UN PRIMO MAGGIO DI SVOLTA PER IL LAVORO?

UN MINISTRO DEL WELFARE ECONOMISTA E STATISTICO È DI BUON AUSPICIO PER L’APPLICAZIONE PRAGMATICA DEL METODO SPERIMENTALE: L’UNICO CHE POSSA CONSENTIRCI DI SUPERARE LE CONTRAPPOSIZIONI FRONTALI IN MATERIA DI POLITICHE DEL LAVORO 

Intervista a cura di Goffredo Pistelli, pubblicata su Italia Oggi il 1° maggio 2013

“Questa opposizione al lavoro nella Festa del Lavoro costituisce una manifestazione di arretratezza e di provincialismo del nostro movimento sindacale”: una chiacchierata di politica con Pietro Ichino, milanese, classe 1949, giuslavorista da tempo impegnato in politica, prima col Partito democratico poi con Scelta civica di cui è senatore, non può prescindere dalle polemiche sul 1° maggio. Ichino, che è stato dirigente Fiom in gioventù a cavallo degli anni ’70 dopo aver conosciuto don Lorenzo Milani, Ichino, dicevamo, non si sottrae e spiega che questa ostinazione “si ritorce contro gli stessi lavoratori: i quali, per godere meglio di una festa, avrebbero bisogno di trasporti che funzionano e di negozi ed esercizi pubblici aperti. Per non dire del danno che in questo modo facciamo alla nostra industria maggiore, che è quella del turismo. Non è così che si difendono i valori del lavoro.”

.Siamo giunti a un governo, dunque, dopo un percorso tormentato. Al di là del voto di fiducia che ha dato come senatore di Scelta civica, che giudizio dà su questo Esecutivo?

Ne do un giudizio positivo innanzitutto per il fatto che è nato. Non oso pensare a che cosa avrebbe potuto accadere se non fossimo riusciti a darci un governo e avessimo dovuto congelare la situazione per altri quattro o cinque mesi per tornare a votare, con la prospettiva di ritrovarci in una situazione di stallo magari anche peggiore. Ma il giudizio positivo si giustifica anche per alcune caratteristiche di questo governo.

Quali?

Una generazione di politici quarantenni e cinquantenni ha sostituito quella dei sessantenni e dei settantenni. La speranza è che questa nuova leva sappia far nascere una cultura politica più civile di quella che ha caratterizzato la “seconda Repubblica”; che questo Governo, cioè, diventi per così dire il brodo di coltura di un nuovo senso dello Stato, comune a tutto il ceto politico, di centrodestra e di centrosinistra.

Che spazio vede, con questo governo e questa maggioranza, per le istanze riformiste, a cominciare, ovviamente, da quella sul lavoro, di cui è sempre stato protagonista.

La nomina al Lavoro di Enrico Giovannini, economista e statistico, è di buon auspicio per l’applicazione pragmatica del metodo sperimentale: l’unico che può consentirci di superare le contrapposizioni frontali in materia di politiche del lavoro.

Se non sbaglio è quello che lei propone col disegno di legge presentato nei giorni scorsi al Senato.

Proprio così. Come si fa per i farmaci, anche in materia di lavoro bisogna applicare il “try and go”: si sperimenta su scala limitata, si rilevano i risultati, se questi sono positivi si allarga l’esperimento, se no lo si corregge o si cambia strada. In questo disegno di legge n. 555, presentato da tutti i senatori di Scelta Civica e presentato anche alla Camera con la prima firma di Irene Tinagli, proponiamo la sperimentazione di un rapporto di lavoro dipendente poco costoso e poco rigido, ma capace di dare maggiori sicurezze e prospettive al lavoratore.

E negli altri settori?

Anche la nomina di Cancellieri alla Giustizia è di buon auspicio per la prosecuzione di quanto ha incominciato a fare il ministro Severino: lì c’è da proseguire e allargare la sperimentazione già in atto in alcune sedi di nuove forme di organizzazione del lavoro giudiziario, anche a legislazione invariata.

Carrozza all’Istruzione?

