LETTERE DAL CARCERE DI PARMA

UN GRUPPO DI DETENUTI IN REGIME DI ALTA SICUREZZA COMMENTA L’INTERROGAZIONE AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SUL REGIME DELL’ARTICOLO 41-BIS

Il post contiene:
– le riflessioni stilate e sottoscritte il 3 febbraio 2016 da 22 detenuti della sezione Alta Sicurezza 1 della Casa di Reclusione di Parma sull’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia presentata da me con altri senatori Pd il 27 gennaio, a seguito dell’incontro svoltosi nello stesso carcere il 4 gennaio 2016, sull’applicazione corretta del regime di cui all’articolo 41-bis dell’Ordinamento penitenziario
– quattro lettere pervenute il 24 febbraio 2015 per il cortese tramite di Ornella Favero,  Direttore del mensile Ristretti Orizzonti, scritte e spedite dal Carcere di Parma dai detenuti Giovanni Donatiello, Antonio Di Girgenti, Giovanni Mafrica e Salvatore Benigno
– Seguirà il più presto possibile la mia risposta, in forma di recensione all’ultimo libro di Carmelo Musumeci, scritto con Giuseppe Puggioni, Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo (Editoriale Scientifica, 2016)
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RIFLESSIONI DI 22 DETENUTI DEL CARCERE DI PARMA

Premessa

Il legislatore, quando ha riformato l’articolo 4-bis e 41-bis O.P., con decreto legge 23 Febbraio 2009, n.11, convertito con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, è stato condizionato, a nostro parere, non da situazioni di emergenza, bensì dal desiderio di assecondare gli umori dell’opinione pubblica che, dominata da un costante senso di insicurezza, reclamava un inasprimento della risposta punitiva.

Se questa prima osservazione è condivisa, bisogna riconoscere che il legislatore non ha sempre adempiuto con uguale puntualità, con identica misura e con costante intensità al suo compito di dare attuazione all’art.27 co.3 Cost.

La presente riflessione viene compiuta avendo a mente lo scopo principale della pena, che è la riabilitazione del Condannato.

Nel disegno costituzionale la pena svolge una funzione di “Prevenzione speciale” e di “Prevenzione generale“. Nella prevenzione speciale i requisiti della pena sono la sua afflittività e il suo carattere retributivo ( art.4-bis e 41-bis O.P.). Sotto il secondo aspetto (prevenzione generale) la pena deve essere proporzionata, individualizzata e flessibile. Il legislatore, con la riforma del 4-bis O.P., ha fatto prevalere la prima finalità della pena.

La normativa penitenziaria, introdotta nella L.26 luglio 1975, n.354, si caratterizza invece per la prevalenza della finalità rieducativa. Nella fase dell’esecuzione penale, infatti, si ha riguardo esclusivamente al comportamento e all’evoluzione della personalità del condannato, al costante aggiornamento della sua pericolosità alla luce delle risultanze del trattamento penitenziario. Si passa in tal modo dalla valutazione del fatto alla valutazione dell’autore del crimine, cioè l’uomo.

Proposte

  • Ripristino del controllo giurisdizionale sulle decisioni ministeriali applicative del regime del 41-bis O.P.
  • -I detenuti, durante tutto il corso della detenzione vantano posizioni giuridiche che per la loro stessa inerenza alla persona umana sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti e in quanto tali, suscettibili di tutela giurisdizionale.

-Il controllo giurisdizionale relativo all’applicazione dei decreti ministeriali deve essere volto a verificare in concreto la legittimità di ogni singola misura disposta dal decreto in considerazione sia delle finalità di pubblico interesse perseguite dal provvedimento sia dei diritti costituzionalmente garantiti dei detenuti sottoposti al 41-bis O.P., nonché la necessità di evitare trattamenti contrari al senso di umanità.

-Previsione dell’esercizio del diritto alla difesa anche nella fase di proposta dell’applicazione dell’art.41-bis O.P., mediante avviso alla parte, prevedendo facoltà a produrre proprie documentazioni e memorie difensive. Nei fatti un’equiparazione ai provvedimenti restrittivi della libertà personale.

-Reintrodurre la competenza a decidere sui ricorsi relativi alla discussione del decreto di cui all’art.41-bis O.P. al tribunale di Sorveglianza avente giurisdizione sull’Istituto di pena ove il condannato o l’imputato è assegnato.

