IL PROGRAMMA PRESENTATO DA PIERLUIGI BERSANI – trascrizione del discorso effettivamente svolto

QUALCHE VOLTA IL CONFRONTO TRA IL TESTO SCRITTO E LO SVOLGIMENTO ORALE DEL DISCORSO DI UN POLITICO RIVELA QUALCHE SFUMATURA INTERESSANTE SU CIO’ CHE VERAMENTE PENSA L’ORATORE: QUESTA TRASCRIZIONE OFFRE AI LETTORI LA POSSIBILITA’ DI “SENTIRE” DIRETTAMENTE QUELLO CHE BERSANI HA DETTO ALL’AMBRA IOVINELLI

Trascrizione del discorso effettivamente svolto da Pierluigi Bersani a Roma il 1° luglio 2009, per la presentazione della propria candidatura alla Segreteria del PD. V. anche il testo scritto ufficiale dello stesso discorso, con l’evidenziazione in grassetto dei passaggi più importanti.

Questo invito è rivolto in particolare alla nuova generazione che c’è in campo. E così farò in altri appuntamenti, in altre iniziative a Nord e Sud del paese. Dico che non c’è bisogno di inventarsi una nuova generazione, non c’è neanche bisogno di raffigurarla per simboli. Bisogna aprire la strada. aprire la strada, in primo luogo, facendo in modo e cominciamo qui, che possa direttamente prendere in mano in ogni luogo del Paese la discussione politica che avremmo. E  in secondo luogo facendo in modo che questa generazione possa misurarsi ad ogni livello nelle  funzioni esecutive del Partito. È quello che mi impegno a fare a cominciare dal livello nazionale. È giusto che chi predispone a sostenermi sappia bene come la penso a questo proposito. Io ho mente un partito nel quale c’è rispetto per la generazione precedente. Un partito nel quale la generazione che viene prima considera suo compito aprire subito la strada alla nuova generazione sostenendola e accompagnandola. Ho detto che avremo una discussione politica, finalmente una discussione politica. Una discussione sull’Italia e su noi per renderci più utili alla riscossa del nostro paese e agli interessi e valori che vogliamo rappresentare. In questi mesi ci si deve accorgere  che vogliamo avvicinare il PD all’Italia. Noi dobbiamo guardare in faccia la realtà. In questi mesi abbiamo suscitato molte speranze, in venti mesi, e una parte di queste speranze è rimasta delusa. Molti elettori si sono allontanati da noi, abbiamo vissuto in molti luoghi del paese il venir meno della solidarietà fra di noi, fenomeno di ripiegamento, di divisione persino di anarchismo. Le elezioni hanno segnalato in particolare un indebolimento del nostro legame con ceti popolari e ceti produttivi confermandoci che la destra quando vince, vince nel popolo. E tuttavia di fronte a tutto questo non è mancato nelle nostre fila la capacità di mobilitazione, di reazione nel pieno di una battaglia difficile, abbiamo mostrato i punti significativi di tenuta. Il nostro progetto non è mai stato messo in discussione. Franceschini lo ha detto e sono d’accordo con lui. Abbiamo le condizioni politiche per riaffermare il progetto e per rimetterlo in cammino. Ed ecco qua il punto di partenza che mi indusse mesi fa ad annunciare la mia candidatura. Secondo me ci sono forti correzioni da fare. Chiariamo subito un punto: non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originale, i nostri problemi sono venuti dal non aver messo ancora il nostro progetto su basi culturali, politiche e organizzative abbastanza solide. Questo è il nostro problema. E questo è il problema che il Congresso deve risolvere. Un congresso quindi fondativo di questo partito. Lo dico con franchezza. Se non prenderemo in mano noi stessi, autonomamente e responsabilmente il nostro destino, se ci faremo prendere la mano da una discussione confusa e tutta mediatica, se ci attarderemo a discutere su categorie inafferrabili, su chi è democratico doc e chi no, sul nuovo e sul vecchio, sul vecchio e sul giovane, su chi deve star dentro e su chi deve stare fuori, su chi ha la cravatta o no, io credo che gli italiani giustamente volgeranno lo sguardo altrove. E noi ci ritroveremo senza solidarietà, senza contenuti e temo anche senza partito. Io cercherò un’altra strada. Io farò un congresso contro nessuno, discutendo di politica e cercando per quello che mi sarà possibile di essere chiaro e concreto, di evitare la retorica, forse ne abbiamo usata troppa in questi venti mesi alla fine  non ha scaldato i cuori, gli italiani non l’amano. In una discussione vera per me non c’è bisogno di supporters, c’è bisogno della testa e della testa di tutti. Io ci metterò la mia testa conoscendo come è fatta. Io sono il candidato di nessuno che pensa che ci sia bisogno di tutti. Io dirò l’essenziale su quel che penso dell’Italia, sui nostri compiti politici, sul partito, sapendo bene che come capita in questi casi non potrò essere breve, bisognerà avere un po’ di pazienza, e neanche riuscirò ad essere esaustivo e me ne scuso e voglio partire da una premessa per me di non poco conto. Prima di parlare di Italia e di italiani dovremmo avere un’idea un po’ più chiara sulla nostra carta di identità, sul nostro biglietto da visita. Noi abbiamo affermato fin qui e ancora sento affermare l’esigenza di un partito post identitario. Io non ci credo, non ho mai capito che cosa significasse. L’idea secondo la