DIGITAL-WORKSHOP: DIMINUIRE I COSTI, LA BUROCRAZIA E LE RIGIDITÀ PER RIMETTERE IN MOTO IL MERCATO DEL LAVORO

LE MISURE POSSIBILI PER RIATTIVARE I FLUSSI IN INGRESSO DI GIOVANI, DONNE, CINQUANTENNI E SESSANTENNI NELLE AZIENDE

Intervista a cura di Digital-Workshop svolta al termine del convegno Cosa ci impedisce di lavorare promosso da Randstad il 6 maggio 2013 – In argomento v. anche l’intervista pubblicata da Linkiesta il 6 maggio 2013

icona-dwl8 Scarica il video del convegno del 6 maggio 2013
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Le priorità del nuovo governo, la disoccupazione e le difficoltà di donne, giovani e lavoratori “over 50” e “over 60”. Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica nonché uno dei più noti giuslavoristi italiani, non si sottrae alle domande di Digital-Workshop e affronta tutti gli argomenti “caldi” del momento. Il punto di partenza dell’intervista non può che essere il nuovo esecutivo guidato da Enrico Letta, nella cui agenda i provvedimenti da adottare in tema di economia e lavoro sono al primo posto.

Professor Ichino, i numeri sulla disoccupazione in Italia fotografano una situazione in continuo peggioramento: i dati Istat parlano di un incremento dei disoccupati di 1,2 milioni negli ultimi cinque anni (siamo passati da 1 milione e 506mila del 2007 ai 2 milioni e 744 mila del 2012). Senza dubbio l’incerta situazione politica degli ultimi mesi non ha contribuito a migliorare le cose. Quali sono, secondo lei, i primi provvedimenti che dovrà adottare il nuovo governo in tema di lavoro?
Il provvedimento di cui si sente la necessità più urgente è quello che deve offrire a imprese e lavoratori la possibilità di sperimentare un rapporto di lavoro dipendente meno costoso e meno rigido: occorre sottrarre interamente il costo dei nuovi rapporti di lavoro dall’imponibile Irap, ridurre l’aliquota contributiva pensionistica e aumentare decisamente la flessibilità in entrata e in uscita, in modo da evitare uno choc di costo e di rigidità per l’impresa che regolarizza una collaborazione autonoma continuativa non più consentita, così come per quella che assume ex novo un lavoratore con rapporto di lavoro subordinato. Poi occorre affrontare con urgenza anche il capitolo dell’active ageing: come incentivare il lavoro dei sessantenni e rendere più soft il passaggio dal lavoro alla pensione.

Infatti lo scorso 18 aprile lei ha presentato, con le firme di tutti i senatori di Scelta Civica, un disegno di legge per il rilancio dell’occupazione, che va a completare la legge Fornero. In sostanza, questo disegno prevede un modello a tempo indeterminato meno rigido e meno costoso e un contratto a termine libero da vincoli causali fino ai 36 mesi, con indennità di cessazione pari all’indennità di licenziamento prevista per il tempo indeterminato. L’obiettivo del disegno è quello di rendere più agevoli le assunzioni da parte delle aziende, cercando di eliminare il famoso dualismo tra lavoratori protetti e non protetti. È questo il primo passo verso un modello che assomigli sempre più alla flexsecurity di stampo nordeuropeo?
L’intendimento è quello. Ma c’è anche l’esigenza urgente della regolarizzazione di centinaia di migliaia di collaborazioni autonome continuative che la legge Fornero ha messo fuori legge: non possiamo ritornare indietro rispetto alla scelta di contrasto al precariato, ma al contempo non possiamo rischiare di perdere gran parte di questi rapporti di lavoro.

Crede che adesso ci sia una sensibilità maggiore del Paese e della sua classe politica su questi temi?
Questo sarà uno dei terreni su cui si verificherà la capacità del governo Letta di superare vecchie contrapposizioni e aprire le porte alla sperimentazione pragmatica di soluzioni nuove. Sperimentazione significa che si verificano i risultati, e se questi non sono soddisfacenti si cambia strada. Non si tratta, dunque, di compiere una volta per tutte una scelta di palingenesi del sistema.