-Con riferimento al procedimento di sorveglianza e al controllo realizzabile in tema di art.41 bis O.P., la presenza dell’interessato in udienza costituisce elemento essenziale, soprattutto se si vuole tenere conto dell’importanza assunta nel procedimento della verifica della personalità del soggetto.

  • Con riferimento al procedimento di sorveglianza e al controllo realizzabile in tema di cui all’art.41-bis O.P., consentire che le decisioni del tribunale di Sorveglianza siano ammesse sulla base dell’acquisizione in udienza di documentazione relativa all’osservazione e al trattamento, nonché, quando occorre, svolgendo necessari accertamenti ed avvalendosi della consulenza dei tecnici del trattamento.
  • Disciplinare le sezioni delle “Aree riservate” dell’art.41-bis con legge, cioè con avallo normativo, evitando condizioni di precarietà e segretezza, privazione dei diritti e sottrazione a forme di controllo e monitoraggio.
  • Verifica di un controllo effettivo delle informative della DDA, DIA, DNA affinché’ le informazioni siano conoscibili da parte dell’interessato.

Quando tale verifica non avviene si configura una violazione del Contraddittorio, in spregio alle regole del giusto processo. Tutto ciò influisce sulla portata che il controllo esplicabile in sede di reclamo dovrà assumere. Molte volte l’acquisizione di tali informative si traduce in informazioni di tipo generico.

  • Scioglimento del cumulo. È uno scioglimento eseguito nell’ambito di un procedimento davanti al Magistrato di Sorveglianza o davanti al Tribunale di Sorveglianza, i quali possono determinare la pena riferibile a ciascun reato, quando il Giudice della Cognizione non ha specificato nella sentenza di condanna la quota di pena attribuibile a ciascuno dei reati concorrenti.

L’applicazione indiscriminata dei criteri fissati dall’art.76 c.p. conduce di fatto all’estensione dei regimi penitenziari più gravosi anche alle condanne non selezionate dell’art.4 bis O.P. creando senza alcun supporto normativo uno status di detenuto ostativo per l’intero rapporto esecutivo, a prescindere dal reato commesso.

  • Modifica art.4 bis O.P.

Così come disciplinato ha irrigidito le modalità di accesso ai benefici penitenziari, ponendosi in stridente contrasto con l’art.25 Cost.; art.2C.P.,e art.7 CEDU.

Si lamenta la retroattività della norma per tutti quei reati commessi prima del luglio 1991, i quali hanno soggiaciuto a un aggravio sostanziale nell’esecuzione della pena che non poteva essere previsto al momento della commissione del reato, violando il principio della legalità della pena stessa, ravvisandone, altresì, una violazione dei requisiti di “ regolarità “ e “ legalità” della privazione della libertà personale prevista dall’art.5 CEDU.

  • Modifica dell’art.4-bis O.P. per dar luogo a una disciplina giuridica in grado di attribuire rilievo premiale – senza esigere alcuna collaborazione di Giustizia – a condotte di dissociazione da attività criminose, credibili e riscontrabili anche ai condannati per reati diversi dal terrorismo.

Le modifiche normative che si propongono mirano a realizzare un equilibrato superamento della preclusione assoluta di accesso ai benefici penitenziari che attualmente sono vincolati dalla collaborazione con la giustizia :

  1. Trasformare l’attuale presunzione di non rieducabilità in assenza di collaborazione da “assoluta” in “relativa”, ripristinando il principio rieducativo e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, entrambi sanciti dall’art.27 Cost.
  2. Aggiungere alle ipotesi contemplate nell’art.4-bis O.P. quella secondo la quale i benefici possono essere concessi anche quando risulti che la mancata collaborazione non fa venir meno il sussistere dei requisiti che ne permettano la concessione, ai sensi della L.354/75;
  3. Escludere rigidi automatismi e richiedere che sia possibile una valutazione individualizzata caso per caso evitando un automatismo in contrasto con i principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena;
  4. Restituire ai Tribunali di Sorveglianza la possibilità di valutare se esistano elementi specifici di un positivo percorso rieducativo del condannato, tale da consentire – con specifica motivazione – l’accesso ai benefici penitenziari;
  5. Ritenere come elementi di rilievo un complesso di comportamenti, pur non collaborativi, che dimostrino il distacco del condannato dalle associazioni criminali attraverso:

. dissociazione esplicita,

. presa di posizione pubblica,

. adesione a modelli di legalità

. interesse per le vittime dei reati

Ritenere la mancata dissociazione come espressione del “principio di innocenza”, così che la scelta di non aderire possa tramutarsi, nella fase esecutiva della pena, in scelta spontanea e non in un obbligo, onde evitare di escludere il condannato dall’ordinario regime di rilevanza della partecipazione al trattamento penitenziario.

