FINALMENTE ANCHE IN ITALIA UNA LEGGE SUL WHISTLEBLOWING

CON L’ABITUALE RITARDO RISPETTO AI PAESI PIÙ EVOLUTI, ANCHE NOI STIAMO PER DOTARCI DI UNA LEGGE MIRATA AD ATTIVARE E PROTEGGERE LA COLLABORAZIONE CIVICA PER FAR EMERGERE CORRUZIONE E ALTRI REATI O IRREGOLARITÀ AMMINISTRATIVE, ISTITUENDO IL FILTRO NECESSARIO PER DISTINGUERLA DALLA DIFFAMAZIONE

Relazione svolta il 18 ottobre 2016 alla Commissione Lavoro del Senato sul disegno di legge  n. 2208, approvato dalla Camera dei Deputati in prima lettura il 21 gennaio 2016.

Relazione del senatore Pietro Ichino alla 11ma Commissione permanente, Lavoro e Previdenza sociale, sul disegno di legge A.S. n. 2208 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”

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whistleblowingSommario
1. Premessa: l’impatto del provvedimento sulla disciplina generale del segreto professionale e del segreto d’ufficio
2. Due prime questioni che si pongono in riferimento al contenuto del provvedimento: a) sulle modalità della rivelazione del segreto professionale o d’ufficio; b) sul segreto professionale dell’avvocato e del commercialista
3 . Contenuto del disegno di legge nella parte relativa al rapporto di impiego pubblico (articolo 1)
4. Contenuto del disegno di legge nella parte relativa al rapporto di lavoro privato (articolo 2)
5. Considerazioni conclusive e di sintesi

  1. – Premessa: l’impatto del provvedimento sulla disciplina generale del segreto professionale e del segreto d’ufficio

È opinione diffusa quella secondo cui il disegno di legge che viene posto al nostro esame – approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 21 gennaio 2016 – si proporrebbe soltanto l’effetto di proteggere coloro che segnalano o denunciano reati o irregolarità commessi all’interno di amministrazioni o aziende dalle possibili rappresaglie e ritorsioni da parte di datori di lavoro e committenti. In realtà il provvedimento, se e quando entrerà in vigore, avrà anche l’effetto di modificare, o quanto meno precisare in modo incisivo, il contenuto degli obblighi del segreto di ufficio e del segreto professionale, che su lavoratori dipendenti e collaboratori gravano, nei confronti dei loro datori di lavoro o committenti, pubblici o privati, in forza rispettivamente degli articoli 326 e 622 del Codice penale. Si tratta, in sostanza, di una ridefinizione dell’area oggettiva e soggettiva di applicazione di questo obbligo, quindi anche della nozione di giusta causa di rivelazione della notizia riservata, ispirata all’esigenza di un delicato bilanciamento tra
– l’interesse pubblico e dell’impresa alla conoscenza tempestiva dei fenomeni di corruzione, nonché dei comportamenti scorretti che possono anche soltanto favorirli;
– l’interesse della persona che fornisce l’informazione a essere protetta contro ogni possibile ritorsione, quindi alla non conoscibilità della fonte dell’informazione se non da parte dell’organo amministrativo o aziendale che può farne buon uso;
– l’interesse pubblico e dell’impresa a che l’informazione, quale che ne sia il contenuto, abbia per destinatario soltanto l’organo amministrativo o aziendale che può farne buon uso e alla non circolazione ulteriore dell’informazione stessa;
– l’interesse pubblico e dell’impresa al discernimento tra informazioni veritiere e false, in modo che solo alle prime venga dato immediatamente il peso dovuto e solo queste possano produrre delle conseguenze sul piano della governance dell’amministrazione o dell’azienda.

