GIUSTIZIA PENALE: LETTERA APERTA SUL 41-BIS

È SACROSANTO VIGILARE E INTERROGARSI PERMANENTEMENTE SULL’EFFETTIVITÀ DEL CARATTERE RIABILITATIVO E REDENTIVO DELLA PENA; MA NON SAREBBE GIUSTO IGNORARE CHE LA DETENZIONE PUÒ ANCHE RISPONDERE A UNA ESIGENZA ESSENZIALE DI PREVENZIONE DEL RIPETERSI DI COMPORTAMENTI ILLECITI PARTICOLARMENTE GRAVI

Lettera al mensile Ristretti Orizzonti, periodico di informazione, riflessione e cultura dal Carcere Due Palazzi di Padova, diretto con grande intelligenza e rigore da Ornella Favero – Per comunicare con la Direzione o la Redazione della rivista si può scrivere a direttore@ristretti,it, o redazione@ristretti.it – Per  donazioni o abbonamenti a Ristretti orizzonti, al prezzo ordinario di € 30, sostenitore di € 50: C.C.P. 67716852Iban: IT21H0760112100000067716852 (in entrambi i casi titolare del conto è la associazione di volontariato “Granello di Senape Padova”, con sede in via Citolo da Perugia 35, Pd).

Gentile Direttore,
leggo sempre con grande interesse Ristretti Orizzonti, apprezzandone la ricchezza dei contenuti e degli stimoli etici e culturali. Nel numero di agosto e settembre mi ha colpito, in particolare, l’articolo Quando ero al 41bis la mia ragione di vita era la rabbia, nel  quale Giovanni Donatiello racconta la propria esperienza nel regime di massima sicurezza del 41-bis, denunciandone la durezza. Propongo al riguardo un’osservazione dettata soltanto dal desiderio di capire meglio le ragioni esposte nell’articolo. Esse vanno considerate con grande attenzione; ma proprio perché possano essere comprese fino in fondo, occorrerebbe conoscere un’altra parte della vicenda, che invece né l’autore dell’articolo, né alcuna nota redazionale raccontano: qual era, nel periodo di applicazione del 41-bis, il modo in cui Giovanni Donatiello si rapportava con il proprio passato e in particolare con l’organizzazione criminale a cui – dobbiamo presumere – aveva appartenuto? La ragion d’essere di quel regime di massima sicurezza consiste essenzialmente nell’esigenza di impedire in modo drastico la prosecuzione di qualsiasi rapporto tra il detenuto e l’organizzazione criminale da cui egli proviene, al fine di evitare la possibilità di una sua cooperazione in nuovi reati di gravità estrema. Donatiello lamenta la lastra di vetro che impediva a sua moglie e ai figli di accarezzarlo; ma ad altri coniugi e altri figli accarezzare il proprio congiunto è impedito da una lastra di marmo; e il 41-bis è lì per evitare che altre lastre di marmo separino altre persone dal mondo a cui hanno appartenuto. Insomma, può essere che Giovanni Donatiello abbia ragione nella sua denuncia; ma perché i suoi lettori se ne convincano occorre che si spieghi loro che quel pericolo, nel suo caso, era ormai superato.
Con grande cordialità e partecipazione
Pietro Ichino

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