Noi sottoscritti, detenuti nel decidiamo consapevolmente di apporre la nostra adesione sulle considerazioni relative all’interpellanza parlamentare del sen. Pietro Ichino, stilate all’interno della Sezione AS1 del Carcere di Parma.

FERRAIOLI DOMENICO
STOLDER CIRO
BARRANCA GIUSEPPE
MARCHESE  ANTONINO
FAVARA CORRADO
MAZZARA VITO
REITANO ROBERTO
RUÀ GIANFRANCO
MORELLI DOMENICO
LATINO CARMELO
AVARELLO GIOVANNI MARCO
NICASTRO  VINCENZO
BEVILACQUA FIORAVANTE
GANCITANO ANDREA
CAPOZZA LUIGI
ALBANESE ANTONIO
PUCCINELLI CIRO
CAVALLO AURELIO
PISCOPO GIUSEPPE
ROMEO ANTONIO
TESTA DOMENICO
DI BONA ENZO

Parma, 3 febbraio 2016

 

LETTERA DI GIOVANNI DONATIELLO

Gentile Professor Pietro Ichino
Ancora non avevo avuto modo, e con me tutti gli altri presenti al nostro incontro, di esprimere la nostra gratitudine per la sua disponibilità ad incontrarci. Ritengo sia stato un momento importante durante il quale le distanze si sono per davvero accorciate, dandoci l’opportunità di interloquire su una tematica abbastanza sensibile dal punto di vista politico: ovvero la possibile modifica del regime del 41-bis.
Ci ha dato esempio, con grande onestà intellettuale, di come le rappresentanze democratiche dovrebbero comportarsi, ascoltando tutti quei cittadini che vogliono partecipare al processo democratico per contribuire al progresso civile del proprio paese.
La puntualità con la quale ha affrontato l’interrogazione parlamentare ci ha soddisfatti; tuttavia, non ci illudiamo che possa essere un percorso facile, ma non per questo possiamo disperare che si possa smuovere qualcosa per rendere più a dimensione d’uomo questo regime il quale, senza giri di parole, rasenta la tortura.
Quindi, abbiamo riunito le nostre, seppur limitate competenze ed abbiamo lavorato su due piani : uno prettamente normativo, non so quanto possa essere valido, ma ci abbiamo provato…; l’altro su quelle esperienze personali che comunque rimarranno indelebili.
Auspico che il nostro modesto contributo sia apprezzato e valorizzato, magari come già fatto riproponendosi per un altro incontro. La sua presenza in questo istituto, infatti, contribuirebbe, e non poco, a dare una svolta alla gestione di questo istituto, passando da un modello marcatamente custodiale ad un modello di tipo trattamentale.
In questo senso ci sembra che vadano gli sforzi da parte di questa amministrazione, e in particolar modo del direttore dott. Carlo Berdini, il quale pone attenzione e dà ascolto anche nella quotidianità.
Il nostro auspicio è di “ vivere” un carcere che possa offrire l’opportunità di espressione della propria personalità in tutte le sue sfaccettature.
Contiamo sulla sua attenzione a sostenerci in questo delicato passaggio.
A Lei, i più cordiali saluti da noi qui presenti, e un arrivederci  a presto con viva gratitudine.
Giovanni Donatello