La discussione dei contenuti del provvedimento richiede dunque un chiarimento preliminare circa la disciplina generale dei suddetti obblighi di segreto. Esaminiamo innanzitutto la disciplina del segreto professionale, cui – come vedremo tra breve – secondo la migliore dottrina deve considerarsi informata anche la disciplina del segreto d’ufficio:

Articolo 622. Rivelazione di segreto professionale

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 50 a euro 516.

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Pur essendo la norma contenuta nel Codice penale, il suo contenuto non si esaurisce nella comminatoria penale, ma costituisce anche fonte e disciplina di una obbligazione civile: quella che vieta la rivelazione “senza giusta causa” di una notizia, sulla quale il soggetto attivo dell’obbligazione abbia un interesse rilevante al segreto, da parte di chi abbia appreso la notizia stessa per ragione della propria prestazione di lavoro.

È molto importante mettere a fuoco lo snodo cruciale di questa disposizione: quello della giusta causa di rivelazione. Dottrina e giurisprudenza prevalenti hanno interpretato questa nozione come principio di bilanciamento tra gli interessi in gioco, ovvero l’interesse del soggetto attivo dell’obbligazione al segreto e l’interesse del soggetto passivo o di terzi alla conoscibilità e quindi alla circolazione della notizia. Questa impostazione ha consentito di graduare il contenuto pratico dell’obbligo di segreto a seconda del tipo di rapporto di collaborazione tra soggetti attivo e passivo e della natura dell’interesse alla circolazione della notizia concretamente in gioco. Così, in particolare, si è ritenuto che debba essere privilegiato al massimo grado l’interesse del soggetto attivo al segreto sulla notizia comunicata all’avvocato in funzione della difesa in giudizio o al medico in funzione della cura di una infermità; si è ritenuto, viceversa, che debba essere privilegiato al massimo grado l’interesse di un soggetto terzo alla prevenzione di un danno grave alla persona, quando la soddisfazione di questo interesse presupponga la rivelazione della notizia protetta dal segreto professionale (ciò anche quando il soggetto obbligato sia l’avvocato o il medico curante).

Dottrina e giurisprudenza prevalenti hanno ritenuto che il principio di giusta causa della rilevazione, così inteso, si applichi non soltanto al segreto professionale, ma a qualsiasi altro obbligo di segreto (segreto aziendale di cui all’art. 2105 c.c., segreto a carico di amministratori e sindaci di società di cui all’art. 2622 c.c., segreto scientifico e industriale di cui all’art. 623 c.p., segreto d’ufficio di cui all’art. 326 c.p.), anche quando non sia menzionato nella norma che lo istituisce e disciplina.

Il bilanciamento tra gli interessi in gioco implica anche delle conseguenze nella valutazione del modo in cui la rivelazione della notizia segreta avviene: è infatti evidente la diversa qualificazione giuridica che è dovuta in relazione alla rivelazione attuata mediante comunicazione riservata alla sola autorità competente, rispetto alla rivelazione attuata, per esempio, mediante affissione di un manifesto per le strade della città o intervista a un giornale.

Orbene, gli interessi che vengono in rilievo nella materia cui il disegno di legge n. 2208 si riferisce sono, da un lato, l’interesse dell’ordinamento alla persecuzione dei reati e degli illeciti amministrativi, dall’altro l’interesse del datore di lavoro o committente al riserbo su notizie riservate di cui un soggetto terzo venga a conoscenza solo in conseguenza del cosiddetto “contatto contrattuale”, ovvero dell’intimità operativa che inevitabilmente in qualche misura si determina nello svolgimento di un rapporto di collaborazione, sia essa di natura subordinata o autonoma, in un contesto pubblicistico o privatistico; ma anche l’interesse del soggetto che fornisce l’informazione alla non conoscibilità della propria identità se non da parte degli organi che dell’informazione possano fare buon uso, e comunque alla protezione contro ogni possibile ritorsione.

