DI VICO: RIFORMISTI VECCHI E NUOVI ALLA PROVA DEI PERDENTI DELLA GLOBALIZZAZIONE

“LA CLASSE DIRIGENTE INTELLETTUALE DEVE FAR FRONTE AI PROBLEMI DEI CITTADINI CHE DALLA GLOBALIZZAZIONE CI RIMETTONO – IL REDDITO DI CITTADINANZA È UNO STRUMENTO INEFFICACE MA DI FORTE PRESA ELETTORALE: CHI PROPONE UN ALTRO APPROCCIO È INDIETRO NELL’ELABORAZIONE”

Editoriale di Dario Di Vico, pubblicato sul Corriere della Sera del 23 giugno 2016 – L’editorialista del Corriere cita un mio editoriale telegrafico della settimana scorsa, ciò di cui lo ringrazio; ma la necessità politica di individuare precisamente i perdenti della globalizzazione, e predisporre le misure soprattutto per il loro indennizzo e sostegno, è espressa più compiutamente in un articolo che ho pubblicato con altri nove parlamentari del Pd sul Foglio il 12 gennaio scorso, La svolta buona che ora serve all’Italia  

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«Urge occuparsi dei perdenti della globalizzazione». Si intitola così un breve editoriale che Pietro Ichino ha incluso nella sua newsletter settimanale nel quale sostiene una posizione del tutto nuova per lui. «L’imbarbarirsi dello scontro sulla globalizzazione anche nel civilissimo Regno Unito mi convince che anche per chi accetta da destra la sfida della globalizzazione è indispensabile occuparsi di come sostenere e indennizzare i losers. È l’unico modo per alleviare uno smarrimento e un’angoscia che, nella transizione, possono colpire tutti».

Dario Di Vico

Dario Di Vico

Ichino ha scritto prima della diffusione dei risultati delle amministrative italiane senza quindi alcun riferimento diretto alla vittoria dei Cinquestelle. Lo storico Giuseppe Berta, invece, è partito proprio dall’esito sorprendente del voto torinese e intervistato dalla Stampa ha sostenuto che «non conosciamo più la città». «Esiste un tram — ha raccontato Berta —, il numero 3, che parte dalla bella pre-collina borghese e arriva alla Vallette, periferia estrema. Il tram numero 3 è un viaggio in una società segmentata da cui vedi cambiare scenario in poche centinaia di metri. Un epidemiologo ha calcolato che la speranza di vita di uno che abita in pre-collina è di 7 anni superiore a quella di uno che sta al capolinea, alle Vallette. Il senso di disparità si è acutizzato, la crisi ha visto la forbice sociale divaricarsi molto più a Torino che altrove». Ho riportato le analisi di Ichino e Berta perché si tratta di due esponenti di punta della cultura riformista italiana ed è significativo come partendo da occasioni e spunti diversi tra loro siano arrivati di fatto alle stesse conclusioni. La disuguaglianza è oggi il tema che sta in cima alle preoccupazioni dei cittadini sia inglesi sia italiani, finisce per determinare il loro orientamento politico e produrre i terremoti politico-elettorali che ben conosciamo.

Ma per slittare dal dibattito tra intellettuali alla contingenza politica italiana dobbiamo porci una domanda immediata: il successo del grillismo è così strettamente riconducibile alle dinamiche descritte da Ichino e Berta? Noi sappiamo che i primi successi del Movimento 5 Stelle sono stati originati dalla una radicale critica della società politica centrata su tre aspetti collegati tra di loro: i costi abnormi degli apparati, la loro sostanziale inamovibilità e l’alto livello di corruzione. Non c’erano quindi in primo piano i temi legati alle conseguenze della globalizzazione e ancora oggi la parola d’ordine nella quale si ritrova il movimento è «onestà» e non «equità». Per rispondere compiutamente alla domanda di cui sopra dovremo però attendere gli studi sui flussi di voto da parte dei politologi e dei centri di ricerca specializzati, nel frattempo possiamo sottolineare quantomeno alcuni indizi.

Il primo riguarda la mappa del voto che vede nelle due città passate ai Cinquestelle un successo pieno del grillismo nelle aree periferiche con il Pd, invece, asserragliato nelle cittadelle dei ricchi e dell’intellighenzia. Il secondo indizio proviene dal voto dei giovani che, solo con qualche eccezione, sembra ormai privilegiare stabilmente il movimento di Casaleggio. E sappiamo che in Italia la disuguaglianza più radicata e drammatica è quella che investe proprio la condizione degli under 35, tagliati fuori dall’ingresso nel mercato del lavoro e costretti a rinviare sine die i loro progetti di vita. Dobbiamo di conseguenza solo capire quanta consapevolezza ha il gruppo dirigente dei Cinquestelle di essere diventato il veicolo inconsapevole del profondo disagio dei losersdi cui parlano Ichino e Berta.

In questo approfondimento non va dimenticato l’intreccio quasi antropologico tra web e grillismo, specie se accettiamo la traccia fornitaci dallo scrittore inglese Jonathan Coe secondo il quale «la Rete ci consente di avere uno sguardo più chiaro sull’animo umano, sulle sue manifestazioni, dalle più alte alle più basse». Prolungando la riflessione fino alle scelte di politica economica, le cosiddette policy, è chiaro che la proposta che chiude il cerchio del rapporto tra Cinquestelle e disuguaglianze si chiama reddito di cittadinanza. In questo modo la politica si riprenderebbe il suo spazio, ristrettosi a causa delle dinamiche della globalizzazione, rispondendo al ciclo elettorale con provvedimenti di spesa in chiave egualitaria. Ma è davvero la strada giusta da percorrere in un Paese come l’Italia che presenta una macchina amministrativa poco efficiente e ha già abbondantemente conosciuto le distorsioni di sussidi elargiti proprio a fini di cattura del consenso? E poi, è compatibile con gli equilibri di finanza pubblica? Il tema non può essere liquidato in poche battute e in questa sede mi limito a segnalare il mio scetticismo e a rimandare a un’ampia analisi del professor Massimo Baldini, uscita sull’ultimo numero della rivista del Mulino.

Sicuramente però mentre i grillini hanno sul breve uno strumento di propaganda per tentare di fidelizzare il proprio elettorato i riformisti appaiono in ritardo. Non sembrano avere le carte da giocare e devono far presto nel passare dalle intuizioni di Ichino-Berta a proposte credibili e competitive. Non si tratta certo di operare inversioni ad U ma di evitare una progettualità politica che guardi solo ai winnersdella globalizzazione e ignori invece l’esercito dei perdenti. Nell’attesa di policy convincenti si può recuperare iniziativa sul terreno valoriale. Sostiene sempre Coe: «La politica deve ristabilire un senso di empatia con la gente comune. È paradossale ma in un’epoca di comunicazioni flessibili e rapide questa connessione si è persa». Come dargli torto?

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