JOBS ACT: LA POLITICA DELL’ANNUNCIO NON BASTA PIÙ

RIFORME IMPORTANTI E COMPLESSE COME QUELLA DEL CODICE SEMPLIFICATO DEL LAVORO NON CONSENTONO SCORCIATOIE NÉ IMPROVVISAZIONE: SE RENZI RINUNCIA AD AVVALERSI DI TUTTO IL GRANDE LAVORO FATTO NEGLI ANNI PASSATI SU QUESTO TEMA, METTE A RISCHIO LA FATTIBILITÀ STESSA DELLA RIFORMA

Intervento pubblicato dal quotidiano la Stampa il 17 gennaio 2014

Matteo Renzi è un genio della comunicazione politica. Ma non deve cedere all’illusione – nella quale sono già caduti Silvio Berlusconi e i suoi seguaci – che la bontà dell’annuncio politico e il consenso che esso è capace di aggregare nell’immediato bastino per risolvere le questioni molto complesse e difficili dalle quali dipendono le sorti del Paese.

Nella sua replica sulla Stampa di mercoledì al fondo di Luca Ricolfi di due giorni prima, Il lavoro non lo creano i dilettanti, il neo-segretario del PD chiede un’apertura di credito sul terreno delle politiche del lavoro; ma non risponde all’ammonimento rivoltogli dall’editorialista di questo giornale: su questo terreno non ci sono scorciatoie. La freschezza delle forze in campo e la brillantezza dell’annuncio mediatico non bastano, se non c’è profondità di conoscenza delle questioni e di elaborazione delle soluzioni possibili. Va benissimo dare voce ai “non addetti ai lavori”, purché non si pensi che basti la vox populi per risolvere problemi difficili e annosi; occorrerà dunque anche dire a quali “addetti ai lavori” competenti è stata affidato il compito di tirare le fila del discorso. Renzi può chiedere tempi un po’ più lunghi di quelli annunciati in campagna elettorale; ma deve chiarire: per fare che cosa e con chi? Altrimenti, il tempo che chiede rischia di apparire come un cedimento a chi – anche nel suo partito – le riforme incisive a cui lui pensa non le vuole affatto e punta a differire per insabbiare.

Consideriamo un capitolo centrale del Jobs Act di Renzi: il Codice semplificato del lavoro. Nel settembre scorso anche il Governo Letta ha fatto proprio questo obiettivo, inserendolo nel documento Destinazione Italia tra le misure necessarie per rendere il nostro Paese più attrattivo per gli investimenti stranieri e sbandierandolo in diverse sedi internazionali; senonché nei quattro mesi seguenti non ha fatto nulla per realizzarlo. Perché è accaduto che i dirigenti del ministero del Lavoro manifestassero perplessità circa la realizzabilità di questo obiettivo e che – dobbiamo ritenere – il titolare del dicastero in carica non abbia ritenuto di far prevalere la volontà politica del Governo su quelle perplessità. Nell’autunno scorso anche il Governo di San Marino ha deciso di dotare la Repubblica del Titano di un codice semplificato, col quale riordinare e sostituire la legislazione del lavoro fin qui accumulatasi, non meno complessa e farraginosa rispetto a quella italiana. Lo ha fatto assumendo come testo-base sul quale lavorare lo stesso presentato al Parlamento italiano da 55 senatori fin dal 2009, discusso in centinaia di convegni in sede universitaria, sindacale e politica, poi ripresentato nell’agosto 2013 con gli aggiornamenti e le correzioni suggerite da quel dibattito. Ha quindi affidato a un gruppo di esperti il compito di adattarlo alle peculiarità delle tradizioni e dell’ordinamento statale sanmarinese, cosa che è stata fatta nel giro dei due mesi successivi. Nei giorni prossimi lo presenterà ufficialmente, con l’intendimento di avviare un iter parlamentare che consenta il suo varo nel giro di altri due mesi.

Probabilmente Matteo Renzi aveva in mente un’operazione simile a quella ora compiuta dal Governo di San Marino, quando durante la campagna per le primarie del PD, e ancora il giorno dopo la vittoria in quella consultazione, annunciava la fattibilità del Codice semplificato del lavoro in tre mesi. Nel momento in cui questo impegno viene rinviato all’autunno prossimo (un autunno che mai come in questo inizio d’anno è apparso lontanissimo), è indispensabile che Renzi dica chiaramente che cosa lo ha indotto a modificare il programma, dove è l’intoppo che rende necessario questo rinvio, a quali esperti intende affidare il compito e con quali direttive fondamentali. È questo l’unico modo in cui può evitare che l’allungamento del termine venga letto come una disponibilità all’allungamento del brodo, come un compromesso assai poco “renziano” con chi nel suo stesso partito sostiene che, in materia di lavoro, “semplificazione equivale a precarizzazione”.

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