L’effetto della nuova disciplina consiste innanzitutto nel chiarire che, in linea generale, l’interesse pubblico alla prevenzione, rimozione e punizione dei reati e irregolarità amministrative prevale sull’interesse al segreto, costituendo dunque giusta causa di rivelazione. In secondo luogo nel proteggere la fonte dell’informazione veritiera e utile per le suddette finalità.

Da questa chiave di lettura del disegno di legge derivano alcune conseguenze di rilievo non secondario per la formulazione del parere di competenza di questa Commissione.

  1. – Due prime questioni che si pongono in riferimento al contenuto del provvedimento: a) sulla modalità della rivelazione del segreto professionale o d’ufficio; b) sul segreto professionale dell’avvocato e del commercialista

Il disegno di legge in esame, dunque, non si limita a tutelare i lavoratori dipendenti e collaboratori autonomi di enti pubblici o privati, che segnalino a un organo amministrativo o denuncino all’autorità giudiziaria reati o altre condotte illecite di cui siano venuti a conoscenza nell’àmbito del proprio rapporto di lavoro: prima ancora esso ha l’effetto di limitare il loro obbligo di segreto professionale o d’ufficio sulla notizia. Più precisamente, il disegno di legge deve leggersi come specificazione del principio di giusta causa di rivelazione di segreto, nel senso che l’interesse generale dell’ordinamento alla persecuzione di reati e irregolarità amministrative prevale sull’interesse di qualsiasi soggetto, pubblico o privato, al riserbo su notizie e documenti dai quali emerga l’evidenza di quegli illeciti (interesse che sarebbe altrimenti protetto dall’obbligo contrattuale di segreto del dipendente o collaboratore).

a) Sulle modalità di rivelazione della notizia protetta da segreto professionale o d’ufficio – Questa collocazione delle nuove disposizioni nell’alveo del principio della giusta causa di rivelazione del segreto, dunque di un principio di bilanciamento di interessi contrapposti, implica tuttavia l’applicazione anche nella materia specifica oggetto del disegno di legge dei criteri generali di applicazione della giusta causa, dei quali si è detto sopra (§ 1): non qualsiasi forma ed estensione della rivelazione di notizie e documenti riservati può ritenersi giustificata, bensì soltanto quella giustificata in relazione alla finalità di interesse pubblico. È giustificata, dunque, solo la rivelazione compiuta:
– con le modalità strettamente necessarie ai fini dell’attivazione efficace dell’organo amministrativo o giudiziario competente, e
– con le cautele necessarie per evitare il sacrificio non necessario dell’interesse al segreto del soggetto attivo dell’obbligo.

In altre parole – e forse può essere opportuno che nel provvedimento legislativo questo venga precisato esplicitamente – quando notizie e documenti siano oggetto di segreto professionale o d’ufficio, costituisce violazione del detto obbligo la rivelazione con modalità e contenuti eccedenti rispetto alla comunicazione dell’illecito e delle sue prove all’organo amministrativo o giudiziario competente (per esempio, mediante pubblicazione attraverso i media, oppure mediante diffusione di documenti contenenti anche notizie e dati non rilevanti ai fini della persecuzione degli illeciti in questione).

b) La questione del segreto professionale dell’avvocato e del commercialista – Una seconda questione riguarda l’estensione soggettiva del campo di applicazione delle nuove norme anche ai collaboratori autonomi. Questa estensione, che appare pienamente giustificata in linea generale, alla luce della ratio generale del disegno di legge, è invece probabilmente eccessiva in riferimento al segreto professionale gravante sull’avvocato e sul commercialista. Appare infatti necessario – anche in applicazione del principio del diritto alla difesa, di cui all’articolo 24 Cost. – tutelare l’affidamento del soggetto, pubblico o privato che sia, sul doveroso riserbo del professionista cui venga affidata la consulenza e difesa giudiziale sulle materie civili, amministrative o tributarie di interesse dell’ente medesimo.

Sottopongo pertanto all’attenzione della Commissione l’opportunità che nel parere venga raccomandato un chiarimento nel senso della non incidenza della nuova disciplina sull’obbligo di segreto professionale dell’avvocato e del commercialista.

