IL SENSO DELLA RIFORMA

GLI INTENDIMENTI DI FONDO DEL JOBS ACT,  I PRIMI PASSI COMPIUTI E QUELLI ANCORA DA COMPIERE

Intervista a cura di Andrea Bossi, pubblicata sul mensile Acli News, febbraio 2015.

Il contratto a tutele crescenti è la risposta adeguata contro la precarizzazione del lavoro?
Ci sono molti motivi per ritenere che il sistema di protezione del lavoro sperimentato in Italia nell’ultimo mezzo secolo, centrato su di una fortissima limitazione della facoltà di licenziamento, costituisca la causa del diffondersi del lavoro precario, quindi della rilevantissima differenza di condizione protetti e non protetti. Se, come tutte le proiezioni inducono a prevedere, il superamento di quel sistema di protezione sarà accompagnato da un raddoppio o addirittura dalla triplicazione della quota di assunzioni a tempo indeterminato sul flusso totale, questo costituirà una conferma di quel rapporto strutturale tra rigidità della protezione e diffusione delle forme di rapporto di lavoro precario.

La riforma dunque porterà  maggiore omogeneità nel lavoro?
L’obiettivo del legislatore è di far tornare il contratto a tempo indeterminato a essere la forma normale di assunzione. Quindi sopra la metà del flusso totale delle assunzioni. E di rendere molto più facile l’accesso a questo contratto per chi ciononostante parte con un contratto a termine o altra forma di lavoro precario.

Può essere la giusta sintesi tra la sicurezza dei lavoratori e la competitività delle imprese?
Questo è l’obiettivo di tutte le politiche ispirate al principio europeo della flexsecurity. 

Si è parlato molto di articolo 18. Il suo ruolo nel mercato del lavoro “dualistico” del 2015 era ancora così cruciale?
Se nelle prossime settimane e mesi assisteremo al drastico aumento delle assunzioni a tempo indeterminato di cui ho parlato prima, vorrà dire che sì, il nesso strutturale tra l’articolo 18 e il regime di apartheid fra protetti e non protetti c’è eccome.

È passata quasi in sordina la riforma degli ammortizzatori sociali. Quali sono i suoi aspetti più interessanti?
Il primo passo, importantissimo, su questo terreno è stato compiuto con la legge Fornero del giugno 2012, che ha istituito una assicurazione universale contro la disoccupazione: l’ASpI. Il nuovo decreto ora completa questa riforma, estendendo la platea dei beneficiari anche ai collaboratori autonomi più deboli. Voltando pagina rispetto a quarant’anni di gravi disparità nel tessuto produttivo, tra le imprese medio-grandi del settore manifatturiero e tutte le altre. E portando il trattamento ordinario di disoccupazione a un livello paragonabile a quelli dei maggiori Paesi del centro e nord-Europa per entità e durata.

Fatichiamo ad attrarre imprenditori esteri. Con il Jobs Act si è fatto qualche passo avanti nel rendere il nostro sistema più  attrattivo per loro e complessivamente più concorrenziale?
Ciò che ha chiuso il nostro Paese agli investimenti diretti stranieri nell’ultimo ventennio è un insieme di disincentivi gravi per gli operatori economici. I cinque principali sono il cattivo funzionamento delle amministrazioni, a cominciare da quella giudiziaria, il costo dell’energia nettamente più elevato rispetto agli altri Paesi europei maggiori, la pressione tributaria più pesante su lavoro e impresa, una legislazione del lavoro caotica e incomprensibile per i non addetti ai lavori e un mercato del lavoro incapace di produrre l’incontro fra domanda e offerta. Dobbiamo agire su ciascuno di questi cinque terreni diversi. Il Jobs Act interviene – mi sembra efficacemente – sugli ultimi tre menzionati.

Le politiche attive per il lavoro e i servizi ad esso collegati variano da regione a regione e per lo più non sono efficaci. Come si vuole dare sostanza alla proposta di una Agenzia Nazionale per l’occupazione?
L’idea è quella di una agenzia operante centralmente cui affidare questi tre compiti: fissazione degli standard nazionali di efficacia dei servizi per l’impiego; controllo sistematico del rispetto di questi standard da parte di ciascuna delle regioni; intervento sostitutivo, in via sussidiaria, là dove una amministrazione regionale non riesca a garantire il livello minimo.

Nel 2015 è prevista una prima tenue ripresa. A suo parere il Paese è pronto a sfruttarla?
Se fossimo al punto in cui eravamo un anno fa, le risponderei di no. Ora l’azione congiunta del drastico sgravio fiscale e contributivo disposto dalla legge di stabilità 2015 e della nuova disciplina del rapporto di lavoro dovrebbe consentire alle nostre imprese vecchie e nuove di sfruttare al meglio ogni refolo di vento per rimettere in moto la nostra economia. C’è qualche segno che questo stia già accadendo.

Che cosa manca?
La legge-delega richiede, per essere attuata, ancora almeno quattro decreti, tra i quali quello che avrà per oggetto il Codice semplificato del lavoro. Entro giugno dovranno essere emanati tutti. Ci stiamo lavorando intensamente.

 

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