STRANIERI A SCUOLA: GUARDIAMO IN FACCIA I PROBLEMI

I DATI MOSTRANO CHE L’INSERIMENTO DI UN IMMIGRATO HA L’EFFETTO TEMPORANEO DI UN RALLENTAMENTO DELL’ATTIVITÀ DIDATTICA – PERCHÉ QUESTO EFFETTO POSSA ESSERE NEUTRALIZZATO OCCORRE NON RIFIUTARNE L’ESISTENZA, MA INVECE DISCUTERNE APERTAMENTE: LE SOLUZIONI NON MANCANO

Articolo di Andrea Ichino, pubblicato sul Corriere della Sera del 24 settembre 2013

Non serve nè agli immigrati nè ai nativi nascondere i problemi invece di sperimentare, senza pregiudizi, le soluzioni più efficaci e rapide per l’integrazione nelle scuole italiane.
Da uno studio condotto con Rosario Ballatore e Margherita Fort (“The Tower of Babel in the classroom”, www.andreaichino.it) emerge che sostituendo un nativo con un immigrato in una classe della seconda elementare, la frazione di risposte corrette dei nativi nei test Invalsi si riduce del 12% in italiano e del 7% in matematica (dati relativi al 2009-10). La buona notizia è che questo sensibile effetto negativo (comparabile ad esempio a quello di avere genitori disoccupati o con un diploma non superiore alla scuola superiore) sparisce nelle quinte elementari: la scuola italiana riesce ad integrare gli stranieri ma in tempi relativamente lunghi, che devono assolutamente essere accorciati.
È sorprendente che nel nostro Paese ci si debba dividere tra chi urla sconsideratamente contro l’immigrazione (tra l’altro dimenticando che gli studenti stranieri sono mediamente meno di 2 per classe e che solo il 6% delle classi supera la soglia del 30% di immigrati) e chi, per reazione, nega, o è costretto a negare, un’eventualità tutt’altro che remota: quando anche un solo straniero entra in una classe l’integrazione non può avvenire immediatamente – come per un colpo di bacchetta magica – e può avere un impatto sugli apprendimenti dei compagni. Si rischiano accuse infamanti di razzismo suggerendo che forse non sia una buona idea gettare allo sbando gli immigrati nelle classi senza una guida specifica e che meglio sarebbe, come accade in altri Paesi, disegnare percorsi diversificati di integrazione graduale, da definire a seconda delle situazioni.
Il risultato, ipocrita, di questi comportamenti è che i dirigenti scolastici, forse per amor del quieto vivere, collocano gli stranieri  prevalentemente nelle classi in cui i nativi hanno famiglie meno istruite e meno abbienti. Si noti che questo accade all’interno delle singole scuole e non solo tra scuole di quartieri diversi. Lo dicono i dati ed è una sorpresa sconcertante. All’interno di una scuola gli stranieri finiscono per essere concentrati nelle classi con genitori probabilmente  meno capaci di protestare se i loro amati Pierino o Caterina impareranno poco perchè i loro compagni di banco si chiamano Wladi, Amina o Ramon. Ufficialmente questo non può accadere, perché la formazione delle classi dovrebbe essere casuale; cosa di per sè assurda perché molto meglio sarebbe costruirle senza ipocrisie sulla base delle informazioni disponibili riguardo alle caratteristiche degli studenti. Ma la soluzione peggiore, e davvero eticamente inaccettabile, è quella di concentrare insieme stranieri e italiani con background familiare meno favorevole.
Immagino la risposta dei dirigenti e degli insegnanti: quali risorse abbiamo per fronteggiare il problema? Che margini di autonomia ci dà il Ministero per disegnare un’offerta formativa diversificata che possa aiutare l’integrazione quando necessario? Hanno ragione! Il pachidermico ministero dell’Istruzione, con i suoi Provveditorati (quasi un milione di dipendenti e decine di migliaia di scuole da gestire), oltre a non poter dare risorse sufficienti per affrontare questi problemi, non dispone nemmeno di informazioni aggiornate sulle realtà locali per decidere dove intervenire e che cosa fare (figuriamoci: non riesce nemmeno ad assicurare che a inizio anno tutte le classi abbiano gli insegnanti necessari!). E, soprattutto, alle scuole non viene data una piena autonomia di gestione delle risorse, in particolare quelle umane, e di disegno dell’offerta formativa. Di questa autonomia le singole scuole avrebbero bisogno per risolvere, con la loro migliore conoscenza delle situazioni locali, non solo il problema dell’immigrazione, ma tutti gli altri problemi che quotidianamente devono affrontare.
Un modo per sperimentare scuole “pubbliche ma autonome” c’è: con Guido Tabellini lo abbiamo descritto nell’e-book del CorriereLiberiamo la Scuola”. Una proposta che non impone soluzioni, ma chiede solo che sia consentito a chi vuole provare offerte educative diverse, di poterlo fare in un ambito regolato, sperimentale e valutato dalle scelte degli utenti.
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