  1. – Contenuto del disegno di legge nella parte relativa al rapporto di impiego pubblico (articolo 1)

L’articolo 1 del provvedimento al nostro esame modifica l’attuale disciplina della materia relativa agli impiegati pubblici, posta dall’art. 54-bis del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

Rispetto all’attuale normativa per i lavoratori pubblici, le novelle di cui a questo articolo confermano il principio di tutela – in base al quale l’autore della segnalazione o denuncia non può essere sottoposto a misure (determinate dalla segnalazione o denuncia) aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro – con le modifiche e integrazioni che seguono.

  • Sotto il profilo soggettivo, il comma 1, capoverso 2, estende – come si è visto (§ 2) – l’àmbito di applicazione della disciplina anche ai lavoratori pubblici diversi dai lavoratori dipendenti (“collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o di incarico”), nonché ai lavoratori, collaboratori e consulenti degli enti pubblici economici; a quelli degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico (secondo la nozione di società controllata di cui all’art. 2359 del codice civile), nonché ai lavoratori e ai collaboratori, a qualsiasi titolo, di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzino opere in favore dell’amministrazione pubblica.
  • Sotto il profilo oggettivo, il comma 1, ai capoversi 1 e 2, specifica che l’àmbito di applicazione riguarda le segnalazioni o denunce effettuate nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione e in buona fede (definita come la ragionevole convinzione, fondata su elementi di fatto, che la condotta in questione sia stata tenuta e che essa sia illecita). La buona fede è, in ogni caso, esclusa qualora il segnalante abbia agito con colpa grave, se non addirittura con dolo.
  • Riguardo ai possibili soggetti destinatari della segnalazione, il comma 1, capoverso 1, sostituisce il riferimento al “superiore gerarchico” con quello al responsabile della prevenzione della corruzione (figura ora presente in ogni pubblica amministrazione[1] ai sensi dell’art. 1, comma 7, della L. 6 novembre 2012, n. 190, e dell’art. 43, comma 1, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33); resta ferma l’ipotesi di segnalazione all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o di denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile.
  • In merito al principio di tutela summenzionato, lo stesso comma 1, capoverso 1, prevede che l’adozione di misure ritenute ritorsive sia comunicata in ogni caso all’ANAC, da parte dell’interessato o delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (nell’amministrazione nella quale le stesse misure siano state poste in essere) e che l’ANAC informi il Dipartimento della funzione pubblica o gli altri organismi di garanzia o di disciplina, per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza (in merito, la norma vigente prevede, invece, che l’interessato o le suddette organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative segnalino le misure ritenute discriminatorie al Dipartimento della funzione pubblica).
  • Per il caso di adozione di una misura discriminatoria il comma 1, capoverso 6, primo periodo, introduce una sanzione amministrativa pecuniaria, da 5.000 a 30.000 euro, a carico del responsabile che abbia adottato la misura, “fermi restando gli altri profili di responsabilità”; la sussistenza di una misura discriminatoria è accertata dall’ANAC, che è altresì competente a irrogare la relativa sanzione (qui potrebbe essere opportuna l’aggiunta nella disposizione dell’inciso “senza pregiudizio per l’eventuale accertamento giudiziale”).
  • Con riferimento ai procedimenti disciplinari, il comma 1, capoverso 3, modifica la tutela della riservatezza circa l’identità dell’autore della segnalazione o denuncia, limitando la vigente deroga (al principio di riservatezza) relativa al caso in cui la conoscenza dell’identità sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, e sempre che la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione o denuncia. La norma vigente prevede che, in tale ipotesi, l’identità possa essere rilevata; la novella richiede, invece, per la medesima fattispecie, il consenso dell’interessato alla rilevazione della propria identità e, in assenza di consenso, l’impossibilità di utilizzare la segnalazione o denuncia ai fini disciplinari.
  • Il comma 1, capoverso 5, prevede che l’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotti apposite linee guida, relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni in questione, che devono contemplare l’impiego di modalità anche informatiche e promuovere il ricorso a strumenti di crittografia, per garantire la riservatezza sia dell’identità del segnalante sia del contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione. L’ANAC ha già adottato linee guida sui suddetti profili con la determina n. 6 del 28 aprile 2015 “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”: la novella, in merito, sembra dunque, da un lato, offrire un fondamento legislativo esplicito alle determinazioni dell’ANAC, ma, d’altro lato, prevedendo il parere sulla proposta di linee guida da parte del Garante per la protezione dei dati personali, sembra richiedere un nuovo atto di definizione delle stesse. A questo proposito potrebbe essere opportuno prevedere esplicitamente che l’ANAC stabilisca, nelle linee guida, un termine temporale per l’adozione, da parte di ogni soggetto interessato, dei suddetti strumenti e procedure, considerato che la novella introduce una sanzione amministrativa pecuniaria per l’ipotesi di omissione.
  • Il comma 1, capoverso 7, esclude l’applicazione delle tutele, per i casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante o denunciante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la medesima segnalazione o denuncia ovvero la sua responsabilità civile, “per lo stesso titolo”, nei casi di dolo o colpa grave; rispetto alla norma vigente[2], tra l’altro, la disposizione estende esplicitamente la medesima esclusione anche ai casi decisi da sentenze non passate in giudicato. La disposizione sembra fornire un avallo alla citata determina n. 6 del 28 aprile 2015 dell’ANAC, dove la norma vigente, che fa riferimento sinteticamente ai “casi di responsabilità”, è stata interpretata nel senso che, appunto, anche una sentenza di primo grado che accerti il dolo o la colpa grave determini la cessazione della tutela.
  • Il comma 1, capoverso 8, specifica che, qualora al termine del procedimento penale, civile o contabile, oppure dell’attività di accertamento dell’ANAC, risultino l’infondatezza della segnalazione e la mancanza di buona fede, il segnalante o denunciante è sottoposto a procedimento disciplinare dall’ente di appartenenza, al termine del quale, sulla base di quanto stabilito dai contratti collettivi, può essere irrogata anche la sanzione del licenziamento in tronco.

