LA RELAZIONE SUL DECRETO POLETTI IN COMMISSIONE LAVORO AL SENATO

NONOSTANTE LE MODIFICHE APPORTATE DALLA CAMERA DEI DEPUTATI, IL DECRETO SUL LAVORO RESTA UN PASSAGGIO IMPORTANTE IN DIREZIONE DI UNA REGOLAZIONE PIÙ SEMPLICE E DI UN MERCATO PIÙ FLUIDO – IL PROVVEDIMENTO DOVREBBE ESSERE PERÒ RIEQUILIBRATO SUL VERSANTE DEL RAPPORTO A TEMPO INDETERMINATO

Relazione alla Commissione Lavoro del Senato, in apertura della discussione generale sul decreto-legge n. 34 in materia di lavoro, 29 aprile 2014 – In argomento v. anche il mio primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 294 e la documentazione disponibile nella sezione Lavoro di questo sito sugli sviluppi della discussione sul decreto in Senato.

RELAZIONE

Sommario: 1. Il disegno complessivo di trasformazione del mercato del lavoro. – 2. La parte del decreto riguardante la disciplina del contratto a termine (articolo 1). – 3. Le nuove disposizioni riguardanti l’apprendistato (articolo 2). – 4. La norma transitoria relativa ai limiti di applicabilità delle nuove disposizioni in materia di contratto a termine e di apprendistato (articolo 2-bis). – 5. Le disposizioni in materia di iscrizione all’elenco anagrafico (articolo 3). – 6. Le disposizioni in materia di verifica telematica della regolarità contributiva (articolo 4). – 7. Le disposizioni in materia di contratti di solidarietà (articolo 5).

 

Signor Presidente, onorevoli colleghi – Il decreto-legge che ci accingiamo a discutere costituisce la prima tappa di un disegno ambizioso di trasformazione del mercato del lavoro italiano.

1. Il disegno complessivo

Con la riforma delineata nel disegno di legge-delega n. 1428/2014, il cui esame da parte di questa Commissione è già in corso, il Governo si propone di semplificare incisivamente l’impianto della nostra legislazione di fonte nazionale in materia di lavoro e di modificarne il contenuto essenziale secondo il modello della flexsecurity, oggetto delle raccomandazioni ripetutamente rivolte negli anni recenti dall’Unione Europea agli Stati membri: un modello che implica essenzialmente la coniugazione del massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza professionale ed economica delle persone coinvolte nelle crisi occupazionali e nei processi di mobilità dai vecchi posti di lavoro ai nuovi. Sicurezza, dunque, non più costruita sull’ingessatura del rapporto di lavoro, bensì sull’efficacia del sostegno del reddito e dell’assistenza assicurata alle persone interessate dagli inevitabili passaggi tra posti di lavoro diversi, che già costituiscono e sempre più costituiranno eventi fisiologici, del tutto normali, nella vita professionale di ciascuno.

Nell’immediato, in via provvisoria, il decreto-legge al cui esame ci stiamo accingendo mira essenzialmente ad anticipare gli effetti di questa riforma, allentando subito i vincoli concernenti la costituzione dei nuovi rapporti di lavoro secondo i nuovi principi cui si ispirerà l’ordinamento delineato nel disegno di legge-delega. Esso, dunque, rimuove in parte il diaframma di natura normativa che oggi ostacola indebitamente l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, con l’intendimento di produrre fin d’ora uno shock positivo sul mercato, un aumento sensibile del flusso delle assunzioni di lavoratori nelle aziende. Se è vero, infatti, che le norme non hanno il potere di “creare lavoro”, è altrettanto vero che esse hanno il potere di impedire l’incontro fra domanda e offerta nel mercato dell’occupazione. E proprio questo appare oggi il caso del nostro Paese, dove un diritto del lavoro ancora strutturato nella sua parte centrale secondo le caratteristiche del tessuto produttivo di cinquant’anni or sono mal si adatta alla fluidità e volatilità del tessuto produttivo attuale.

