IL CASO ELECTROLUX: SETTE PROBLEMI IN UNO

CARICO FISCALE ECCESSIVO, INEFFICIENZA DELLE AMMINISTRAZIONI, MAGGIORE COSTO DELL’ENERGIA, DIFETTO DI CONCORRENZA NEI SERVIZI ALLE IMPRESE, CHIUSURA DEL SISTEMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI, LEGISLAZIONE DEL LAVORO DISALLINEATA E TROPPO COMPLICATA, DIFETTO DEI SERVIZI NEL MERCATO DEL LAVORO

Intervista a cura di Marco Ballico, pubblicata dal quotidiano il Piccolo di Trieste, 29 gennaio 2014

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«Parlare di ricatto non mi sembra il modo migliore per capire il problema, anzi l’insieme dei problemi, e per trovare una soluzione». Pietro Ichino evita la sintesi ed entra nel merito del caso Electrolux. Il senatore di Scelta Civica, uno dei massimi esperti italiani di diritto del lavoro (domani a convegno Trieste alle 17 alla Stazione Marittima assieme ad Alessandro Mara), rileva i problemi della vicenda: «Il primo problema è quello di un costo del lavoro gravato da un prelievo fiscale e contributivo eccessivo. Il secondo è un livello medio troppo basso di produttività. Il terzo è la chiusura del nostro sistema agli investimenti esteri, che per lo più portano con sé piani industriali innovativi, che a loro volta aumentano la produttività del lavoro.

In questo caso è anzi una multinazionale straniera che c’era e che ora minaccia di andarsene. Come ci si è arrivati?
È un’altra manifestazione dello stesso problema. Il fatto che una singola grande azienda in fase di contrazione riduca o cessi l’attività non sarebbe drammatico, se intorno ci fossero una, due o tre altre grandi imprese in fase di espansione. Per questo è indispensabile tornare a essere attrattivi verso gli investimenti stranieri.

E invece?
Invece noi, oltre a non curare i difetti strutturali che penalizzano le imprese, abbiamo una marcata ostilità verso le multinazionali. Pensi al messaggio che abbiamo lanciato al mondo intero, negli anni passati, con il modo in cui abbiamo osteggiato i nuovi investimenti di Fiat-Chrysler a Pomigliano e a Mirafiori. Oppure abbiamo reso la vita difficile ai progetti di investimento di Abn Amro su Antonveneta nel 2005, di Air France KLM su Alitalia nel 2008, di Lactalis su Parmalat nel 2011.

Il caso Electrolux segna il fallimento del modello industriale nel Nord Italia?
Io direi, piuttosto, la crisi di un sistema-Paese incapace di allinearsi agli altri Paesi maggiori almeno su sette fronti: quelli dell’ordinamento fiscale, dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche e soprattutto di quella giudiziaria, del costo dell’energia, del costo dei servizi alle imprese, troppo alto per difetto di concorrenza, del sistema delle relazioni industriali, della legislazione del lavoro, dell’efficienza dei servizi di formazione e collocamento nel mercato del lavoro.

Quali sono le responsabilità del sindacato?
Dei sette fronti che ho menzionato, uno solo è di stretta competenza del sindacato: quello delle relazioni industriali. Qui, sia pure in grave ritardo, negli ultimi anni il movimento sindacale ha fatto dei passi avanti importantissimi, con lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso la periferia, cioè il potenziamento del contratto aziendale rispetto a quello nazionale. Basti pensare che ancora nel 2010 la Fiom-Cgil considerava le tre deroghe al contratto nazionale chieste dalla Fiat-Chrysler a Pomigliano come un “attentato ai diritti fondamentali dei lavoratori”. Con l’accordo interconfederale del giugno 2011 si è voltato pagina rispetto a quel modo di intendere l’intangibilità del contratto nazionale. Però  ci sono ancora ampi settori del movimento sindacale che quella svolta non l’hanno digerita affatto.

È ancora possibile, e in che modo, convincere le multinazionali a fermarsi in Italia?
Certo che è possibile. Non solo a fermarsi, ma a portare qui nuovi insediamenti. Per questo non basta migliorare le cose su uno o due dei sette campi che ho elencato sopra: occorre farlo su tutti e sette insieme. E con molta decisione. Basterebbe lanciare alcuni segnali di inversione di tendenza: per esempio, mettere subito in cantiere alcune delle misure più importanti indicate nel documento Destinazione Italia, pubblicato dal Governo nel settembre scorso e fin qui rimasto lettera morta. Sul versante lavoro: la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, il Codice semplificato del lavoro, la sperimentazione del contratto di ricollocazione per riconvertire e reinserire i disoccupati nel tessuto produttivo e non continuare a spendere fiumi di soldi in Cassa integrazione a perdere.

Prima della bagarre sulla legge elettorale, Renzi era partito proprio con la proposta sul lavoro. Quali le luci e le ombre del Jobs Act?
Per parlare di luci e ombre occorrerebbe conoscerne il contenuto. Per ora della proposta del PD si conoscono soltanto sei titoli di capitoli: troppo poco. Credo che il PD farebbe bene ad attingere alle proposte di Scelta Civica sui tre punti di cui ho parlato prima: abbattimento del costo del lavoro, Codice semplificato e contratto di ricollocazione.

In che tempi potrà funzionare il contratto di ricollocazione voluto da Scelta civica nella legge di Stabilità?
Ogni Regione può far partire la sperimentazione anche subito. Il Lazio, il Trentino e la Lombardia si stanno attrezzando. Giovedì vengo a Trieste proprio per discutere di come avviarla anche in Friuli Venezia Giulia.
Secondo lei è il caso di investire nella riqualificazione dei servi pubblici per l’impiego o consegnare domanda e offerta al libero mercato del lavoro?
Il contratto di ricollocazione serve proprio per realizzare la migliore sinergia tra servizio pubblico e imprese private specializzate: il Centro per l’Impiego riceve il lavoratore, ne determina il grado di collocabilità, lo informa sugli obblighi che derivano dal contratto e sulle imprese accreditate disponibili, lo invita a scegliere tra di esse quella a cui affidarsi, gli mette a disposizione un voucher opportunamente determinato, cioè il buono necessario per pagare il servizio, che però sarà pagabile solo a risultato ottenuto.

Che ne sarà di Scelta Civica alle prossime elezioni?
SC, insieme a Italia Futura, ad ALI e ad altre associazioni e movimenti civici, rappresenterà in Italia l’area politica che nel Parlamento Europeo si riconosce nell’ALDE, l’Alleanza dei Liberal-Democratici per l’Europa. Faremo le primarie a marzo per la composizione delle liste. E puntiamo almeno al 10 per cento dei voti che abbiamo avuto nelle politiche dell’anno scorso.
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