Resta fermo (come nella disciplina oggi vigente) che alle segnalazioni in esame non si applica la disciplina sul diritto di accesso, di cui agli artt. 22 e seguenti della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni (comma 1, capoverso 4). Questa opportuna precisazione è indispensabile per impedire che una applicazione indebita del principio di trasparenza degli atti amministrativi finisca col compromettere le finalità del provvedimento.

Va infine osservato, in riferimento all’articolo 1, che la distinzione tra segnalazione e denuncia compare solo nella parte iniziale del comma 1, capoverso 1, e non anche nella restante parte del capoverso né nei successivi capoversi della novella (e neppure nella rubrica dell’articolo 1). Appare invece opportuno che le formulazioni vengano uniformate per questo aspetto: in particolare nelle norme che si riferiscono alle ipotesi di denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile. Nel secondo e nel terzo periodo del comma 1, capoverso 3, il riferimento al segnalante dovrebbe invece essere sostituito con il riferimento al denunciante e nella seconda parte del comma 1, capoverso 7, andrebbe aggiunto il riferimento alla fattispecie della segnalazione.

  1. – Contenuto del disegno di legge nella parte relativa al rapporto di lavoro privato (articolo 2)

A differenza dell’articolo 1, l’articolo 2 concerne i lavoratori del settore privato e in particolare le segnalazioni (ma deve intendersi compreso nella protezione anche il caso della denuncia), da parte di questi ultimi, di reati o di altre specifiche violazioni di cui siano venuti a conoscenza in occasione della propria prestazione di lavoro.

