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CINQUE RIFLESSIONI SUL VOTO

SUL PD, SU SCELTA CIVICA, SU 5 STELLE, SU CHE COSA BISOGNA FARE SUBITO E CHE COSA ANCHE DOPO

Editoriale telegrafico sui primi risultati elettorali, 25 febbraio 2013

Sul Partito democratico –  Lo schema tradizionale con cui il partito maggiore della sinistra italiana si presenta alle elezioni, quello del “pas d’ennemis à gauche” (niente avversari a sinistra) – per quanto corretto con la marginale e tardiva partecipazione di Matteo Renzi alla campagna elettorale – si è clamorosamente confermato per l’ennesima volta perdente: è lo schema che condanna la sinistra italiana a essere minoritaria. V. il seguito: Il vincitore-ombra di queste elezioni [1].

Su Scelta civica – Non ha avuto il risultato elettorale a cui aspirava. Ma ha pur sempre ottenuto 3,2 milioni di voti, essendo nata da meno di due mesi e avendo condotto una campagna elettorale totalmente priva di organizzazione, oltre che dei mezzi economici di cui usufruiscono i partiti già esistenti. In 50 giorni ha raccolto un terzo dei voti raccolti dal Pd e di quelli raccolti dal PdL. Non è molto, ma non è neppue così poco. Qualcuno dice: se Monti se ne stava con le mani in mano ora sarebbe lui il candidato naturale a guidare il nuovo Governo. Ma davvero gli italiani non grillini dovevano essere posti di fronte alla sola alternativa tra l’asse a vocazione minoritaria Bersani-Vendola e l’asse populista Berlusconi-Maroni?

Sul Movimento 5 Stelle – La società civile in rivolta contro il vecchio ceto politico si è fatta essa stessa ceto politico, scegliendo lo strumento più corretto per esprimere la propria protesta: quello del presentarsi alle elezioni e farsi eleggere al Parlamento (v. il mio secondo editoriale telegrafico di oggi [2]). Essa costituisce una nuova forza politica, di cui sappiamo ancora pochissimo, ma che va rispettata e con la quale occorre che tutte le altre, quanto meno, cerchino di fare conoscenza e capirsi. Potrebbe nascerne anche qualche cosa di buono, perché su molte cose la protesta del M5S è fondata;  ma è essenziale che esso non si comporti come una setta, che i suoi neo-parlamentari accettino un confronto aperto con le altre forze politiche. A questo serve il Parlamento.

Su quel che ora occorre fare subito – Lo schiaffo che il vecchio ceto politico italiano ha ricevuto, in questa tornata elettorale, è in larga parte dovuto all’inconcludenza totale che esso ha mostrato in quest’ultima legislatura, e in particolare nel corso del 2012: l’anno durante il quale il Parlamento – secondo la ripartizione dei compiti concordata con il Governo – si era assunto l’impegno di fare la riforma elettorale e una drastica riduzione dei costi della politica, incominciando con la riduzione del numero dei parlamentari e delle province. Tutti questi impegni sono stati disattesi. Ora vanno messi tutti immediatamente in agenda, come primi atti della legislatura: da questo si vedrà se gli eletti – vecchi o nuovi che siano – hanno imparato la lezione.

Su quel che occorre fare ora e dopo – Il discredito della politica italiana nasce anche dal contrasto tra l’ampiezza delle divergenze tra i proclami dei partiti in campagna elettorale e la strettezza del sentiero che il Paese ha davanti a sé da percorrere, quale che sia il Governo che uscirà da questa confusa fase post-elettorale. Allora, siamo seri: lasciamoci alle spalle i proclami, le faziosità, gli sventolii di bandiere, e rimbocchiamoci tutti le maniche, che ci tocchi il ruolo di maggioranza o di opposizione: diamo al mondo intero l’immagine di un Paese consapevole dei rischi che sta correndo, ma anche capace di evitarli.

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