OUTPLACEMENT: COME FUNZIONA IL RICOLLOCAMENTO AZIENDALE

SECONDO L’ISTAT CHI CERCA LAVORO SENZA ASSISTENZA SPECIALISTICA OGGI CI METTE IN MEDIA QUINDICI MESI – INVECE CON L’OUTPLACEMENT AZIENDALE LO TROVA IN CINQUE-SEI MESI

Articolo di Paola Caruso pubblicato sul Corriere della Sera del 21 febbraio 2014

L’outplacement (il servizio di ricollocamento che le aziende offrono ai licenziati) in Italia si adopera meno che in altri Paesi europei. «In Belgio, Francia e Finlandia, per citare qualche caso, l’attività coinvolge un elevato numero di candidati — spiega Marco Tagliabue, amministratore delegato di Corium, società di Openjobmetis — parliamo di un ordine di grandezza che è di circa 10 volte superiore rispetto a quello del Bel Paese». Ma l’outplacement sta crescendo (si stima un incremento del 10% nel 2014) e con buoni risultati. «Circa il 90% delle persone, tra manager, quadri e impiegati, trova lavoro in 5 o 6 mesi con l’outplacement», precisa Tagliabue. Mentre, in media, chi cerca un’occupazione con le proprie forze riesce a ottenere un’assunzione in 15 mesi o più (ultimo rapporto Istat). Come si spiega questa differenza di tempo? «Le persone, da sole, non sanno da che parte iniziare — precisa Cetti Galante, amministratore delegato di Intoo, società di Gi Group —: soltanto il 15% delle posizioni aperte si trovano in inserzione, secondo Unioncamere, mentre l’85% dei posti sono nascosti. Sono convinta che ormai i tempi siano maturi per rendere obbligatorio l’outplacement per le imprese che licenziano. Il servizio si potrebbe finanziare anche con fondi europei, regionali o interprofessionali e i benefici per lo Stato sarebbero enormi: per ogni 150 mila persone a cui si dà l’outplacement lo Stato risparmia quasi un miliardo di euro di ammortizzatori sociali perché i tempi del ricollocamento sono più rapidi di 6 mesi rispetto ai tempi normali».
Dal punto di vista delle retribuzioni i ricollocati non si lamentano: l’80% riesce a ottenere uno stipendio uguale o superiore a quello precedente. Il dato non è scontato, visto che chi è ai margini del mercato del lavoro ha un potere negoziale limitato. «Le aziende cercano il meglio — sottolinea Tagliabue — e quando individuano il soggetto in grado di assumere l’incarico, non badano al risparmio, ma vogliono che il nuovo assunto sia soddisfatto, per cui sono disposte a pagare il giusto». Nella maggior parte dei casi il contratto è a tempo determinato e per gli over 50, soprattutto colletti bianchi, le chance maggiori si hanno con incarichi da consulente o a partita Iva. «Per la mia esperienza, il 30% rientra direttamente a tempo indeterminato, contro una media nazionale del 17% — commenta Galante —. Si tratta per lo più di 30enni o 40enni. Ma tra quelli che ripartono con il tempo determinato, 6 su 10 ottengono il tempo indeterminato dopo due anni». E’ difficile che qualcuno scenda di livello: un dirigente di rado viene preso come quadro. E poi c’è chi, magari con i capelli bianchi, decide di diventare imprenditore. «Circa il 25% dei manager e il 12% degli impiegati affidati alla mia società ci ha chiesto aiuto per mettere in piedi un’azienda — dice Galante — per cui abbiamo anche supportato questi neoimprenditori, rimanendogli accanto per un anno nella fase di start-up, in modo da minimizzare i rischi di fallimento».

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