Le prime novelle integrano la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti privati derivante da reati, di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Si ricorda che tale disciplina concerne gli enti, società ed associazioni (anche prive di personalità giuridica) privati, nonché gli enti pubblici economici: in base a questa normativa, essi sono responsabili (sotto il profilo amministrativo) per i reati commessi da determinati soggetti[3] nell’interesse o a vantaggio dell’ente; ma la responsabilità di quest’ultimo è esclusa, a norma degli artt. 6 e 7 del citato D.Lgs. n. 231 del 2001, qualora ricorrano alcune condizioni, tra cui l’adozione e l’attuazione di un modello di organizzazione e gestione specificamente orientato alla prevenzione ed eliminazione degli illeciti penali e amministrativi.

Le novelle di cui al comma 1, capoverso 2-bis, dell’articolo 2 integrano e specificano i requisiti stabiliti per i suddetti modelli. Sottopongo alla Commissione la valutazione circa l’opportunità di raccomandare l’introduzione nel provvedimento di una norma transitoria che, in fase di prima applicazione, fissi un termine temporale per l’adempimento di questi nuovi requisiti.

Secondo i requisiti aggiunti con le novelle, i modelli atti a esentare gli enti, società ed associazioni interessate dalla responsabilità amministrativa devono essere integrati come segue.

  • Deve essere disposto, a carico di coloro che a qualsiasi titolo dirigano o collaborino con l’ente o società o associazione, l’obbligo di presentare, a tutela dell’integrità del medesimo, segnalazioni circostanziate di condotte costituenti reati (qualora, in buona fede, sulla base della ragionevole convinzione fondata su elementi di fatto, si ritenga che esse si siano verificate) o di violazioni del modello di organizzazione e gestione, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte (lettera a). Osservo in proposito che, contrariamente a quanto previsto per altri obblighi e divieti posti dalla novella (cfr. infra), per l’obbligo in esame non si richiede esplicitamente che il modello contempli sanzioni disciplinari: parrebbe opportuna una formulazione che non lasci dubbi al riguardo, considerato anche che le sanzioni disciplinari sono, a ben vedere, in ogni caso richieste dalla norma generale che definisce il modello organizzativo, di cui all’art. 6, comma 2, lettera e), del citato D.Lgs. n. 231 del 2001.
  • Il capoverso 2-bis, lettera b) impone che vengano istituiti canali alternativi di segnalazione, di cui almeno uno idoneo a garantire, anche con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante.
  • Il capoverso 2-bis, lettere c) ed e), impone che vengano adottate misure idonee – assistite da sanzioni disciplinari – per tutelare l’identità del segnalante e mantenere la segretezza dell’informazione in ogni contesto successivo alla segnalazione, nei limiti in cui l’anonimato e la riservatezza siano opponibili in base alle norme di legge. Osservo, a questo proposito, che andrebbero chiariti gli effetti dell’uso, in questa disposizione, del termine “anonimato”, considerato che le altre novelle di cui allo stesso capoverso fanno riferimento esclusivamente alla riservatezza (probabilmente l’intendimento è lo stesso: ma allora sarebbe meglio uniformare i termini utilizzati).
  • Il capoverso 2-bis, lettere d) ed e) impone che venga posto il divieto esplicito (assistito da sanzioni disciplinari) di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante, per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione, fatto salvo il diritto degli aventi causa di tutelarsi qualora siano accertate in capo al segnalante responsabilità di natura penale o civile, nascenti dalla falsità della dichiarazione. A questo proposito osservo che, mentre – come si è visto nel § 3 – la novella all’articolo 1 fa riferimento anche alle sentenze di primo grado, la novella corrispondente relativa ai lavoratori privati, di cui all’articolo 2, comma 1, capoverso 2-bis, lettera d), qui in esame, prevede l’esclusione dalla tutela ivi disciplinata per i casi di accertamento di responsabilità di natura penale o civile, legate alla falsità della dichiarazione: disposizione, quest’ultima, che sembra fare riferimento solo alle sentenze passate in giudicato; essa, inoltre pare individuare un àmbito di fattispecie parzialmente diverso da quello suddetto di cui all’articolo 1, non ponendo una limitazione ai casi di dolo o colpa grave e facendo, da un lato, riferimento alle sole responsabilità legate a ipotesi di falsità della dichiarazione e, dall’altro lato, non ponendo un eventuale nesso tra responsabilità civile e reato (in quanto non si adopera la locuzione “per lo stesso titolo”). In proposito va altresì ricordato che il parere approvato dalla I Commissione permanente della Camera il 19 novembre 2015 ha invitato a valutare l’opportunità di inserire il riferimento anche alle sentenze non definitive, alla luce del principio costituzionale – relativo però al solo processo penale – della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva[4].