Spero che riesca ad affrancarsi dai pregiudizi diffusi nel suo partito, il PD, oltre che nel sindacato, circa la necessità della valutazione obbiettiva della didattica e della ricerca. Che è la premessa indispensabile per l’unica strategia efficace, se vogliamo rilanciare il nostro sistema dell’istruzione e della ricerca: la strategia centrata sull’autonomia degli istituti e su di una forte responsabilizzazione dei rispettivi capi e apparati.

Recentemente ha chiesto la chiusura di “carrozzoni come il Cnel” per liberare risorse. Una posizione urticante per un certo mondo sindacale. Ma cos’altro si potrebbe fare?

Abbiamo tanti ferri vecchi. Chiuderli non significa licenziare tutti i dipendenti, ma spostarli nelle amministrazioni in difetto di personale. Si obietta che in questo modo non si realizzerebbe un grande risparmio di spesa. Invece un risparmio ci sarebbe comunque; inoltre si otterrebbe un miglioramento dell’efficienza complessiva delle amministrazioni; e, soprattutto, si darebbe un segnale importantissimo, sia all’interno sia all’esterno del Paese. E noi oggi abbiamo un bisogno disperato di segnali come questo.

Qualcuno, regolarmente, polemizza anche sui patronati. Non tanto sul principio ma sull’entità del loro costo. Cosa ne pensa?

Nella logica della spending review, anche questo capitolo va affrontato. Ma senza lo spirito di crociata che talvolta aleggia nel discorso sui patronati: svolgono un servizio utile, anche se probabilmente potrebbe costarci un po’ meno.

Lei dopo aver sostenuto la battaglia di Matteo Renzi alle primarie, ha ritenuto più opportuno continuare il suo impegno col senatore Monti. Come ha visto il suo ex-partito nella logorante trattativa con il M5s e poi, dopo, con le dimissioni di Bersani?

Lo ho visto molto in crisi. Tutti i nodi che si nascondevano sotto la “marcia trionfale” verso le elezioni del novembre-dicembre scorso sono venuti impietosamente al pettine. Si preparano novità di notevole portata. Ma credo che nessuno debba augurarsi un collasso del PD: la politica italiana soffre già di un eccesso di tendenza all’entropia.

C’è chi sembra voler creare un soggetto politico nuovo, a sinistra, scindendo il Pd e aggregando vendoliani e altre forze. Una sorta di nuovo progressismo cui, peraltro, non era affatto estraneo lo stesso Bersani. Dal suo punto di vista è possibile? 

Possibile sì, certo. Ma non credo che Bersani vi parteciperebbe. Forse ora si è convinto anche lui che qualche “nemico a sinistra” è inevitabile. E non fa poi così male.

Come vede il futuro politico del Paese, professore? C’è chi scommette su una polarizzazione sinistra-destra, Barca vs Renzi. Le pare uno scenario possibile? E nel caso dove si collocherebbero SC e Pietro Ichino?

Dipende dal modo in cui, concretamente questo nuovo scenario si determinerebbe. Scelta Civica è nata per costituire un nuovo polo per la riforma europea dell’Italia; se nascesse una nuova forza politica sostanzialmente con questo stesso obiettivo, nel centrosinistra come nel centrodestra, la convergenza sarebbe, come si dice, nelle cose. Il vero bipolarismo deve istituirsi tra chi vuole questa riforma europea e chi non la vuole, che si collochi “a destra” o “a sinistra”.

Proprio la sua uscita dal Pd, le ha procurato commenti malevoli – penso al famoso ‘file del programma Monti’, o ai veleni contro sua figlia – che sono insopportabili, credo, per chi viva già sotto scorta. Il clima politico, però, successivamente è addirittura peggiorato. I toni dell’antipolitica si sono fatti esasperati e in più d’uno hanno messo in relazione l’attentato di domenica contro i Cc con i toni esasperati di questo periodo. Cosa ne pensa?

Francamente, non penso che fra i due fenomeni ci sia una stretta relazione. Questo non toglie che l’Italia abbia bisogno di un clima politico molto più disteso, più pragmatico, fondato su di un senso del bene comune più radicato. Vediamo se il Governo Letta ci fa fare qualche passo avanti su questo terreno.

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