DAI NUOVI DATI INPS UNA CONFERMA DELLA BONTÀ DEGLI EFFETTI DEL JOBS ACT

È EVIDENTE CHE LA SCOSSA C’È STATA, IL MERCATO DEL LAVORO SI È RIMESSO IN MOTO, E LE ASSUNZIONI A TEMPO INDETERMINATO SONO FORTEMENTE AUMENTATE – MA PERCHÉ SI VERIFICHI ANCHE UN NETTO AUMENTO DEL TASSO DI OCCUPAZIONE NON BASTANO CERTO I PRIMI CINQUE MESI TRASCORSI DALL’ENTRATA IN VIGORE DI METÀ DELLA RIFORMA

Intervista a cura di Francesco Lo Dico, per il Giornale di Sicilia, pubblicata l’11 agosto 2015.

No. Il lavoro precario non è aumentato. La profezia di sventura che pendeva sul Jobs Act si infrange oggi contro le solide certezze dell’Inps, che registrano al contrario, nei primi sei mesi del 2015, più di 250mila nuovi contratti a tempo indeterminato: un aumento del 36 per cento rispetto all’anno scorso. I posti di lavoro crescono di qualità in tutta Italia ma molto poco in Sicilia, dove a fronte del +82,9 per cento del Friuli-Venezia Giulia si registra un modesto 12,1 per cento. Un’altra conferma che quel senso di “isolitudine” che spira dalla Trinacria, tarda a svanire. «La Sicilia, come tutto il Mezzogiorno, è in forte sofferenza per ragioni complesse ed antiche», commenta il senatore del Pd Pietro Ichino. «E tuttavia i dati Inps dicono che andiamo nella giusta direzione: per un ventenne o un trentenne l’assunzione a tempo indeterminato non è più un miraggio impossibile», chiosa il giuslavorista che proprio al Jobs Act ha dedicato un’ampia disamina ne “Il lavoro ritrovato” (Mondadori, 240 pagg. 19 euro).

Professore, rispetto all’analogo periodo del 2014, c’è un saldo positivo di 252.177 occupati stabili: dunque il Jobs Act, dati alla mano, funziona?
«Questi primi dati costituiscono un indizio positivo importante del fatto che la riforma stia mutando in meglio la qualità dell’occupazione. Se questo indizio sarà confermato dai dati dei prossimi trimestri, sarà il segno che per la prima volta, dopo due decenni di auspici e di discussioni, si sta facendo qualche cosa di serio e di efficace per superare il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro».

I dati vedono però la Sicilia fanalino di coda nel numero di assunzioni. Perché tanta distanza dalle altre regioni italiane?
«Non è solo la Sicilia a soffrire, è più o meno tutto il Mezzogiorno. È vero però che in Sicilia, come in Calabria, i servizi per l’impiego versano in una situazione peggiore anche rispetto al resto del Sud: è l’eredità di decenni di sprechi enormi, soprattutto nel settore della formazione professionale, di clientelismo più radicato e di assenza totale di una strategia moderna di politica del lavoro. Dobbiamo sperare che il nuovo assessore al Lavoro Caruso, che invece ha idee molto chiare, riesca nell’impresa di ristrutturare incisivamente il sistema».

Nel suo libro lei spiega come la riforma stia abbattendo il muro tra garantiti, precari ed esclusi. È ciò che sta avvenendo nella realtà?
«In qualche misura sembra che si stia verificando proprio questo. Nell’ultimo capitolo del libro, però, avverto che non è possibile valutare gli effetti della riforma sulla base dei soli dati di questi primi mesi. Anche perché i suoi obiettivi principali sono due: non solo un drastico aumento dei rapporti a tempo indeterminato, che sembra già verificarsi, ma anche un forte aumento della domanda di lavoro, determinato da una maggiore attrattività del mercato del lavoro per gli investitori, soprattutto per quelli stranieri. Questo secondo obiettivo richiederà necessariamente più tempo».

Cosa risponde a chi guarda al Jobs Act come a un nuovo apartheid, questa volta tra vecchi e nuovi rapporti a tempo indeterminato?
«Non è proprio così. Finora abbiamo avuto davvero un regime di apartheid, nel quale la protezione contro la perdita del posto di lavoro era data soltanto a metà dei lavoratori: agli altri zero. Da qui in avanti avremo, sì, i vecchi rapporti di lavoro a tempo indeterminato con l’ingessatura dell’articolo 18; ma a tutti i nuovi rapporti a tempo indeterminato viene offerto, oltre a un indennizzo allineato alla media degli altri Paesi europei, un trattamento di disoccupazione di livello europeo: 75 per cento dell’ultima retribuzione per i primi tre mesi, poi una riduzione del 3 per cento al mese fino a un massimo di 24; e, con il contratto di ricollocazione, un servizio di assistenza nel mercato finalmente efficace».