Le novelle specificano che l’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuino le segnalazioni in questione può essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di sua competenza, oltre che dal segnalante o denunciante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo (capoverso 2-ter). Sotto il profilo terminologico, sembrerebbe preferibile far riferimento qui non solo alla discriminazione, ma anche alla ritorsione, per coerenza con l’espressione che compare nei capoversi 2-bis e 2-quater.

Il capoverso 2-quater sancisce che i licenziamenti o altre misure ritorsive o discriminatorie, adottati nei confronti del segnalante, ivi compreso il mutamento di mansioni, sono nulli e pone a carico del datore di lavoro, per le controversie inerenti a misure organizzative aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro e successive alla presentazione della segnalazione, l’onere della prova che le medesime misure siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa. La disposizione si riferisce qui testualmente ai soli rapporti di lavoro subordinato, ma la regola in essa contenuta deve intendersi ovviamente estesa anche alle possibili discriminazioni e ritorsioni nell’ambito di rapporti di collaborazione autonoma. Un adattamento della terminologia usata (per esempio il riferimento al “datore di lavoro o committente”) potrebbe essere opportuno.

Riguardo ai princìpi di tutela di cui al capoverso 2-quater, occorrerebbe altresì valutare se sia congruo non formularli anche con riferimento ai datori e committenti pubblici, i quali, come si è detto, sono esclusi, ad eccezione degli enti pubblici economici, dall’àmbito del D.Lgs. n. 231.

 Più in generale, sottopongo alla Commissione l’opportunità che il parere sul disegno di legge

– raccomandi un chiarimento nel senso che le novelle di cui all’articolo 2 riguardino, come quelle contenute nell’articolo 1, non solo le segnalazioni amministrative, ma anche le denunce alla magistratura;

– raccomandi di aggiungere una disposizione che preveda l’utilizzabilità, nei casi di atti discriminatori ai danni dell’autore di una segnalazione o denuncia, del procedimento civile contro le discriminazioni di cui all’articolo 28 del d.lgs. n. 150/2011, che oggi è riservato ai casi di di discriminazione tipizzata dalla legge e nella stessa norma espressamente richiamate;

– raccomandi che, per maggior chiarezza del dettato legislativo, negli articoli 1 e 2 vengano mantenute le parti della nuova disciplina riguardanti, rispettivamente, le procedure e le competenze dell’ANAC per il settore pubblico, i modelli del D.Lgs. n. 231 per il settore privato; e che invece la previsione e la disciplina delle misure di protezione del segnalante vengano collocate insieme in un articolo 3, in modo che ne resti confermato e anzi sottolineato che si tratta di una protezione in tutto e per tutto identica nei due casi.