Le imprese italiane si trovano oggi di fronte alle opportunità straordinarie offerte dal combinarsi dell’incipiente uscita del Paese dalla recessione con una ripresa economica già avviata nel resto del Continente e con gli effetti benefici di Expo 2015; ma si trovano a operare in condizioni di altrettanto straordinaria incertezza riguardo al futuro, anche a breve termine. Un’incertezza che non ha l’uguale in alcun altro periodo precedente nell’ultimo secolo, perché essa deriva non soltanto dall’imprevedibilità del quando e del quanto dell’inversione del trend congiunturale nazionale, ma anche dall’imprevedibilità di variabili geopolitiche globali che mai quanto oggi hanno avuto il potere di sconvolgere i mercati interni e internazionali. D’altra parte, l’accelerazione del ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate, dei materiali utilizzati per la produzione, degli stessi prodotti, induce a pensare che anche per questo aspetto la maggiore incertezza riguardo al futuro prossimo caratterizzerà stabilmente il contesto in cui le nostre imprese dovranno operare, pur in presenza di prospettive nettamente migliori rispetto al recente passato.

La metà in espansione delle nostre imprese incomincia dunque finalmente ad avere la possibilità di aumentare in misura assai rilevante la propria domanda nel mercato del lavoro, consentendo al Paese di recuperare rapidamente il terreno perduto nell’ultimo triennio; ma è frenata dal rischio che il contesto generale, o quello particolare che riguarda ciascuna di esse, possa mutare in senso negativo anche nel breve giro di pochi anni, se non addirittura di pochi mesi. Anche il sistema dei servizi nel mercato del lavoro e delle norme che regolano questo mercato deve adattarsi a un tessuto produttivo più mobile e fluido; e questo adattarsi deve avvenire molto rapidamente, se vogliamo consentire alla parte più vitale del nostro sistema produttivo di approfittare della ripresa già in atto nel resto del continente e al sistema Italia di recuperare entro il prossimo triennio il terreno perduto nel triennio passato, sfruttando ogni occasione di incremento del lavoro, anche i rivoli più deboli ed esposti a un rischio di possibile cessazione.

 

2. La parte del decreto riguardante la disciplina del contratto a termine (articolo 1)

Il decreto al nostro esame si fa carico dell’esigenza urgente di consentire alle imprese lo sfruttamento di qualsiasi opportunità di aumento del volume produttivo e degli organici, intervenendo in modo incisivo ed efficace sulla possibilità di utilizzare lo strumento del contratto a termine. Il primo comma dell’articolo 1 rimuove drasticamente il vincolo della motivazione non soltanto per il primo contratto a tempo determinato con cui una persona viene ingaggiata entro il limite temporale di dodici mesi (come già consentito dalla legge n. 92 del 2012), ma anche per i rinnovi o proroghe fino a un limite massimo complessivo di trentasei mesi. Il dettato della direttiva europea n. 70 del 1999 viene rispettato col mantenere, insieme al limite complessivo triennale di cui si è detto, l’imposizione di un limite percentuale massimo – pari al 20 per cento dell’organico stabile censito al 1° gennaio dell’anno in corso – di rapporti di lavoro a termine in ciascuna azienda. L’abbassamento del numero massimo delle proroghe o rinnovi del contratto a termine da otto a cinque, con cui la Camera dei Deputati ha ritenuto di imporre una durata media di non inferiore a sei mesi di ciascun periodo contrattuale convenuto tra le parti nei casi in cui il rapporto copra l’intero triennio consentito (lettera b del comma 1), non sembra alterare significativamente la portata dell’innovazione normativa.