Giovani e donne sono tra le categorie che hanno più difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro. Proprio per dare impulso all’occupazione femminile, lei ha presentato un disegno di legge che mira a introdurre un regime fiscale agevolato a chi assume donne, accompagnato da una ricerca volta a determinare gli effetti di questi sgravi. Perché, secondo lei, le donne hanno tutte queste difficoltà nel nostro Paese a entrare nel mondo del lavoro? È tutta colpa di una legislazione che non aiuta l’occupazione femminile?
No: il nostro tasso bassissimo di occupazione femminile è l’effetto di quello che gli studiosi di scienze sociali chiamano l’“equilibrio mediterraneo”, cioè un modello di organizzazione della società che punta tutto sul lavoro di un solo capofamiglia, affidando al coniuge – nella grande maggioranza dei casi “la” coniuge – funzioni di cura familiare e assistenza a bambini e anziani non autosufficienti. Uscire da questo modello è difficile, come è sempre difficile la rottura di un equilibrio consolidato.

Tra le questioni che il nostro Paese è chiamato ad affrontare c’è anche l’ageing, l’invecchiamento della popolazione che, unitamente allo spostamento in avanti dell’età pensionabile previsto dalla recente riforma del 2011, obbliga le aziende a prendere in considerazione anche questa questione: che fare con un numero sempre crescente di lavoratori “over 50” e anche “over 60”? Come coinvolgerli e motivarli e come “sfruttarne” le competenze e rendere così queste persone funzionali all’azienda? Secondo lei il sistema italiano è pronto per una sfida di questo tipo?
Questo è un capitolo quasi del tutto nuovo nel panorama delle relazioni industriali italiane. Ma non in quello degli altri maggiori sistemi nazionali di relazioni industriali centro e nord-europei: per esempio, in Germania, in Olanda e in Svezia sono in corso da tempo iniziative in materia di ridisegno del job per i lavoratori sessantenni, nonché di incentivo economico e normativo al loro reinserimento nel tessuto produttivo. Noi dobbiamo incominciare a studiare queste esperienze e a imitarle. Così come dobbiamo attivare nuove forme di modulazione del passaggio dal lavoro alla pensione: per esempio la possibilità di coniugazione, da parte dei sessantenni, del part-time con la mezza pensione; oppure il godimento di periodi sabbatici con possibilità di versamento da parte delle imprese datrici di lavoro di una contribuzione pensionistica non correlata al pagamento di una retribuzione.

Che consiglio si sente di dare alle aziende che si troveranno ad avere tra le proprie fila un numero sempre maggiore di lavoratori non più giovani, ma che comunque possono costituire un patrimonio di esperienza e di conoscenze da trasmettere ai più giovani?
Il discorso è ancora quello che abbiamo appena fatto: dobbiamo, per un verso, sviluppare una cultura diffusa favorevole al lavoro retribuito dei sessantenni, incominciando ovviamente dalla gestione delle imprese, per altro verso accompagnare la diffusione di questa cultura con disposizioni previdenziali che la aiutino e la rafforzino. Anche per questo ho presentato con i senatori del mio gruppo un disegno di legge, il n. 199/2013, contenente misure che vanno esattamente in questa direzione. Certo, in attesa che il legislatore provveda le imprese non avranno vita facile su questo terreno; ma se vogliamo aumentare il tasso di occupazione nella fascia dei cinquantenni e dei sessantenni, oggi incredibilmente basso, non abbiamo alternative: dobbiamo compiere in pochi anni il cammino che altri Paesi hanno compiuto nell’arco dell’ultimo quarto di secolo. E dobbiamo abbandonare del tutto la prassi, universalmente seguita in Italia fino al 2011, consistente nell’affrontare le crisi occupazionali aziendali prepensionando i cinquantenni: non possiamo proprio più permettercelo.

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