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LETTERA DI GIANFRANCO RUÀ

Considerazioni pratiche e significative sui motivi utili della dissociazione, sia sul piano del recupero della persona, come prevede la Costituzione, sia sul piano giuridico, nella ricerca della verità.
(1) Se una persona dopo tanti anni di carcere è cambiata veramente e non vuole più far parte o non fa più parte di un’associazione, come lo dovrebbe dimostrare, (a parte 58-ter la collaborazione) non ci sono altre leggi.
(2) Cosa cambia fra chi ha commesso i reati di eversioni o terrorismo e reati di associazione mafiosa, se la persona che le ha commesso si rende conto dello sbaglio e della inutilità del proprio vissuto? Perché i benefici non si debbono applicare alla persona e non al reato! Il terrorismo (degli anni di Piombo) è stato sconfitto dalla “dissociazione” e non della collaborazione.
(3) Un esempio: mettiamo caso che una persona sia stata condannata per svariati reati e fra questi ce ne siano alcuni di cui è innocente, non li abbia commessi. Con l’unica alternativa del 58-ter (la collaborazione), il giudice competente la prima cosa che chiede sarà la responsabilità dei reati dei quali si è stati condannati, specialmente se ci siano altre persone ignote. Se uno è innocente di quel reato, cosa deve dire al giudice? O non viene creduto, o si deve inventare le cose, con tutte le conseguenze che può creare la menzogna.
(4) Anche sul piano giuridico, dove ci siano delle precisazioni che uno vorrebbe o dovrebbe fare, la dissociazione sarebbe utile. È nel proprio interesse prendersi esclusivamente e solo le proprie responsabilità.
E poi, i benefici penitenziari sono sempre revocabili se uno non rispetta le regole che gli vengono imposte.
Gianfranco Ruà

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LETTERA DI AURELIO CAVALLO

Il sottoscritto Cavallo Aurelio, nato a Gela (CL) il 23.01.1956 in atto detenuto presso la casa di reclusione di Parma, dichiara quanto si può riscontrare in verità: il sottoscritto è stato arrestato il 06.02.1991. Il 28.07.1992 è stato sottoposto al regime dell’art.41-bis O.P.
Fino al 28 maggio 2003 sono stato detenuto prima, per pochi mesi, al carcere di Cuneo e poiché avevano aperto l’Asinara sono stato trasferito al carcere dell’Asinara fino alla sua chiusura.
Il regime dell’art.41-bis O.P. è una tortura e solo quelli ai quali è stato applicato capiscono cosa significa stare in questo regime… vedere massacrare i propri compagni e poi portarli con la carriola dei muratori e buttarli dentro la cella, fino a che gli passavano le ferite causate dalle forti mazzate.
Ma nessuno denunciava l’accaduto per la nostra mentalità e nessuno diceva niente.
Nel 2002 è stato arrestato mio figlio Giuseppe. Sono trascorsi ben 14 anni che io non vedo mio figlio, se questa non è una tortura…
Mio figlio aveva 22 anni, un ragazzino, sottoposto a trascorrere ben 14 anni al regime dell’articolo 41-bis O.P.
Oggi ha 36 anni, con il decreto del 2009, gli avevo inviato la foto della famiglia, ma non gliel’hanno nemmeno consegnata.
Il magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, in data 18 ottobre 2012, aveva autorizzato ad effettuare il colloquio con mio figlio Giuseppe, e il D.A.P.  non ha dato l’ordinanza di esecuzione all’ordinanza emessa dal magistrato, violando ogni diritto e violando ogni legge dello stesso Stato.
Molte volte ho denunciato l’accaduto al processo di Caltanissetta riguardo quello che ci facevano nel carcere dell’Asinara, tutti quei soprusi che oggi cerco di dimenticare per stare bene; era vietato parlare con altri detenuti della stessa sezione, per giorni dovevi stare muto come un pesce che ti fanno il rapporto disciplinare e ti chiudono il blindato per 15 giorni: vietato passare un pezzo di pane ad  altro detenuto che ti fanno rapporto disciplinare per 15 giorni, vietato ricevere giornali o riviste, stare 23 ore dentro la cella, solo un’ora di passeggio al giorno.
Credo che una parte di detenuti esce dal regime del 41-bis D.P. con la mente bruciata; cosa deve fare lo Stato con queste persone a cui ha bruciato la mente, prendono tutti farmaci che uccidono un cavallo. Non è meglio applicare la pena di morte che torturare una persona 20 anni come alcuni che sono sottoposti al 41-bis da 24 anni come coimputati Fiorise Nunzio o altri; mio figlio sta scontando solo il reato detto comune art. 73 D.P.R. 909/90 e art.629 C.P. con l’aggravante dell’art.7 della L. 12 luglio 1991 n. 203, ha scontato il reato ostativo di art. 416-bis C.P. e art. 74 D.P.R. 309/90: vietato cucinarsi un piatto di pasta o patate; che c’entra la sicurezza con cucinarsi un piatto di pasta, che c’entra non vedere il proprio genitore con la sicurezza?
Tutti i giorni fanno la perquisizione e mettono spesso la biancheria asciutta con quella bagnata in modo che perdi la pazienza e poi ti fanno il rapporto disciplinare, e ti portano a cadere malato dai soprusi che ti fanno tutti i giorni, in modo che diventa uno zombie che non può camminare né vivere.
Aurelio Cavallo

