LIBERO: SUBITO I CONTRATTI DI RICOLLOCAZIONE PER ALITALIA

PERCHÉ LA SPERIMENTAZIONE DEI NUOVI SERVIZI DI ASSISTENZA INTENSIVA PER IL REINSERIMENTO NEL TESSUTO PRODUTTIVO DEI LAVORATORI LICENZIATI DALLA COMPAGNIA DI BANDIERA, PER ESSERE EFFICACE, DEVE PARTIRE AL PIÙ PRESTO

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata da Libero il 14 novembre 2014 – In argomento v. gli altri documenti raccolti nel Portale del contratto di ricollocazione

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Il primo “via” alla sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione arrivò nel dicembre 2013, con una norma contenuta nella legge di stabilità che era stata fortemente sollecitata dal senatore Pietro Ichino. Da allora, lo stesso Ichino denunciò più volte il ritardo del governo nell’emanazione del regolamento attuativo, indispensabile perché la sperimentazione regionale potesse essere avviata. Lo scorso 20 ottobre, dieci mesi dopo, il governo ha approntato una bozza di questo regolamento.

Professor Ichino, a che punto siamo?
Il primo schema di regolamento sembrava scritto apposta per rendere la sperimentazione regionale impossibile: prevedeva la necessità di un cofinanziamento che nessuna Regione oggi potrebbe permettersi. E in più un procedimento burocratico che assomigliava a una gimcana. Non solo noi in Senato, ma anche le Regioni interessate a questa sperimentazione hanno chiesto con forza che questi difetti venissero corretti; e l’abbiamo ottenuto. Lo schema che è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 30 ottobre scorso è davvero molto migliorato.

Ma il decreto non è ancora stato firmato dal ministro.
È così e non riesco a spiegarmi questo ulteriore ritardo. Però ormai l’emanazione formale non può tardare più che qualche giorno. Anche perché lo stesso governo si è impegnato ripetutamente, in accordo con la Regione Lazio, a far partire la sperimentazione del contratto di ricollocazione per il reinserimento rapido nel tessuto produttivo dei lavoratori licenziati da Alitalia. I licenziamenti sono stati formalizzati nei giorni scorsi e non si può tardare oltre. Anche perché la tempestività costituisce elemento essenziale del nuovo metodo che si vuole sperimentare.

Che cosa intende dire?
Tutte le ricerche empiriche su questa materia mostrano che è tanto più facile ricollocare al lavoro una persona quanto minore è il suo periodo di inattività. Per questo è necessario che i licenziati di Alitalia vengano presi in carico subito da chi dovrà guidarli nel percorso che li condurrà al reinserimento.

Oltre alla Regione Lazio, è a conoscenza di altre Regioni che potrebbero, se messe in condizione di farlo, sperimentare i nuovi contratti di ricollocazione già da oggi?
Il metodo del contratto di ricollocazione presuppone una stretta collaborazione fra la struttura pubblica, cioè Regione e Centri per l’Impiego, e le imprese specializzate in questo tipo di servizio. Quindi preliminarmente un sistema di accreditamento di queste ultime presso la Regione. Oggi, oltre alla Regione Lazio che si è dotata fin dall’inizio di quest’anno di un sistema di accreditamento che è già funzionante, ne dispongono anche la Lombardia e il Trentino-Alto Adige. Ma se, con la riforma del lavoro che entrerà in vigore all’inizio del prossimo anno, il metodo del contratto di ricollocazione verrà generalizzato, tutte le Regioni dovranno attrezzarsi. E se non lo faranno, la nuova agenzia nazionale si surrogherà ad esse.

Quali lavoratori di Alitalia verranno coinvolti nella sperimentazione del contratto di ricollocazione? Solo quelli che hanno perso il posto in questi giorni o anche quelli che lo hanno perso nella crisi del 2008 e che da allora sono in Cassa integrazione?
Credo che l’intendimento sia di offrire l’opportunità del contratto di ricollocazione prioritariamente a chi ha perso il posto ultimamente.