Se un difetto può essere ravvisato in questa parte del provvedimento, esso consiste semmai nel fatto che essa finisce coll’offrire alle imprese e ai lavoratori un solo sotto-tipo legale del rapporto di lavoro dipendente ordinario per far fronte alla straordinaria incertezza anche nel breve periodo: quello del contratto a termine. Un contratto, questo, che paradossalmente presupporrebbe per sua natura, al contrario, l’accordo programmatico tra le parti su di una collaborazione della quale fosse prevedibile tanto il perdurare dell’utilità per l’impresa per un periodo precisamente predeterminato, quanto il venir meno dell’utilità medesima alla fine del lasso di tempo convenuto. A ben vedere, la forma giuridica di rapporto di lavoro che, invece, per sua natura meglio si adatterebbe all’incertezza circa il futuro, a breve e medio termine, sarebbe quella di un contratto a tempo indeterminato dal quale ciascuna delle parti potesse almeno nei primi anni,  sopportando un costo di separazione predeterminato e ragionevole, recedere dal rapporto nel momento in cui venisse meno l’interesse alla prosecuzione della collaborazione, essendo garantito in tal caso al lavoratore il necessario sostegno nel mercato; questa forma giuridica resta invece regolata secondo uno schema – inaugurato nel settore privato circa mezzo secolo fa, sostanzialmente sul modello dell’impiego pubblico – corrispondente a un tessuto produttivo nel quale era normale che una persona entrasse in azienda in giovane età e ivi rimanesse a lavorare per trenta o quarant’anni, fino al momento del pensionamento. Nell’ultimo quindicennio questa forma tradizionale di rapporto di lavoro a tempo indeterminato è divenuta sempre più inaccessibile per le nuove generazioni; e, come mostra la tabella che segue, è venuta progressivamente perdendo terreno nei flussi delle assunzioni regolari documentati dalle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro, rispetto alle altre forme di rapporto di lavoro, caratterizzate dalla fissazione di un termine finale.

Ripartizione dei flussi di assunzioni regolari per tipo di contratto di lavoro – 2011-2013 (*)

 

Tipo di contratto

2011

 

2012

 

2013

 Contr. a tempo indeterminato

17,8%

17,5%

16,5%

Contratto a termine
compresa la somministrazione
nel settore privato

62,9%

63,6%

68,0%

 Apprendistato

2,8%

2,7%

2,5%

 Coll. continuat. autonoma
Lavoro a progetto

8,5%

7,7%

7,0%

Altri contratti di   lavoro
(contr.   inserimento, contratti di agenzia, spettacolo, lav. interinale nelle p.a.)

 

8,0%

8,5%

6,0%

 Tutti i contratti soggetti   alla comunicazione obbligatoria
(percentuale e valore assoluto)

100%

10.439.516

100%

10.251.383

100%

9.613.990

(*) Fonte: Comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

La tabella mostra come nei soli ultimi tre anni la frazione delle assunzioni a tempo indeterminato, già assai ridotta – tra una su sei e una su sette rispetto al totale –, abbia subito una perdita di un punto e mezzo, a fronte di un aumento di cinque punti della percentuale dei contratti a termine (dovuta per circa un terzo all’assorbimento in questa categoria di contratti di lavoro a progetto borderline, o simulati, resi non più praticabili dalla legge n. 92/2012).

L’aumento dell’imprevedibilità delle variabili rilevanti per la programmazione degli investimenti induce dunque le imprese, restando inalterata la struttura tradizionale del rapporto a tempo indeterminato anche nella sua fase iniziale, a utilizzare in misura già oggi largamente predominante il contratto a termine per l’ingaggio dei nuovi dipendenti. Anche quando, in realtà, il “programma contrattuale implicito” ha un orizzonte più ampio: cioè quando l’intendimento è nel senso di una durata a tempo indeterminato “salvo il caso di sopravvenienze negative”. È certamente positivo che, in questo passaggio cruciale per la nostra economia, il ricorso al contratto a termine da parte delle imprese venga il più possibile facilitato; ma dobbiamo chiederci se l’obiettivo della facilitazione dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro non debba essere perseguito in via d’urgenza anche attraverso una facilitazione del contratto che dovrebbe costituire la forma normale di assunzione, cioè del contratto a tempo indeterminato, il quale invece già oggi costituisce la forma di una sola assunzione ogni sei e rischia di essere ulteriormente e fortemente marginalizzato nel flusso delle nuove assunzioni. Nella valutazione su questo punto occorrerà tenere conto anche del fatto che difficilmente le imprese – al di fuori del contratto di apprendistato – investono sulla formazione professionale di un lavoratore assunto a termine: le iniziative di formazione in azienda sono infatti solitamente riservate ai titolari di contratto a tempo indeterminato. Anche i lavoratori, del resto, sono solitamente indotti a investire sulla propria competenza specifica, in relazione alla posizione di lavoro occupata, dal fatto che il contratto di cui sono titolari rispecchi un programma di collaborazione con orizzonte più ampio di quello che può essere rispecchiato da un contratto a termine di sei mesi o un anno. In altre parole, l’aumento della frazione di contratti a tempo indeterminato nel flusso delle assunzioni avrebbe anche un effetto positivo sulla qualità del “capitale umano” di cui le nostre imprese dispongono.