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LETTERA DI ANDREA GANCITANO

Rendere più umano il 41-bis

  • L’articolo n 3 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cita quanto segue: nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena e a trattamento inumani o degradanti. (CEDU)
  • L’art. 27 della Costituzione della Repubblica italiana menziona: … le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Chi scrive non ha nessuna intenzione di polemizzare con quanti hanno prodotto alcune leggi emergenziali emanate sulla base dell’emotività provocata da quanto è accaduto negli anni 92/93, stragi terroristiche mafiose, delitti gravissimi, e quindi costretti da queste emergenze a prendere delle misure straordinarie con una parte della popolazione detenuta (Associazioni criminali, terroristiche o eversive, ecc.) sospendendo l’applicazione delle normali regole trattamentali qualora vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con una associazione criminale, terroristica, ecc

  • L’art. 41-bis è nato su una situazione di emergenza (le stragi terroristiche mafiose sul territorio nazionale, 1992/1993).
  • Sono trascorsi più di 22/23 anni, l’Italia è ancora in emergenza? Può una nazione democratica come l’Italia, un grande Stato, un paese civile che è riuscita a liberarsi da quella vergogna che è stato il regime fascista, pagandone un prezzo carissimo, la perdita di tante vittime umane innocenti e non (partigiani, civili, militari, ecc.), può lo Stato italiano continuare a prendersela con i suoi “figli”, perché tutti i cittadini sono figli dell’Italia, anche i carcerati degli istituti di pena che scontano il fio di quanto commesso (c’è una percentuale minima che è innocente o si dichiara tale). Non può una nazione di alto profilo storico come l’Italia infierire contro i suoi “figli”, un padre, una madre, non debbono continuare a punire e infierire contro la loro prole, sarebbe un male. Un grande paese come l’Italia non deve praticare la vendetta, è un errore grave che un paese civile non può permettersi.

Quando le punizioni sono durature per tantissimo tempo, queste diventano torture, persecuzioni, contro ogni senso di umanità, e di riflesso ne pagano le conseguenze i familiari che nulla hanno a che vedere di quanto commesso dal parente detenuto. La detenzione non deve essere applicata come vendetta contro quanti si trovano rinchiusi negli istituti di pena.

Umanizzare le pene è un segnale di grande forza, lo Stato deve essere superiore e di grandi valori morali concedendo, a quanti hanno sbagliato, la possibilità di far scoprire loro i grandi valori della vita: lavoro, studio, filantropia, etica, morale, valori che non possono prescindere da ogni essere umano. Continuare a reprimere non avrà certo dei buoni risultati, fomenterà maggiore odio e ciò non deve assolutamente accadere: si deve essere tutti rispettosi della legalità, con una buona dose di onestà intellettuale che non guasta.

  • Perché e a cosa è utile ridurre le ore di colloquio per quanti sono sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis? Se si fa un’ora o se ne fanno quattro, non va certo a incidere sulla pericolosità dell’individuo. Prolungando le ore di colloquio i bambini trascorrono più tempo con il proprio papà, assieme alla mamma ed altri fratelli /sorelline.
  • Poter dare ai detenuti la possibilità di frequentare corsi di formazione, utili per il futuro di ogni detenuto (studio, lavoro, incontri formativi, di riflessione, ecc.)
  • Perché limitare il numero dei libri in cella? Cosa c’entra con la sicurezza?
  • Cucinarsi un piatto di pasta, comprare dei prodotti in più nel mod. 72?
  • Per ritornare ai colloqui: perché non far fare loro i colloqui coi tavolini seduti tutt’intorno come una vera famiglia, servirà a non disintegrarla, quel vetro divisorio o bancone quanti danni pericolosi ha arrecato ai minori e non solo, anche le mogli vengono stravolte. Il giorno del colloquio deve essere una giornata di “festa”, di abbracci, di baci, carezze, tenerezze verso i tuoi cari, sentirsi per un giorno una persona “normale” con la partecipazione gioiosa dei tuoi cari.
  • Cosa cambia se una telefonata anziché essere della durata di 10 minuti diventa di 20/30 minuti?
  • Perché i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, per parlare con i propri familiari debbono telefonargli in un altro istituto penitenziario, costringendoli a spostarsi dalla città di residenza in un’altra dove c’è un istituto penitenziario, sobbarcandosi rischi automobilistici, chilometri di asfalto, per amor di sentire una volta al mese la voce dei propri cari?