  1. – Considerazioni conclusive e di sintesi

Per concludere, oltre a proporre un parere positivo circa il disegno di legge nel suo complesso, invito la Commissione a valutare l’opportunità di inserire nel parere stesso le seguenti raccomandazioni alla Commissione di merito:

  • esplicitare nel provvedimento che l’interesse pubblico alla rimozione e punizione degli illeciti costituisce giusta causa di comunicazione degli stessi e delle relative prove all’organo amministrativo o giudiziario competente, anche quando la notizia rientri nell’area soggettiva e oggettiva nella quale opera il segreto professionale e/o il segreto d’ufficio, con la sola esclusione del caso in cui la persona obbligata al segreto sull’illecito sia un avvocato o un commercializta, per ragione della sua professione;
  • precisare nel provvedimento legislativo che, quando notizie e documenti che vengono comunicati all’organo amministrativo o giudiziario competente siano oggetto di segreto professionale o d’ufficio, costituisce violazione del detto obbligo la rivelazione con modalità e contenuti eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione e della punizione dell’illecito;
  • nell’articolo 1, comma 1, capoverso 5, prevedere esplicitamente che l’ANAC stabilisca, nelle linee guida, un termine temporale per l’adozione, da parte di ogni soggetto interessato, dei nuovi strumenti e procedure ivi contemplati, considerato che la novella introduce una sanzione amministrativa pecuniaria per l’ipotesi di omissione;
  • nell’articolo 1, comma 1, capoverso 6, primo periodo, dove si prevede che la sussistenza di una misura discriminatoria sia accertata dall’ANAC, aggiungere l’inciso “senza pregiudizio per l’eventuale accertamento giudiziale”;
  • sia nell’articolo 1, sia nell’articolo 2, uniformare le formulazioni vengano uniformate in modo che tutte le norme si riferiscano sia alle ipotesi di denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile, sia alle ipotesi di segnalazione all’autorità amministrativa competente;
  • nell’articolo 1, secondo e terzo periodo del comma 1, capoverso 3, sostituire il riferimento al segnalante con il riferimento al denunciante e nella seconda parte del comma 1, capoverso 7, aggiungere il riferimento alla fattispecie della segnalazione;
  • all’articolo 2, comma 1, capoverso 2-bis, aggiungere norma transitoria che, in fase di prima applicazione, fissi un termine temporale per l’adempimento dei nuovi requisiti;
  • all’articolo 2, capoverso 2-bis, lettere c) ed e), chiarire gli effetti dell’uso, in questa disposizione, del termine “anonimato”, considerato che le altre novelle di cui allo stesso capoverso fanno riferimento esclusivamente alla riservatezza: è forse meglio uniformare i termini utilizzati;
  • all’articolo 2, capoverso 2-bis, lettere d) ed e), chiarire se si debba fare riferimento soltanto a sentenze (che accertino il dolo o la colpa grave) passate in giudicato, o anche a sentenze ancora suscettibili di riforma;
  • all’articolo 2, capoverso 2-ter fare riferimento non solo alla discriminazione, ma anche alla ritorsione, per coerenza con l’espressione che compare nei capoversi 2-bis e 2-quater;
  • all’articolo 2, far sì che tutte le novelle riguardino, come quelle contenute nell’articolo 1, non solo le segnalazioni amministrative, bensì anche le denunce alla magistratura;
  • aggiungere una disposizione che preveda l’utilizzabilità, nei casi di atti discriminatori ai danni dell’autore di una segnalazione o denuncia, del procedimento civile contro le discriminazioni di cui all’articolo 28 del d.lgs. n. 150/2011.

Roma, 18 ottobre 2016

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[1] Nonché in altre strutture (diverse dalle pubbliche amministrazioni), individuate dall’art. 11 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, e successive modificazioni.

[2] Cfr. in proposito la prima parte del comma 1 del citato art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001, e successive modificazioni.

[3] Questi ultimi (a norma dell’art. 5 del citato D.Lgs. n. 231/2001) sono costituiti da: a) le persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente, o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché le persone che esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) le persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). In ogni caso, l’ente non è responsabile qualora le persone suddette abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

[4] Principio di cui all’art. 27, secondo comma, della Costituzione.

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