In che cosa consiste?
«Nella possibilità di scegliere l’agenzia specializzata che dà maggiore affidamento, tra quelle accreditate, per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione. Il servizio sarà pagato mediante un voucher regionale, ma solo a risultato effettivamente ottenuto. Un modo nuovo di perseguire la riqualificazione della spesa pubblica, in un settore nel quale fin qui si sono sprecati fiumi di denaro».

Una disparità di trattamento tra vecchi e nuovi però ci sarà.
«Certo. Questo è inevitabile quando si compie qualsiasi riforma incisiva su dei rapporti di durata, come sono quelli di lavoro. Ma non sarà una disparità tra protetti e non protetti: sarà una disparità tra protezioni di concezione diversa. Comunque una differenza di trattamento che tenderà a sparire abbastanza rapidamente, perché il turnover nel tessuto produttivo è abbastanza rapido».

Quanto rapidamente?
«Negli ultimi cinque anni, di crisi nera, in Italia si sono registrate più di un milione e mezzo di assunzioni a tempo indeterminato ogni anno. Ora, come si è visto, stiamo puntando decisamente a superare i due milioni all’anno. Se questo dato sul flusso si consolida, nel giro di cinque anni i rapporti soggetti alla nuova disciplina saranno la maggioranza; e nel giro di altri cinque i vecchi rapporti con articolo 18 saranno una frazione molto piccola. Parlo, ovviamente, del settore privato: nel pubblico il turnover è quasi inesistente; però l’età media dei dipendenti pubblici in Italia è molto superiore rispetto a quella dei privati: per il superamento totale del vecchio regime non occorreranno trent’anni».

L’aumento dei contratti a telmpo indeterminato registratosi in gennaio e febbraio è stato attribuito da alcuni  alla riduzione di contributi e imposte in vigore dal primo gennaio. Questi dati ne costituiscono una smentita?
«I dati forniti da Inps e ministero del Lavoro dicono che fra i primi due mesi dell’anno, nei quali hanno operato soltanto gli incentivi economici, e i mesi seguenti, c’è stata una netta intensificazione dell’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato: questa parrebbe proprio un effetto della nuova disciplina dei licenziamenti. Ma, ripeto, prima di esprimere un giudizio attendibile sul rapporto causale tra riforma e flussi nel mercato del lavoro occorre attendere gli studi econometrici seri, che potranno essere svolti soltanto su dati riferiti a periodi più lunghi, e soprattutto su dati disaggregati».

Qualcuno sostiene che costa poco concedere un indeterminato, se il lavoratore può essere mandato via in ogni momento. Quanto incide la nuova disciplina dei licenziamenti sulle intenzioni di chi assume a tempo indeterminato?
«Guardi che la nuova disciplina conserva la sanzione della reintegrazione per il licenziamento discriminatorio o di rappresaglia. E i giudici sono capacissimi di individuare il motivo discriminatorio, anche soltanto sulla  base di presunzioni semplici. Escluso il motivo discriminatorio, l’imprenditore non ha alcun interesse a licenziare un lavoratore sperimentato, che svolge con impegno le proprie mansioni. Il settore delle imprese con meno di 16 dipendenti è pieno di rapporti di lavoro durati molto a lungo. D’altra parte, 300 milioni di lavoratori degli altri Paesi europei sono titolari di rapporti in cui non si applica alcuna norma parargonabile al nostro vecchio articolo 18: sostenere che siano tutti precari sarebbe una colossale sciocchezza».

I detrattori sostengono che il Jobs Act  non abbia prodotto nuovi posti di lavoro, ma soltanto un certo numero di stabilizzazioni.
«Chi in passato protestava, giustamente, contro il precariato dovrebbe guardare con soddisfazione anche soltanto al fatto che la qualità del lavoro stia migliorando in modo consistente, che per un ventenne o un trentenne l’assunzione a tempo indeterminato non sia più un miraggio impossibile. Poi verrà anche l’effetto quantitativo, l’aumento della domanda; ma questo effetto, ripeto, richiede più tempo per prodursi. Teniamo conto anche del fatto che degli otto decreti attuativi del Jobs Act, solo i primi quattro sono già entrati in vigore, e solo da poche settimane. Gli altri quattro entreranno in vigore entro i primi di settembre. Come si possono pretendere risultati occupazionali vistosi da una riforma che è entrata in vigore soltanto per metà e da soli cinque mesi?».

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