È questo il motivo per cui andrà attentamente valutata la possibilità di completare l’intervento legislativo d’urgenza offrendo a imprese e lavoratori una terza opzione (non certo terza per importanza), in aggiunta al contratto a termine e all’apprendistato: quella di un primo triennio di contratto a tempo indeterminato con possibilità di scioglimento condizionato a un costo di separazione proporzionato all’anzianità di servizio. Una norma provvisoria con questo contenuto avrebbe l’effetto straordinariamente positivo di sdrammatizzare la scelta tra assunzione a termine e a tempo indeterminato: il contratto a termine presenterebbe per l’impresa un maggior costo contributivo (per il contributo differenziale relativo all’assicurazione contro la disoccupazione) e una maggiore rigidità in corso di rapporto (per la non recedibilità ante tempus), a fronte di una maggiore flessibilità del contratto a tempo indeterminato nel corso del triennio, limitata però da un costo di cessazione non previsto per il contratto a termine. Con questo, senza minimamente incidere sulle posizioni di lavoro già costituite prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, si porrebbero in via provvisoria le basi sperimentali per la riforma organica della materia delineata nel disegno di legge-delega n. 1428/2014, evitando il rischio che l’allentamento dei vincoli sul solo contratto a termine determini una innaturale e non auspicabile contrazione ulteriore della quota di assunzioni a tempo indeterminato nel flusso generale delle nuove assunzioni.

Andrà infine valutata anche l’opportunità di esentare dal limite massimo del 20 per cento d’organico gli enti di ricerca, presso i quali non solo la struttura ma anche la composizione qualitativa degli organici è direttamente correlata a ciascun progetto di ricerca, che ha per lo più un suo preciso momento iniziale e momento finale.

 

3. Le nuove disposizioni riguardanti l’apprendistato (articolo 2)

L’articolo 2 del decreto al nostro esame interviene sulla materia del contratto di apprendistato, apportando alcune novelle al testo unico in vigore (d.lgs. n. 167/2011). Il comma 1, lettera a), numero 1 di questo articolo, come modificato dalla Camera dei Deputati, prevede che il contratto scritto contenga il piano formativo individuale

fin dall’inizio, mentre la disciplina  previgente prevedeva un termine di 30 giorni dall’inizio del rapporto per la sua redazione, e il testo originario del decreto eliminava del tutto questo obbligo;

– ma in forma sintetica, mentre la disciplina previgente prevedeva la necessità di una sua definizione dettagliatamente compiuta, che favoriva il sorgere di contenzioso giudiziale ex post circa la perfezione dell’adempimento dell’obbligo formativo.

Le disposizioni che compaiono sotto i numeri 2 e 3 della stessa lettera a) modificano la regola previgente che condizionava la possibilità di assunzione di nuovi apprendisti da parte di imprese con più di 10 dipendenti a una percentuale del 30 per cento (50 per cento dal 19 luglio 2015) di conversione di rapporti di apprendistato in contratti di lavoro ordinario nel periodo precedente. In particolare, mentre il testo originario del decreto dispone la soppressione di quella condizione, il testo modificato dalla Camera dei Deputati la modifica:
– elevando a 30 dipendenti la soglia dimensionale al di sopra della quale la condizione si applica;
– abbassando al 20 per cento la percentuale minima di conversione di rapporti di apprendistato precedenti in contratti di lavoro ordinario per l’assunzione di nuovi apprendisti;
– riferendo la suddetta percentuale al triennio precedente la costituzione di nuovi contratti di apprendistato
– resta invece invariata rispetto alla disciplina previgente la disciplina, invero assai complessa, dei criteri di computo dei rapporti di apprendistato convertiti in lavoro ordinario e delle franchigie per l’impresa.

Sotto la lettera b) dello stesso articolo 2 compare una disposizione che fissa un criterio per la determinazione della retribuzione dell’apprendista, applicabile per default laddove manchi una disposizione collettiva applicabile.

