IL GIORNALE: INTERVISTA SULLA RIFORMA DEL LAVORO

UN BILANCIO DELLA LEGGE FORNERO E UNO SGUARDO AL PROSSIMO FUTURO: FLEXSECURITY E CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE PER RENDERE EFFICACI I SERVIZI PER L’IMPIEGO

Intervista a cura di Giacomo Govoni per il Giornale, inserto Dossier, pubblicata il 14 marzo 2014

L’ordinamento del nostro mercato del lavoro denuncia ancora impronte “bizantine”. Quali sono i punti più obsoleti e non al passo col mondo globale?
I punti obsoleti sono davvero molti, non solo nella legislazione in materia di lavoro, stratificata nell’arco di cinque decenni, ma anche nei contratti collettivi nazionali: basti pensare che la parte relativa all’organizzazione del lavoro dei contratti relativi ai settori produttivi maggiori risale alla prima metà degli anni ’70.

Quali effetti sta producendo la riforma Fornero sullo scenario occupazionale italiano?
La legge n. 92 del 2012 ha alcuni gravi difetti, incominciando dalla sua illeggibilità. Ritengo sbagliate anche la norma sulle dimissioni del lavoratore e quella che ha aumentato gli intervalli minimi nel caso di ripetizione tra i contratti a termine; questa verrà opportunamente corretta proprio in questi giorni. Invece la legge Fornero ha prodotto effetti molto positivi sul terreno della disciplina dei licenziamenti, dove la modifica dell’articolo 18 dello Statuto si sta rivelando più efficace del previsto: più della metà dei procedimenti di conciliazione su licenziamenti individuali per motivo oggettivo, che prima erano difficilissimi se non impossibili, sta dando esito positivo. Ma il merito maggiore di questa legge sta nell’avere impostato la riforma degli ammortizzatori sociali, con l’istituzione dell’assicurazione universale contro la disoccupazione (ASpI) e la riconduzione della Cassa integrazione alla sua funzione originaria. Anche se quest’ultimo effetto è differito al 2017. Ora dobbiamo attuare e accelerare questa riforma: ed è ciò a cui stiamo lavorando.

In tema di precariato, che ovviamente investe soprattutto i giovani, quanto siamo ancora distanti dalla “sua” flexsecurity e quali interventi ritiene prioritari per mitigarlo?
Se vogliamo rilanciare il contratto di lavoro a tempo indeterminato regolare, dobbiamo renderlo più semplice, più snello e meno costoso. Soprattutto in questo momento, nel quale gli imprenditori italiani affrontano la situazione di maggiore incertezza, anche a breve termine, rispetto all’ultimo mezzo secolo. Questo è il terreno sul quale la legge Fornero ha maggiormente deluso; ma ora, con il Codice semplificato del Lavoro, ci muoviamo rapidamente e incisivamente in quella direzione.

Reddito minimo garantito: al di là della sostenibilità, le sembra una strada buona e compatibile con le strategie di rilancio occupazionale?
Non parlerei di “reddito minimo garantito”, ma di “reddito minimo di inserimento”. Che vuol dire un’altra cosa: esso implica che il sostegno del reddito deve essere strettamente condizionato alla disponibilità della persona interessata per le misure tendenti al suo inserimento nel tessuto produttivo. Per realizzarlo, abbiamo bisogno di due cose: innanzitutto di acquisire il know-how per applicare effettivamente la condizionalità del sostegno del reddito, che ancora non abbiamo; dobbiamo incominciare ad acquisirlo con la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione per i lavoratori che godono del trattamento di disoccupazione. La seconda cosa che occorre è destinare al reddito minimo di inserimento tutte le risorse che oggi disperdiamo in mille rivoli di assistenza disordinata e priva di ogni condizionalità: Cassa integrazione in deroga, Cassa integrazione straordinaria erogata in situazioni in cui non dovrebbe esserlo, pensioni di invalidità erogate in alcune province in percentuali molto maggiori rispetto ad altre province, lavori cosiddetti socialmente utili dove di lavoro c’è poco o niente e c’è solo una indennità.

In termini di politiche del lavoro cosiddette “attive”, alcune Regioni stanno avviando la sperimentazione del contratto di ricollocazione, cui lei ha accennato prima. Quanto può incidere questo strumento sulle dinamiche occupazionali future?
Può incidere moltissimo. Innanzitutto perché il contratto di ricollocazione implica la responsabilizzazione del disoccupato: lo Stato ti dà il sostegno del reddito, tu scegli l’agenzia specializzata tra quelle accreditate presso la Regione, ma ti impegni poi a cooperare con il tutor che l’agenzia ti affiancherà in tutto ciò che occorrerà fare per trovare una occupazione; e se non lo farai, perderai il trattamento di disoccupazione. L’agenzia specializzata, dal canto suo, verrà retribuita dalla Regione soltanto se ti avrà collocato per davvero, in un rapporto di lavoro della durata di almeno sei mesi. Se il tutor dell’agenzia sarà troppo severa, il lavoratore non la sceglierà; se sarà troppo poco severa, non riuscirà a collocare il lavoratore e perderà il compenso previsto.

Dal suo libro Il Lavoro spiegato ai ragazzi si evince  che per scongiurare una ripresa senza lavoro servono sacrifici. Da parte di chi e quali in particolare?
Veramente in quel libro dico un’altra cosa: dico che non ci si possono attendere gli investimenti da uno Stato indebitato fino al collo, che non può né aumentare l’indebitamento, né aumentare le tasse, né battere moneta. Questo Stato può soltanto cercare di ridurre l’enorme quantità degli interessi passivi che spende ogni anno sul proprio debito: oggi sono circa 85 miliardi all’anno; ma per ridurli occorre cercare di ridurre il debito e di ridurre il tasso di interesse su di esso: quindi occorre tenere i conti in ordine. Detto questo, la vera grande leva sulla quale possiamo agire per avere nuovi investimenti  consiste nell’aumento del flusso degli investimenti stranieri: ai quali oggi siamo quasi ermeticamente chiusi. Per questo occorre migliorare l’efficienza delle amministrazioni e delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto, ridurre il costo dell’energia che oggi è del 25% più alto in Italia rispetto al resto d’Europa, semplificare la nostra legislazione del lavoro allineandola ai migliori standard europei, e correggere drasticamente la tradizionale ostilità del nostro sistema delle relazioni industriali rispetto alle multinazionali e ai loro piani industriali innovativi.

Il nuovo Governo “promette” di riformare il mercato del lavoro in poco più di un mese. Le sembra una stima realistica e, in concreto, quante risorse occorrono e dove attingerle?
Il contenuto del provvedimento è stato approvato oggi [12 marzo 2014] dal Consiglio dei Ministri. Ora sarà molto importante che il Parlamento lo faccia camminare in fretta e bene. Se si riformano davvero come si deve i servizi per l’impiego e gli ammortizzatori sociali, la riforma si finanzierà da sé: oggi su questo capitolo sprechiamo fiumi di miliardi: in Cassa integrazione attivata dove non la si doveva attivare, in formazione professionale di cui nessuno controlla l’efficacia, il lavoratori che perdono il posto e vengono “messi in freezer” per anni.

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