LA LOTTERIA DELL’ELEZIONE PRESIDENZIALE E IL RISCHIO ENTROPIA

UN SISTEMA DI SCELTA DEL CAPO DELLO STATO CHE ACCENTUA IL RISCHIO DEL CAOS POLITICO, MA CHE NELL’ULTIMO QUARTO DI SECOLO HA DATO RISULTATI NON DISPREZZABILI – LE PROSPETTIVE DEL CONCLAVE CHE SI APRE OGGI

Nota alla vigilia del primo scrutinio, 28 gennaio 2015.

Immaginate di avere mille dadi da gioco in un contenitore e di rovesciarli per terra. La probabilità che la metà più uno dei dadi presenti lo stesso numero è molto vicina allo zero. L’elezione del Capo dello Stato in Italia è un po’ così: anche nell’ipotesi in cui i mille grandi elettori limitino la loro scelta a sei opzioni, quante sono le facce di un dado, la probabilità che in cinquecento compiano la stessa scelta è molto bassa. Ad aumentare questa probabilità sta, per fortuna, il fatto che questi mille grandi elettori si raggruppano. Il problema è che i gruppi che si formano sono troppo piccoli: oggi sono uno composto da poco più di trecento elettori (maggioranza PD), tre di circa un centinaio ciascuno (Forza Italia, M5S e minoranza PD), più una decina di altri gruppi dei quali nessuno supera i cento elettori. A questo punto, è come se i dadi fossero una dozzina: la probabilità che quattro o cinque di essi, tra i quali quello che rappresenta il gruppo maggiore, diano un risultato concorde è ancora molto bassa. È evidente che per produrre il risultato dell’elezione del Presidente occorre uscire dalla logica dei dadi, che è quella del caos, dall’entropia. Occorre un tessuto connettivo, una forza centripeta che consenta al gruppo maggiore e a due o tre altri di attivare un gioco cooperativo. Oggi la questione è se questo gioco cooperativo scatterà più facilmente A) tra maggioranza PD e SC, centristi popolari, NCD e Forza Italia, oppure B) tra maggioranza PD e minoranza PD, SEL, fuorusciti dal M5S, una parte di SC e centristi popolari, forse anche NCD. Nel primo caso – stante il rifiuto di Mario Draghi – l’eletto sarebbe più probabilmente Giuliano Amato. Nel secondo caso, che mi sembra meno probabile, verrebbe eletto un “padre nobile” del PD: Piero Fassino in pole position, ma anche Walter Veltroni potrebbe in questo caso avere delle buone chances. Se nessuna di queste due ipotesi si verificasse entro il quinto scrutinio, la soluzione potrebbe emergere come effetto della “minaccia di sfinimento”; e allora la scelta potrebbe finire col cadere su di un outsider, come Sergio Chiamparino. Ma il rischio che a quel punto si torni al punto di partenza, cioè al trionfo dell’entropia, è talmente alto che Matteo Renzi farebbe bene a puntare subito sulla prima soluzione: Giuliano Amato. Anche perché, al dunque, anche la minoranza PD probabilmente farebbe propria questa soluzione, se non altro in considerazione degli ottimi rapporti che il Dottor sottile ha sempre avuto con Massimo D’Alema. E a quel punto questa soluzione potrebbe risultare vincente anche al primo scrutinio. Non è un renziano; ma è proprio questo il motivo che lo rende effettivamente eleggibile: non credo che nel contesto attuale il premier possa farcela a far eleggere un esponente della sua linea politica. Non rappresenta… il nuovo che avanza; ma appartiene pur sempre al meglio delle risorse di cui disponiamo per questo ruolo, sotto tutti i punti di vista. E sui contenuti è stato e resta un precursore, sia in tema di lavoro sia in tema di riforma istituzionale.
P.S. del 29 gennaio: Renzi tenta di evitare l’alternativa tra A) e B) proponendo il nome di Sergio Mattarella: per sottolineare che non è un nome frutto di accordo preventivo con Silvio Berlusconi, ma non è neppure un esponente del vertice del PD. Al quarto scrutinio vedremo se questo tentativo ha successo.

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