Anche i familiari dei detenuti e in particolare coloro che sono sottoposti al regime di cui al 41 bis, soffrono le loro pene, loro malgrado di riflesso vengono coinvolti in questi vortici infernali: viaggi lunghissimi con tanti disagi che ne susseguono; attese estenuanti in quelle squallide e fredde sale d’attesa; (per una sola misera ora di colloquio, perdono giornate intere e qualcuno perde parte della mensilità); spese esorbitanti per l’acquisto dei biglietti; quanti sacrifici, quante sofferenze ed umiliazioni debbono ricevere questi parenti dei detenuti? Vengono “visionati” non come persone libere e incensurate, ma come “quelli”  che queste strutture prima o poi le verranno ad “abitare”.
Bisogna umanizzare di più il trattamento nelle carceri italiane, i detenuti sottoposti al 41 bis sono prima di tutto esseri umani, e come tali debbono essere trattati, se no sarebbe un fallimento per un paese civile e democratico come l’Italia.
Andrea Gancitano

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LETTERA DI ANTONIO SORRENTO

Il 41-bis è una legge dello Stato Italiano che riguarda il regime penitenziario.
Esso è applicato  come misura di sicurezza per impedire a delle persone sottoposte a quel regime la possibilità di dare ordini di carattere delinquenziale all’esterno del carcere all’organizzazione di appartenenza.
Recita più o meno cosi la ormai voluminosa letteratura specifica.
Ma in realtà il 41-bis ha tante negative sfaccettature che non hanno nulla a che fare col sistema di  sicurezza esterno che vige nella società.
In realtà colloquiare per via telefonica nel telefono di casa di un ipotetico sottoposto a tale articolo, non comporta nessun allarmante pericolo per la società. Ragioniamo per un sottoposto al 41-bis, quando questi chiedono alla Direzione delle carceri di effettuare la cosiddetta telefonate nelle rispettive case, i colloqui telefonici sono meticolosamente registrati, che motivo c’è di farli fare da un carcere all’altro, qual è la regola che apporta sicurezza far entrare una famiglia in un carcere per colloquiare per via telefonica col congiunto, oltre tutto credo che a nessuno sprovveduto passerebbe per la mente di dare direttive col fine di commettere delitti in una situazione del genere.
Il punto dolente che stride sulla pelle di chi è sottoposto a tale regime è il fatto che più volte gli viene applicato sulla base della custodia cautelare, quindi ad un presunto colpevole ma nello stesso tempo a un certo innocente, a un senza colpa.
Lo spesso vetro che delimita il contatto umano coi congiunti che sono cittadini liberi, innocenti ed onesti non lede per caso la dignità, per prima cosa, degli stessi che si recano a far colloquio  al loro caro? Cosa c’entra con la sicurezza esterna il fatto che un sottoposto al 41-bis non possa fare regolari colloqui con la famiglia quando il locale nel quale si svolgono è munito di telecamere e di sofisticati “microfoni”?  E poi un sottoposto al 41-bis, per la maggior parte, è un condannato all’ergastolo, mi volete spiegare voi legislatori o il ministro dell’interno, on.le Alfano, perché non possa dedicarsi a tutte le attività di lavoro, risocializzazione, ecc. all’interno delle cosiddette sezioni speciali allestite per tale articolo? Ma se un detenuto ergastolano che non uscirà mai più dal carcere è murato vivo in una cella di pochi metri quadri, si vuole o no, visto che lo Stato è per la cultura della vita, della legalità, della civiltà, almeno non far pesare la sua condotta ai figli e ai nipoti che spesso non c’entrano nulla col vissuto del proprio congiunto? Forse mi sbaglierò ma il 41-bis verrà abrogato o quantomeno congelato proprio quando alcuni nomi (n.d.r.) “eccellenti” non faranno più politica, non saranno più strumento di sicura risonanza per l’avanzamento di carriera di alcuni politici. Ma se così fosse, e al momento per me è così, non è un puro “strumento” tra gli addetti ai lavori di una vendetta dello Stato per quello che ha subito? Questo nostro Stato deve avere un coraggio ben più fondato: deve voltare pagina in tema di diritti penitenziari. Il 41-bis è un’infamia, è una tortura. Queste non sono parole dette senza un vero fondamento perché basterebbe ricordare i morti di Pianosa…
Antonio Sorrento

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