SÌ ALL’ETÀ DI PENSIONAMENTO FLESSIBILE, MA NON A SPESE DI FIGLI E NIPOTI

LA LIBERA VARIABILITÀ DEL MOMENTO DEL PENSIONAMENTO È CONNATURATA CON IL SISTEMA CONTRIBUTIVO DI DETERMINAZIONE DELLE RENDITE; PROPRIO PER QUESTO ESSA DEVE ESSERE INTRODOTTA SENZA AGGRAVI PER LA FINANZA PUBBLICA E QUINDI PER LE NUOVE GENERAZIONI

Intervista a cura di Pietro Vernizzi, pubblicata sul sito il Sussidiario, 9 marzo 2016 – In argomento v. anche l’articolo di Giuliano Cazzola e mio sul Sole 24 Ore del 17 luglio 2013 .

Professore Ichino, perché e come ritiene che vada attuata la flessibilità pensionistica di cui si discute da tempo?
Il perché è presto detto: uno dei grandi vantaggi del sistema contributivo consiste proprio nell’indifferenza finanziaria del sistema stesso rispetto alla scelta del lavoratore anziano di andare in pensione quattro anni prima dell’età prevista come normale, perché è lo stesso interessato a “pagare” l’anticipo con una pensione più bassa, oppure a beneficiare del ritardo ottenendo una pensione più alta. Il “come” deriva immediatamente dalla logica del sistema contributivo: lo si deve realizzare senza maggiori oneri per lo Stato.

Non è esattamente quello che chiedono i sindacati, l’opposizione e la minoranza di sinistra del PD.
Le loro richieste comporterebbero un beneficio per la mia generazione, pagato con un aumento del debito pubblico. Cioè un beneficio per i sessantenni di oggi che verrà pagato dai loro figli e nipoti. Sarebbe l’aggravamento di una ingiustizia già molto grave: la mia generazione ha già beneficiato assolutamente troppo, in termini pensionistici, a spese delle generazioni successive. Ogni euro di cui disponiamo oggi per la spesa sociale va destinato, semmai, a sostegno di queste ultime: quindi a combattere la povertà infantile, a coprire i buchi nella previdenza dei giovani, a sostenere le famiglie con una persona non autosufficiente.

Il governo ha annunciato che intende ridurre ulteriormente le tasse. Ci sarebbero le risorse per introdurre anche la riforma delle pensioni?
Come ho detto, se anche ci fossero, non andrebbero spesi a vantaggio dei sessantenni di oggi che aspirano ad andare prima in pensione senza la corrispondente riduzione della rendita, ma a vantaggio dei ventenni, trentenni e quarantenni che in pensione andranno a settant’anni, e mediamente con rendite nettamente più basse delle nostre.

La cosiddetta flessibilizzazione dell’età di pensionamento inizialmente avrebbe dovuto essere varata nei primi mesi del 2016; ora è stata rimandata a data da destinarsi. I politici stanno prendendo in giro i lavoratori?
No: il motivo del rinvio sta nel disaccordo, che in qualche misura si registra anche in seno alla maggioranza, tra chi vuole che questa misura venga attuata con un aumento della spesa corrente statale, e chi, a mio avviso giustamente, rifiuta questa scelta.

Lei condivide la proposta del presidente Inps, Tito Boeri, di ridurre almeno un po’ la parte non guadagnata delle pensioni già in essere?
In linea di principio la condividerei, se fosse tecnicamente praticabile: cosa di cui peraltro alcuni dubitano. Però, quando mi sento dire dagli esperti che applicando questa misura soltanto alle pensioni superiori ai 60.000 euro annui il risparmio è inferiore a un miliardo di euro, e che viceversa l’effetto probabile sui consumi interni, causato dall’incertezza dei trattamenti previdenziali futuri e dal clima psicologico di emergenza continua, rischierebbe di costare di più, penso che tutto sommato sia meglio soprassedere.

Chiuso il capitolo esodati, che cosa si può fare per i 55enni rimasti senza un lavoro?
Aprire il capitolo delle politiche di promozione dell’invecchiamento attivo, quelle che a nord delle Alpi vanno sotto il titolo dell’Active ageing. C’è moltissimo da fare su questo terreno, sul quale in Italia siamo ancora all’anno zero. Il mondo delle possibili attività retribuite o semi-retribuite per gli ultra cinquantacinquenni è vasto, e da noi inesplorato.

In un’intervista fatta nel dicembre 2011 lei disse che la riforma Fornero avrebbe potuto “risultare eccessivamente gravosa per chi ha svolto prevalentemente un lavoro usurante, per chi oggi svolge lavoro manuale, per i lavoratori in mobilità, o per quelli che abbiano effettuato un riscatto contributivo contando sulla vecchia disciplina”. Come ritiene che si debba intervenire per ciascuna di queste categorie?
Per i lavori usuranti è già previsto un anticipo dell’età di pensionamento. Qui si può intervenire sulla definizione dei lavori usuranti, per perfezionarla. Per i lavoratori in mobilità e per i contributori volontari relativamente vicini al pensionamento con le vecchie regole hanno già provveduto le leggi di “salvaguardia” emanate dal dicembre 2011 in poi. Ormai la fase della transizione è superata, e da tre anni si incominciano a vedere gli effetti positivi della riforma del 2011 in termini di aumento costante del tasso di occupazione degli ultracinquantenni. Ora non è più il momento di pensare alle pensioni degli anziani: i problemi di politica sociale più gravi di cui dobbiamo occuparci sono quelli dei giovani.

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