La disposizione di cui alla lettera c) concerne la formazione del lavoratore assunto con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere. Questa la sua evoluzione:

la normativa finora vigente prevede che tale formazione oggetto del contratto sia integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla formazione di iniziativa pubblica (da svolgersi all’interno o all’esterno all’azienda), intesa all’acquisizione di competenze di base e trasversali, per un monte complessivo non superiore a 120 ore per la durata del triennio e disciplinata dalle regioni, sentite le parti sociali e tenuto conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista;

   la novella nel testo originario del decreto era intesa a rendere facoltativa tale componente pubblica della formazione;

nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla Camera, la componente in esame è posta come obbligatoria, ma si introduce una fattispecie di esclusione dall’obbligo per il datore di lavoro: l’esenzione è riconosciuta qualora la Regione non provveda a comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni dall’ordinaria comunicazione della costituzione del rapporto al Centro per l’impiego competente per territorio, le modalità per usufruire dell’offerta formativa pubblica, secondo le linee guida adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome il 20 febbraio 2014. Occorrerà valutare, per un verso, la compatibilità di questa esenzione con la normativa europea e la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo in proposito in materia di configurabilità dell’aiuto di Stato nello sgravio contributivo concesso per contratti a causa mista (lavoro e formazione) nei quali il contenuto formativo specifico sia evanescente; per altro verso l’opportunità di consentire che anche questa componente del contenuto formativo del rapporto di apprendistato possa essere impartita dall’impresa datrice di lavoro, quando essa sia per questo adeguatamente attrezzata.

Una disposizione ulteriore qui inserita dalla Camera dei Deputati come comma 2-bis prevede che i contratti di apprendistato, facenti parte del programma sperimentale – da definirsi con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’economia e delle finanze[1] – per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016, possano essere stipulati anche in deroga ai limiti di età stabiliti per i contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca. Va osservato che per questi ultimi il limite minimo di età è pari a diciotto anni (oppure diciassette anni, per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita nell’ambito del sistema educativo di istruzione e formazione), mentre il limite massimo di età è pari a ventinove anni[2]. Considerato che il programma concerne le scuole secondarie (di secondo grado), potrebbe essere opportuno esplicitare che la deroga va intesa come riferita al solo limite minimo di età.

 

4. La norma transitoria relativa ai limiti di applicabilità delle nuove disposizioni in materia di contratto a termine e di apprendistato (articolo 2-bis)

L’articolo 2-bis,  inserito nel decreto dalla Camera dei Deputati, definisce alcuni profili transitori relativi alle modifiche della disciplina in materia di contratti di lavoro a termine e di contratti di apprendistato, di cui, rispettivamente, agli articoli 1 e 2 esaminati nei paragrafi precedenti.

Il comma 1 di questo articolo aggiunto specifica che le disposizioni di cui ai due articoli precedenti si applicano ai rapporti di lavoro costituiti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto e che sono fatti salvi gli effetti già prodotti dalle norme inserite dal presente decreto (e poi modificate o soppresse in sede di conversione in legge). Va osservato a questo proposito che con l’avverbio “successivamente” si fa riferimento non alla data di entrata in vigore del decreto, ma al giorno successivo, con conseguente esclusione dei contratti stipulati nel primo giorno. Considerato che, come risulta dalla tabella riportata sopra, i contratti a termine stipulati nel corso di ciascun giorno lavorativo in Italia sono mediamente più di 25.000, e i contratti di apprendistato circa 1.000, non è peregrino chiedersi se non sia il caso di correggere la formulazione della disposizione, per evitare che una tale quantità di rapporti resti esclusa dall’applicazione della nuova normativa senza ragione alcuna (e anzi con un più che fondato sospetto di incostituzionalità dell’esclusione).

