATE

UNA SVOLTA NEL DIBATTITO INTERNO AL PD: DUE STORICI DIFENSORI DELL’INTANGIBILITÀ DELL’ARTICOLO 18 DICHIARANO DI ACCETTARE LA LOGICA DEL “CONTRATTO UNICO” – UNA SVOLTA ANCHE DA PARTE DI CONFINDUSTRIA, CHE APRE UFFICIALMENTE AL PROGETTO FLEXSECURITY

Editoriale per la Newsletter n. 180, 19 dicembre 2011

    Sabato 17 dicembre – Sul Fatto quotidiano compare un’importante intervista di Cesare Damiano, nella quale il capogruppo Pd alla Commissione Lavoro della Camera ribadisce ritualmente la posizione ufficiale del partito contro il mio progetto di riforma  del diritto e del mercato del lavoro (v. l’intervista con le mie repliche punto per punto). Ma nell’intervista, a sorpresa, compare una improvvisa, imprevista apertura: “si può pensare ad allungare il periodo di prova a tre anni”. Immagino che si tratti di una imprecisione del giornalista: probabilmente Damiano ha inteso fare riferimento al disegno di legge Nerozzi n. 2000/2010, che, recependo il progetto Boeri-Garibaldi, ritarda all’inizio del quarto anno di anzianità di servizio l’applicazione dell’articolo 18, disponendo per i primi tre anni, una protezione contro il licenziamento di natura indennitaria.
   Stesso giorno, ore 21 – Nel corso della trasmissione In Onda, sul canale La7, a cura di Luca Telese e Nicola Porro, Sergio Cofferati come Damiano ribadisce la posizione contraria al mio progetto, ma dichiara testualmente: “Mi sembra molto interessante il progetto Boeri Garibaldi, che prevede per tutti un contratto a tempo indeterminato a protezione crescente, con applicazione dell’articolo 18 soltanto dopo il terzo anno”.
   Così, dunque, senza clamore, il muro incomincia a sgretolarsi davvero. Toccare l’articolo 18 si può. Che cosa è accaduto? Semplicemente questo: che di fronte alla conferma molto recisa, da parte del Capo del Governo, della sua determinazione ad affrontare seriamente la questione del dualismo del nostro mercato del lavoro, i più intelligenti e lungimiranti tra i difensori dell’articolo 18 si sono resi conto che la trincea della sua assoluta intangibilità non avrebbe retto neppure per mezza giornata: nessuno, infatti, può ragionevolmente pensare di estendere a 19 milioni di lavoratori dipendenti e per tutti i tipi di licenziamento quella forma di protezione, che oggi si applica soltanto a 9 milioni e mezzo.
   Il giorno dopo, ieri, esce sul Corriere della Sera un’ampia intervista del ministro del Lavoro Elsa Fornero nella quale, sotto il titolo Dico sì al contratto unico, si legge: “Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto”; e prosegue: “Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem: quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte”.
   Con questa uscita del ministro, la consultazione è virtualmente aperta. E, dopo le aperture di Damiano e Cofferati, difficilmente la Cgil potrà mantenere una posizione di chiusura a riccio. Ora dunque, finalmente, si potrà e dovrà entrare nel merito della questione. Ed entrando nel merito si potrà discutere apertamente quale sia la soluzione migliore per disegnare un diritto del lavoro davvero universale, cioè capace di applicarsi a tutti i lavoratori in posizione di dipendenza dall’azienda per cui lavorano.
   Il progetto Boeri-Garibaldi, di cui è espressione disegno di legge Nerozzi n. 2000/2010 citato sopra, ha un pregio  indiscutibile: la grande semplicità della struttura. Ma ha anche due difetti: innanzitutto, non affronta il problema del sostegno del reddito del lavoratore che perde il posto; inoltre, prevede quella soglia dei tre anni oltre la quale scatta il vecchio regime dell’articolo 18, che ricorda tanto da vicino il termine attuale dei 36 mesi oltre il quale è vietato prorogare i contratti a termine: c’è il rischio grave che una parte degli imprenditori sia tentata di fermarsi a quella soglia, offrendo così ai giovani soltanto dei contratti di tre anni meno un giorno, per evitare la “tagliola” dell’articolo 18. Resta poi tutto da vedere che gli imprenditori siano disponibili a rinunciare alla possibilità di assumere collaboratori continuativi autonomi, in cambio di una flessibilità in uscita che cessa già al terzo anno di lavoro. Questi sono i motivi per cui mi sembra meglio un sistema, come quello delineato nel progetto flexsecurity, nel quale la protezione contro il licenziamento cresce di mese in mese senza soglie, quindi senza scatti, senza traumatici mutamenti di assetto della disciplina in corso di rapporto.
   Anche la soluzione proposta nel mio disegno di legge, ovviamente è largamente opinabile; la novità è che finalmente anche con Cesare Damiano e Sergio Cofferati sarà possibile discuterne nel merito, senza che il discorso venga troncato sul nascere da quella reazione pavloviana – “l’articolo 18 non si tocca” – che fino a ieri ha indotto la sinistra politica e sindacale a rifiutare anche soltanto di aprirlo.
   A facilitare le cose al ministro del Lavoro viene infine – sorprendente anch’essa, in qualche misura – un’apertura esplicita di Confindustria nei confronti del progetto flexsecurity: la contiene il documento presentato al Governo dal Comitato Investitori Esteri di viale dell’Astronomia, nel quale si legge testualmente questa proposta: “Semplificazione e riduzione delle norme di diritto del lavoro, non perfettamente allineate rispetto agli altri Paesi, proseguendo nel processo di semplificazione del Codice del Lavoro annunciato dal Ministro Sacconi e in linea con i disegni di legge il n. 1872  n. 1873 del Senatore Ichino dell’11 novembre 2009; favorire la traducibilità dei testi di riferimento”. Un buon auspicio, e non da poco, per il “tavolo”  che il Governo intende aprire nei giorni prossimi su questo tema.

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