LIBERO: PERCHÉ SULLA RIFORMA DEL LAVORO SI PUÒ ESSERE OTTIMISTI

IL SENTIERO STRETTO CHE IL GOVERNO MONTI STA PERCORRENDO È L’UNICO COMPATIBILE CON LA SCOMMESSA EUROPEA IN CUI IL NOSTRO PAESE SI È IMPEGNATO: PER QUESTO ANCHE IL PD NON POTRÀ, ALLA FINE, CHE DARE IL SUO VOTO FAVOREVOLE SULLE NUOVE MISURE IN MATERIA DI DIRITTO E MERCATO DEL LAVORO

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata su Libero il 24 febbraio 2012

Molti osservatori (anche Libero) hanno individuato uno strano asse tra Confindustria e Cgil. Entrambe, al di là delle differenze, sarebbero accomunate dalla diffidenza verso una riforma radicale del mercato del lavoro per conservatorismo, paura dell’ignoto e, nel caso degli industriali, paura dei costi che un nuovo sistema di ammortizzatori sociali comporterebbe. Questo asse c’è davvero, e, se sì, di quale potere di interdizione dispone?
Vedo questo asse soltanto in materia di ammortizzatori sociali: tutto sommato anche Confindustria è riluttante a rinunciare all’uso improprio della Cassa integrazione per congelare le crisi occupazionali aziendali e a sperimentare nuove tecniche di sostegno del reddito coniugato con iniziative efficaci mirate alla ricollocazione rapida dei lavoratori. Questa riluttanza, peraltro, non accomuna l’associazione degli industriali soltanto alla Cgil, ma anche alla Cisl e alla Uil. Questo convergenza su posizioni di conservazione dell’esistente, invece, non lo vedo affatto in materia di riforma del diritto del lavoro: qui, anzi, mi sembra che Confindustria abbia manifestato una notevole disponibilità per il disegno presentato dal ministro.

La convince l’idea di rinviare l’attuazione della riforma della Cassa integrazione al 2013, quando la recessione, auspicabilmente, sarà alle spalle? Oppure la riforma degli ammortizzatori sociali potrebbe servire anche ad uscire dalla crisi?
Vedo la riforma della Cassa integrazione come parte integrante di un disegno complessivo di riforma del mercato del lavoro, del quale fa parte anche una nuova disciplina del licenziamento per motivi economici, del trattamento di disoccupazione e dei servizi di outplacement e riqualificazione mirata. Poiché questa nuova disciplina, per evidenti motivi politici, è destinata ad applicarsi soltanto ai nuovi rapporti, cioè a quelli che si costituiranno da qui in avanti, c’è una logica nel fatto che la riforma della Cig sia definita ora, ma progettata per entrare in vigore tra un anno e mezzo o due.

C’è qualcosa che salverebbe dell’attuale sistema di accesso al mercato del lavoro? C’è qualche formula di lavoro temporaneo che va salvata?
Il progetto su cui il Governo sta lavorando – che mi trova totalmente concorde – consiste nel contrastare in modo drastico l’utilizzazione delle collaborazioni autonome e le “associazioni in partecipazione” per dove il lavoro è sostanzialmente dipendente, cioè per le prestazioni continuative in situazione di monocommittenza e reddito basso. Ricondotte queste nell’alveo del diritto del lavoro, mi sembra che il Governo non si proponga di ridurre l’articolazione attuale dei tipi legali del lavoro subordinato, ma soltanto di rendere più flessibile e competitivo il contratto a tempo indeterminato, ivi compreso l’apprendistato, rendendo un po’ più costoso per l’impresa il ricorso ai contratti a termine. E mi sembra un disegno molto ragionevole.

Dopo l’intervista di Veltroni sull’articolo 18, Bersani ha precisato che, in mancanza di un accordo tra governo e parti sociali, il sì del Pd alla riforma del lavoro non è scontato. Vede il rischio che le spaccature interne al Pd possano riprodursi in Parlamento al momento del voto?
No. Gli stessi Bersani e Fassina hanno detto, nei giorni scorsi, di concordare sulla soluzione proposta dalla Cisl per la “manutenzione” dell’articolo 18, con lo scorporo dei licenziamenti per motivi economici. Se dunque su questa proposta si realizzerà la convergenza tra Governo, Confindustria, Cisl e Uil, mi pare assai poco plausibile che il Pd si schieri contro, solo in omaggio a un ipotetico veto della Cgil.

Prima dell’esperimento Monti lei diceva di confidare nel fatto che il Pd sarebbe approdato, presto o tardi, sulle sue posizioni. Ma ora, tra gli effetti possibili di questo governo tecnico, non ritiene più probabile una scomposizione e ricomposizione di Pd e Pdl e la nascita di nuovi soggetti politici?
In politica tutto è possibile. Ma mi sembra che proprio la vicenda politica di cui stiamo discutendo stia accelerando l’avverarsi di qualche cosa di abbastanza simile a quella mia previsione.

Alla fine Monti, che Veltroni definisce riformista e che Berlusconi potrebbe sostenere (dice lui) anche dopo il 2013, sta realizzando un programma di destra o di sinistra?
Nella situazione gravissima in cui ci troviamo, il discrimine politico decisivo non è fra destra e sinistra, ma fra chi scommette sulla capacità dell’Italia di restare nell’Unione Europea, quindi di allinearsi ai suoi standard, e chi ritiene che sarebbe meglio rinunciarvi o addirittura che questa sia una scommessa sbagliata. Il Governo Monti sta guidando il Paese sull’unico sentiero, strettissimo, compatibile con la scommessa europea. Se questa sia una scelta qualificabile più come “di destra” o “di sinistra” è questione che può risolversi in vari modi e secondo diversi criteri; ma, come in tutte le situazioni di emergenza nazionale gravissima, non è l’alternativa destra-sinistra la questione cruciale.

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