 

5. Le disposizioni in materia di iscrizione all’elenco anagrafico (articolo 3)

Il comma 1 dell’articolo 3 – nel quale la Camera ha operato modifiche esclusivamente formali – specifica che nell’elenco anagrafico dei servizi pubblici per l’impiego possono iscriversi anche i cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea e i soggetti extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia. Si ricorda che nell’elenco anagrafico possono iscriversi tutti i soggetti aventi l’età prevista per l’ammissione al lavoro, indipendentemente dallo stato di occupazione o disoccupazione e dal luogo di residenza. L’unico rilievo, a questo proposito, riguarda il fatto che il comma in esame novella un atto di rango regolamentare, così legificando una materia che dovrebbe essere per sua natura riservata alla discrezionalità del Governo in sede di applicazione della regola generale posta dalla legge: poco male in questo caso, salvo osservare che l’ordinamento del lavoro nel nostro Paese soffre di una grave ipertrofia legislativa cui contribuiscono numerosissime disposizioni che – al pari di quella qui in esame – non dovrebbero essere oggetto di provvedimenti di natura legislativa, ma di provvedimenti di rango inferiore, quando non dovrebbero essere riservate all’autonomia collettiva.

Anche nel comma 2 la Camera ha operato modifiche esclusivamente formali. Esso prevede che, ai fini della sussistenza dello “stato di disoccupazione” (a norma del d.lgs. n. 181/2000[3]), la dichiarazione dell’interessato, che attesti l’eventuale attività lavorativa precedentemente svolta, nonché l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, può essere resa presso qualsiasi servizio pubblico per l’impiego competente, mentre la norma previgente faceva riferimento al solo servizio pubblico nel cui ambito territoriale si trovi il domicilio attuale del soggetto. La disposizione – che va nella direzione di una semplificazione burocratica per il lavoratore interessato e che prepara il terreno a un regime di concorrenza (anche) tra Centri pubblici per l’impiego nell’offerta di servizi utili ai disoccupati, trova un precedente conforme nell’articolo 4, comma 38, della legge n. 92/2012, il quale prevede che la stessa dichiarazione, quando sia finalizzata a una domanda di indennità ASpI, possa essere resa dall’interessato all’INPS, il quale trasmette la dichiarazione al servizio competente per territorio mediante il sistema informativo relativo agli ammortizzatori sociali.

 

6. Le disposizioni in materia di verifica telematica della regolarità contributiva (articolo 4)

I commi da 1 a 4 e i commi 5-bis e 6 dell’articolo 4 prevedono la costituzione di un sistema telematico di verifica della regolarità contributiva. Il comma 5 concerne invece le erogazioni di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere, di natura pubblica, nei casi di inadempimento degli obblighi di contribuzione previdenziale ed assistenziale.

La definizione di un sistema telematico di verifica della regolarità contributiva è demandata a un decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali da emanarsi nel rispetto dei termini temporali e della procedura di cui all’alinea del comma 2. La suddetta verifica della regolarità contributiva, operante a decorrere dall’entrata in vigore del decreto ministeriale, sostituisce (comma 1) il documento unico di regolarità contributiva (DURC) per tutte le fattispecie che richiedono quest’ultimo, tranne le ipotesi di esclusione individuate dal medesimo decreto ministeriale. Per le imprese edili, la verifica in questione concerne, oltre alla contribuzione da versare all’INPS e all’INAIL, quella da corrispondere alle Casse edili. L’interrogazione telematica può essere effettuata da chiunque vi abbia interesse, compresa – secondo una specificazione introdotta nella disposizione dalla Camera – la medesima impresa. La risultanza dell’interrogazione telematica ha una validità di 120 giorni.

Il menzionato decreto ministeriale definisce, secondo i criteri indicati nel comma 2, i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica nonché, come detto, le ipotesi in cui essa non è sostitutiva del DURC. Il decreto può essere successivamente aggiornato sulla base delle modifiche normative o dell’evoluzione dei sistemi telematici (comma 4).

L’interrogazione telematica è valida (comma 3) ai fini della verifica circa l’eventuale sussistenza della preclusione della concessione di servizi, lavori e forniture pubblici e della partecipazione ad appalti e subappalti pubblici: preclusione derivante[4] da violazioni gravi, definitivamente accertate, delle norme in materia di contributi previdenziali ed assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui i soggetti siano stabiliti.

Il comma 5-bis – inserito dalla Camera – prevede che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, presenti una relazione alle Camere sull’attuazione del sistema telematico suddetto.

