PER UN IMPIEGO PUBBLICO AL SERVIZIO DEI CITTADINI PIÙ CHE DI SE STESSO

NON SONO CERTO CONTRARIO A INIZIATIVE TENDENTI A SBLOCCARE LE SANZIONI CONTRO L’ASSENTEISMO FRAUDOLENTO, MA PIÙ IMPORTANTE ANCORA È RIMUOVERE LE CAUSE DELLA DERESPONSABILIZZAZIONE DEI DIRIGENTI PUBBLICI SU QUESTO TERRENO

Intervista a cura di Federica Fantozzi, pubblicata su l’Unità il 18 gennaio 2016 – Sia questa intervista a me, sia quella sullo stesso tema al professor Maurizio Del Conte, pubblicata  su l’Unità affiancata alla mia, sono disponibili anche in formato pdf – In argomento v. inoltre Motivare i dirigenti pubblici a esercitare le loro prerogative, mia dichiarazione pubblicata su la Repubblica il 17 gennaio 2016; e Nel settore pubblico occorre responsabilizzare i dirigenti, mia dichiarazione pubblicata su la Stampa il 16 gennaio 2016.

icona-dwl8 Scarica l’intervista del professor Maurizio Del Conte, affiancata all’intervista a me nella pagina dell’Unità, in formato pdf

Professor Pietro Ichino, il governo è al lavoro su di una stretta molto forte contro i dipendenti assenteisti, In caso di flagranza saranno licenziabili in 48 ore. Perché la considera una “norma spot”? Ci sono migliaia di casi “congelati”: potrebbe avere un impatto non enorme ma reale sul sistema di pubblico impiego, non crede?
Anche le norme come questa possono, certo, servire per superare una emergenza. È importante, però, mettere a fuoco e risolvere il problema di una dirigenza pubblica che non esercita le proprie prerogative manageriali, abdica in favore del potere giudiziario. Le sembra normale che il Sindaco di Sanremo debba rivolgersi alla polizia per stanare gli assenteisti negli uffici del Comune?

Lei raccomanda di esentare i  dirigenti dalla responsabilità per danno erariale nel caso di annullamento del licenziamento da parte del giudice. Dunque una norma che faciliti il loro compito è necessaria.
Sì, è necessario eliminare questo ostacolo peculiare del settore pubblico all’esercizio del potere disciplinare. Ma ancora più importante è responsabilizzare i dirigenti su obiettivi precisi, specifici e misurabili, attinenti sia all’efficienza dell’ufficio, quindi in particolare anche al tasso di assenze, sia all’efficacia del servizio reso alla cittadinanza: per esempio obiettivi di soddisfazione degli utenti, di riduzione dei ritardi nel soddisfacimento delle richieste dei cittadini, o dei tempi di arrivo della pattuglia della polizia in seguito a una chiamata d’urgenza, di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi di chi ne ha fruito, e così via. 

Che cosa dovrebbe fare il governo, secondo lei?
Incominciamo dalla questione dell’assenteismo. Nel settore privato il tasso delle assenze dei dipendenti si colloca mediamente tra il 4 e il 5 per cento. Nel settore pubblico italiano tra il 12 e il 15 per cento. Ai dirigenti pubblici si deve imporre, tra gli altri, l’obbiettivo di ridurre il tasso delle assenze al livello del settore privato. Per questo è importante colpire i truffatori, ma occorre anche e soprattutto motivare meglio tutti gli altri. Il discorso col dirigente dovrebbe essere: “trova tu il modo migliore; ma se entro un anno non hai dimezzato il tasso di assenze, vieni rimosso”. Questo è già previsto dall’articolo 21 del Testo Unico: non occorrono nuove norme.

Ma è possibile che tutta la responsabilità gravi sui dirigenti?
I dirigenti sono pagati molto di più degli impiegati proprio perché esposti al rischio della rimozione per il fatto oggettivo del mancato raggiungimento degli obiettivi. Se questa responsabilità non viene attivata, la differenza di stipendio non si giustifica.

Che ne pensa del sistema giustizia e della lentezza dei tribunali?
Anche questo è un problema da affrontare. Ma stiamo attenti a non cadere nel “benaltrismo”. Le inefficienze delle amministrazioni pubbliche dipendono solo marginalmente da questo.

Quale rischio teme nel progetto di decreto del Governo?
Mi chiedo soltanto perché non applicare semplicemente l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, che prevede la contestazione della mancanza, se necessario con l’immediata sospensione cautelare; poi cinque giorni per le giustificazioni dell’incolpato, e infine l’irrogazione del provvedimento. Nel settore privato funziona benissimo: perché non applicarlo anche nel settore pubblico? C’è davvero bisogno di una norma diversa, o non piuttosto di chiedersi perché quella esistente non viene applicata?

Non vede un rischio di abusi, clientelismi, personalismi, o vendette dei dirigenti ai danni dei dipendenti?
Per impedire questo rischio dovremmo prendere esempio dall’esperienza dei Paesi anglosassoni, dove il capo-ufficio ha solo il ruolo dell’accusatore, ma la decisione del licenziamento disciplinare può essere presa soltanto da un collegio di tre dirigenti “terzi”. Questa è una garanzia più che sufficiente. Per il resto, in quei Paesi la disciplina della materia è identica nel settore pubblico e nel privato.

Per concludere, che cosa vede di buono in arrivo nei decreti attuativi della legge Madia?
Un impiego pubblico emancipato dal vetusto regime della job property e dalle posizioni di rendita che ne conseguono, quindi al servizio dei cittadini più e prima che di se stesso. La contendibilità dei ruoli, soprattutto di quelli dirigenziali, in questo settore non è soltanto un fattore di efficienza, ma anche di giustizia sociale.

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