Ma quelli che sono disoccupati nel 2008 protestano, chiedendo di poterne fruire anche loro.
Se il finanziamento erogato dal governo lo consentirà, probabilmente la sperimentazione verrà estesa anche a loro. Ma sarà molto più difficile ricollocare persone che sono rimaste inattive per sette anni. Questa è proprio la dimostrazione di quanto sia profondamente sbagliata la linea della Cgil, che si oppone alla riforma sostenendo che la possibilità di fare qualche anno di Cassa integrazione sarebbe un “diritto fondamentale” dei lavoratori che perdono il posto. La verità è che quegli anni di Cassa integrazione “a perdere” costituiscono sempre un vicolo cieco in cui i lavoratori vengono irresponsabilmente infilati.

Intanto la Cgil ha annunciato lo sciopero per il 5 dicembre contro il Jobs Act. Se lo aspettava?
Basta la data scelta come indice della debolezza della Cgil in questo momento.

Che cosa intende dire?
Vede, quando io lavoravo come sindacalista per la Fiom-Cgil, tra il 1968 e la metà degli anni ’70, la forza del sindacato si manifestava nel fatto che bastava il fischio di un delegato di reparto perché tutti interrompessero il lavoro, magari per riprenderlo mezz’ora dopo. I picchetti alle porte dell’azienda per non far entrare i lavoratori all’inizio del turno non erano necessari, perché il consenso era altissimo. Oggi, invece, per avere qualche adesione allo sciopero la Cgil deve collocarlo di venerdì, in posizione strategica per consentire il ponte dell’Immacolata. Un sindacato che ha bisogno delle astensioni dal lavoro degli opportunisti per guadagnare qualche punto percentuale di partecipazione è un sindacato che confessa la propria debolezza e perde credibilità.

I sindacati sono comunque divisi: Cisl e Uil non hanno seguito la Camusso. Secondo lei la battaglia sul Jobs Act rimodellerà gli equilibri tra i sindacati e tra sindacati e governo?
Non so se questa vicenda rimodellerà gli equilibri. Quello che è certo è che quello che sta accadendo certifica il fallimento di un modello di sindacato: il sindacato che per mezzo secolo non ha mosso un dito contro lo sfacelo dei servizi nel mercato del lavoro, contro l’assenza totale di un servizio di orientamento scolastico e professionale che aiutasse i giovani a compiere le loro scelte nella fase di passaggio dalla scuola al lavoro, contro il dualismo fra lavoratori protetti e non protetti. Con questa riforma, già dal prossimo gennaio si vedrà quanto sia superato, inutile per i lavoratori, quel modello di sindacato.

Il Jobs Act è in questi giorni in Commissione Lavoro alla Camera, dove sono stati presentati oltre 600 emendamenti. Quali sono le sue previsioni sui tempi?
Mi sembra molto probabile, stante la determinazione del governo, che il disegno di legge-delega diventi legge entro la fine di novembre. Subito dopo il governo stesso presenterà alle Camere, per il parere previsto dalla stessa delega, il primo decreto delegato della serie di quelli con cui dovrà essere data attuazione alla riforma: cioè il decreto che contiene gli elementi essenziali del contratto a tempo indeterminato a protezioni crescenti, in particolare la nuova disciplina dei licenziamenti. In questo modo il decreto potrà essere in vigore già a Capodanno.

A gennaio un’impresa potrà già assumere con il nuovo contratto a protezioni crescenti?
Sì; e con la drastica riduzione del cuneo fiscale e contributivo disposta dalla legge di stabilità 2015.

E il Codice semplificato del lavoro?
Il contratto a protezioni crescenti costituirà già un primo pezzo importantissimo del nuovo testo unico semplificato. La parte restante verrà a ruota, nei mesi immediatamente successivi. A quel punto sarà difficile sostenere che questo governo fa solo annunci senza risultati.

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