La novella di cui al comma 5, sopprimendo le parole “in quanto compatibile”, prevede in termini assoluti che dalle erogazioni di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere, di natura pubblica (ivi comprese le risorse per investimenti derivanti dall’Unione europea), per i quali sia richiesta l’acquisizione del DURC, siano trattenuti gli eventuali importi di contribuzione che risultino (in base al medesimo DURC) non pagati.

Il comma 6 reca le clausole di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica.

 

7. Le disposizioni in materia di contratti di solidarietà (articolo 5)

L’articolo 5 reca nuove disposizioni in materia di contratti di solidarietà[5], ispirate al caso recente di crisi aziendale della società Electrolux. Mentre il comma 1-ter reca una norma finale, valida per tutti i contratti summenzionati, i commi 1 e 1-bis modificano la disciplina di uno degli eventuali benefici connessi alla stipulazione di tali contratti, consistente nella riduzione provvisoria della quota di contribuzione previdenziale a carico del datore, con riferimento ai soli dipendenti interessati da una riduzione dell’orario di lavoro superiore al 20 per cento.

Il comma 1 prevede che, con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, siano stabiliti criteri per la concessione (entro i limiti delle risorse disponibili) del suddetto beneficio e dispone uno stanziamento per il medesimo; il finanziamento è pari a 15 milioni di euro annui, a decorrere dal 2014, ed è operato a valere sulle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione (va ricordato a questo proposito che negli ultimi anni, il beneficio non è stato più operativo per insussistenza di risorse). Il comma 1-bis – inserito dalla Camera – prevede una revisione della disciplina di tale riduzione provvisoria, fissando la misura della stessa in termini univoci al 35 per cento. Nella disciplina vigente, la misura percentuale è pari invece al 25 per cento nel centro-nord, al 30 per cento nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, ed è elevata, rispettivamente, al 35 ed al 40 per cento per i casi di riduzione dell’orario di lavoro (contemplata nei contratti di solidarietà) superiore al 30 per cento. Resta fermo che la riduzione in oggetto è riconosciuta per un periodo non superiore a 24 mesi.

Il comma 1-ter – anch’esso introdotto dalla Camera – prevede che i contratti di solidarietà (sottoscritti secondo la normativa vigente) siano depositati presso l’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, gestito dal CNEL.

Le osservazioni svolte nel § 5 in riferimento all’articolo 3, circa l’indebito appesantimento della legislazione in materia di lavoro con disposizioni che dovrebbero trovare la loro sede naturale in provvedimenti di natura regolamentare, valgono anche in riferimento ad alcune delle disposizioni testé menzionate, contenute negli articoli 4 e 5 del decreto in esame. In sede di elaborazione dei criteri di semplificazione della normativa in materia di lavoro, nella legge-delega a ciò dedicata (d.d.l. n. 1428/2014), dovrà essere previsto un drastico sfrondamento delle norme legislative di questo genere e trasferimento del loro contenuto in provvedimenti di rango normativo inferiore.

 


NOTE

[1] A norma dell’art. 8-bis, comma 2, del d.-l. n. 194/2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 128/2013. Il decreto ministeriale individua le imprese che possono partecipare al programma, i relativi requisiti, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi.

[2] A norma dell’art. 5 del citato testo unico dell’apprendistato, di cui al già citato d.lgs. n. 167/2011.

[3] A norma dell’art. 1, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 181/2000, lo stato di disoccupazione va ravvisato nella condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento e alla ricerca di un’attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti.

[4] A norma dell’art. 38, comma 1, lettera i), del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, di cui al d.lgs. n. 163/2006.

[5] I contratti di solidarietà – previsti originariamente dal d.-l. n. 726/1984 – sono accordi aziendali aventi a oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro e della retribuzione, per conseguire finalità di difesa dei livelli occupazionali esistenti, oppure di aumento dei livelli medesimi. Nel primo caso con intervento della Cassa integrazione guadagni per la copertura del 50 per cento della perdita retributiva; per i contratti di solidarietà “espansivi” sono invece riconosciuti incentivi in favore del datore di lavoro, con riferimento alle nuove assunzioni effettuate.

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