IL FATTO: LA QUESTIONE DEL REDDITO MINIMO DI INSERIMENTO

OGGI SI SPENDONO FIUMI DI DENARO PUBBLICO PER FORME DI SOSTANZIALE ASSISTENZA PRIVA DI REGOLE E DELLA NECESSARIA CONDIZIONALITÀ: OGGI È DALLA RIFORMA DI QUESTA ASSISTENZA CHE POSSIAMO E DOBBIAMO TRARRE IL NECESSARIO PER FINANZIARE UN SISTEMA DI SOSTEGNO DEL REDDITO DELLE PERSONE IN DIFFICOLTÀ, ACCOMPAGNATO DA MISURE VOLTE AL REINSERIMENTO NEL TESSUTO PRODUTTIVO 

Testo integrale dell’intervista a cura di Virginia Della Sala, pubblicata (con alcuni tagli per ragioni di spazio) su il Fatto quotidiano il 12 maggio 2015.

Professor Ichino, a che punto è il disegno di legge sul reddito minimo di cittadinanza in Commissione Lavoro al Senato?
È stata svolta la relazione, ora siamo nella fase dell’audizione delle parti sociali e associazioni interessate. Poi si aprirà la discussione generale.

Crede che la proposta del M5S possa essere approvato così com’è?
Questo, francamente, mi sembra molto improbabile. Non accade mai che un disegno di legge venga approvato senza modifiche. In questo caso, poi, occorre che vengano chiarite meglio alcune cose.

Quali?
Incominciamo con il nome: reddito minimo di cittadinanza implicherebbe che chiunque, per il solo fatto di essere cittadino italiano, avesse diritto a questo trattamento. Ma una cosa di questo genere oggi accade solo in Alaska, dove è lo Stato a pagare le imposte ai cittadini, con i proventi dell’estrazione del petrolio. Dobbiamo invece lavorare per un reddito minimo di inserimento.

Cioè?
Un trattamento di disoccupazione a carattere assistenziale, che interviene là dove non operi quello di natura assicurativa (la nuova ASpI), offrendo un reddito minimo strettamente condizionato innanzitutto alla disponibilità della persona interessata per le misure volte al suo reinserimento nel tessuto produttivo. E anche al fatto che i figli piccoli o adolescenti frequentino effettivamente la scuola.

Si troveranno le risorse?
In realtà noi oggi spendiamo fiumi di denaro pubblico per assicurare una sorta di reddito minimo a milioni di persone, ma senza accertarne il vero stato di bisogno, senza criteri ragionevoli e senza la condizionalità di cui parlavamo prima.

Per esempio?
Mi riferisco alla Cassa integrazione “in deroga”, alle somme erogate per i c.d. “lavori socialmente utili”. E anche al gran numero di pensioni di invalidità erogate a persone che invalide non sono affatto.

Come lo si può affermare con sicurezza?
Senta, se la percentuale di cittadini che godono della pensione di invalidità a Caserta o all’Aquila è il doppio rispetto a Bergamo o a Novara, vuol dire che metà di quelle pensioni sono erogate indebitamente.

Ma non le si può togliere da un giorno all’altro.
Certo che no. Ma le si possono sostituire, appunto, con un reddito minimo di inserimento. Sarebbe già un passo avanti molto importante.

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