L’IMPATTO DEL JOBS ACT SUL MONDO DEL GIORNALISMO

NEL SETTORE NEL QUALE IL REGIME DI APARTHEID TRA INSIDER E OUTSIDER SI È MANIFESTATO NEL MODO PIÙ MACROSCOPICO, LA RIFORMA DEL LAVORO È DESTINATA A INCIDERE PIÙ CHE IN ALTRI

Intervista a cura di Carlo Riva, in corso di pubblicazione sul mensile Prima Comunicazione, ottobre 2015.

Professor Ichino, ritiene che gli effetti del Jobs act sull’occupazione saranno duraturi?
Se si riferisce all’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato, gli econometristi devono ancora stabilire quanta parte di questo aumento è imputabile agli incentivi economici e quanta al mutamento della disciplina dei licenziamenti. Logica vorrebbe che la parte imputabile alla nuova disciplina dei licenziamenti si consolidi e anzi tenda ad aumentare, via via che la conoscenza della riforma e la fiducia degli operatori economici nella sua stabilità si consolideranno.

Non si rischia lo stesso “effetto incentivi” che si è verificato nel mercato delle auto? Nel prossimo anno gli incentivi saranno già ridotti.
C’è questa possibilità. L’effetto della riduzione degli incentivi economici può, però, essere ampiamente compensato dall’effetto del mutamento culturale determinato dalla nuova disciplina dei licenziamenti, che ovviamente non è istantaneo.

Quale mutamento culturale?
Abbiamo vissuto mezzo secolo in un regime di job property: è in risposta a quel regime che gli imprenditori hanno ridotto drasticamente le assunzioni a tempo indeterminato. Via via che si renderanno conto del cambiamento drastico di regime, torneranno sempre più largamente ad assumere a tempo indeterminato. Questo effetto per la maggior parte deve ancora prodursi.

Non vede anche il rischio che si apra un complesso capitolo giurisprudenziale, se gli imprenditori decidessero di ricorrere ai licenziamenti per motivi economici allo scadere dei tre anni di durata dell’incentivo economico?
Questo proprio no. Se il lavoratore assunto oggi si sarà rivelato inadeguato rispetto alle esigenze dell’impresa, è giusto che possa essere licenziato, col pagamento dell’indennizzo previsto. Non ci perderà nulla: se fosse stato assunto a termine invece che a tempo indeterminato, il contratto non gli sarebbe stato rinnovato. Ma se invece quel lavoratore si sarà rivelato un buon acquisto, come si spera accada nella maggior parte dei casi, quale mai imprenditore lo licenzierà, oltretutto dovendo pagare un indennizzo e ricominciare da capo con un altro, probabilmente a parità di costo? Mi sembra che il segretario della UIL, che ha sbandierato questa minaccia, si sia lasciato travolgere dalla faziosità, perché non posso pensare che conosca così poco la realtà della vita in azienda.

Quali sono i settori che trarranno giovamento dalla riforma sul medio e lungo periodo, a suo parere?
Ho pubblicato a giugno un libro, Il lavoro ritrovato (Mondadori), in cui mi propongo di mostrare che da questa riforma guadagneranno gli imprenditori e i lavoratori di tutti i settori. Perché un mercato del lavoro più fluido consente una maggiore flessibilità del tessuto produttivo; quindi una maggiore produttività del lavoro. Il modello di protezione basato sull’ingessatura del lavoro ha un costo molto alto in termini di minor produttività, quindi anche di effetto depressivo sulle retribuzioni.

Il Jobs act è immediatamente applicabile anche al mondo dell’editoria.
Ovviamente sì.

Quindi anche ai giornalisti che, come tutti gli iscritti a un ordine professionale, mantengono la possibilità dei contratti co.co.co e a progetto?
La disciplina delle collaborazioni autonome continuative è stata semplificata molto incisivamente. Per un verso, il diritto del lavoro d’ora in avanti si applica nella sua interezza a tutte le collaborazioni che si svolgono nel contesto organizzativo del creditore: giornalisti o non giornalisti, tutti coloro che lavorano continuativamente dentro l’organizzazione aziendale godono della protezione piena. Per altro verso, tutti quelli che operano fuori dell’organizzazione, con o senza “progetto”, possono essere trattati come autonomi; anche se non sono iscritti ad alcun ordine professionale.

Proprio nel settore editoriale, si assiste però a un trend per il quale le aziende, man mano che si esauriscono i contratti a progetto, assumono a tempo indeterminato un numero ridotto di collaboratori, quelli di lunga esperienza, e costringono gli altri alla partita Iva.
D’ora in poi, potranno essere considerati come partite Iva, o comunque come collaboratori autonomi, solo quelli che opereranno in condizioni di effettiva e piena libertà di scelta circa il quando lavorare e circa il dove e il come.

La ricaduta diretta per i giornalisti riguarda soprattutto la possibilità di controllo dei mezzi informatici e telefonici aziendali, che collide con la protezione delle fonti prevista dalla legge professionale.
Su questo punto è stato sollevato un polverone, che non ha alcuna ragion d’essere. La protezione della riservatezza delle comunicazioni, sia telefoniche sia di posta elettronica, è rimasta in tutto e per tutto quella che era prima della riforma. Continuano ad applicarsi, esattamente come prima, sia il Codice della Privacy, espressamente richiamato, sia tutta la giurisprudenza in proposito dell’Autorità garante. La novità sta soltanto nell’esclusione della necessità di contrattazione preventiva con il sindacato per l’uso di questi strumenti informatici e telefonici; ma su questi strumenti nessun sindacato ha mai chiesto la contrattazione preventiva nei decenni passati. Ciò significa, evidentemente, che quella forma di protezione non serviva.

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