quale affidandoci ad abili e forse ovvi riferimenti valoriali e un po’ di eclettismo nella cultura politica se ne venissero larghezza di orizzonti, forza attrattiva. Io credo che sia un’idea infondata perché senza un’identità riconoscibile, ogni gesto anche il più provvisorio, il più tattico, parte da un interrogativo su chi sei davvero. Senza un’identità riconoscibile ti privi di  un messaggio di senso verso le generazioni nuove e senza un’identità riconoscibile ti disarmi verso un destra che sparge ideologia, cioè un senso comune, un sistema di concetti che vengono prima della proposta politica o dell’azione di governo, il berlusconismo, il leghismo, li definiremo forse post identitari, post ideologici eppure è con questi che noi abbiamo a che fare. E quindi alla fine di questo congresso dovremo aver detto qualcosa di più chiaro su di noi. Io parlo di un PD che vuole interpretare  ed estendere   l’area del centrosinistra con il profilo di un partito popolare, un partito di una sinistra democratica e liberale che abita dove abitano le forze progressite, socialiste, liberaldemocratiche del mondo, che partecipa all’alleanza fra socialisti e democratici in europa. Parlo di un partito popolare. Radicato in ogni luogo e capace di esperienza, che sia legato alla vita reale. Un partito che si rivolge ad un arco ampio di ceti, di categorie sociali ma che non può vivere scollegato dai ceti popolari, dai ceti produttivi e dalle nuove generazioni. Un partito che interpreta l’area di centrosinistra con il profilo di un partito democratico e liberale cioè un partito che si ispira ad un idea di uguaglianza e la rende concreta sia attraverso un mercato aperto e regolare che distribuisca equamente occasioni, sia attraverso politiche pubbliche e sociali universalistiche di ridistribuzione, di welfare, di promozione dei beni collettivi. Per me il PD è un partito del lavoro nella molteticiplità dei suoi aspetti e dei suoi protagonisti, rivendica la dignità e ruolo sia del lavoro subordinato, sia di quello autonomo imprenditoriale, nel concreto ne sostiene la prevalenza rispetto alle rendite ad ogni privilegio. Il PD per me è un partito laico che non per questo banalizza convinzioni e valori. Crede anzi nella forza positiva delle convinzioni filosofiche e religiose e tuttavia le distingue dalla responsabilità autonoma della politica che ha il compito di promuovere decisioni pubbliche tenendo conto della coscienza di tutti. Il PD riconosce nella sfera dei  diritti civili un fattore fondamentale di avanzamenti umani attraverso l’affidamento progressivo, alla libertà,  che prima erano ricondotte alla dimensione dell’ etica pubblica,… il pd riconosce l’esigenza di regolare i possibili usi distorsivi della tecnica, il rischio della sovranità della tecnica, in particolare per quel che riguarda la possibile manipolazione dell’uomo. Quando la politica è chiamata ad avvicinarsi ai temi cruciali della persona, della condizione umana, il PD fa riferimento a un umanesimo forte di natura cristiana e laica che vive nelle radici profonde della nostra cultura politica e che non consente che, come devo morire io lo decide il Sen. Gasparri o Quagliariello. Che non consente che lo Stato invada mondi vitali della persona e della famiglia. Il PD per me è il partito del nuovo civilismo non perché pretende di essere un autorità morale ma perché vuole promuovere un società organizzata su diritti e su doveri su quelli …. che prende forza se ispiri comportamenti al civilismo e questo a partire dalla sobrietà della politica, è il primo punto di questa riscossa civica. E infine il PD è il partito del nuovo secolo. Un partito contemporaneo, fortemente orientato alla modernità. Vuole misurarsi su nuovi problemi, promuovere in ogni campo le prospettive delle nuove generazioni, ma tutto questo secondo me diventa più agevole traendo forza e senso da antiche radici che oltrepassano largamente le vicende degli ultimi decenni: i Ds, La margherita, il PCI, la DC, il compromesso storico. Mettiamo tutto questo in un percorso più ampio, più lungo. La nostra …. deve prendere a riferimenti questioni più essenziali, radici più essenziali, radici di emancipazione, di riscatto, di autoorganizzazione, di solidarietà, di autonomia che furono la premessa vivente delle grandi organizzazioni popolari all’affacciarsi del secolo scorso. Allora si formò l’idea che prendendo le parti e il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole subordinato si potesse costruire una società migliore per tutti e davanti a questa condizione nuova del nuovo secolo questa resta la nostra profonda ispirazione la nostra carta d’identità e al tempo stesso questo resta il nostro fondamentale problema nei tempi nuovi, nei tempi che si affacciano, darsi un nuovo radicamento nei ceti popolari. Discutiamo di questi profili d’identità. All’uscita dal  congresso dovremmo avere le idee più chiare su questo per poterci rivolgere con un profilo netto all’Italia, ai problemi di cui vogliamo parlare. E se vogliamo parlare dell’Italia come ne dovremmo parlare noi dobbiamo farlo nel cuore di questa crisi. Guardate non ne usciremo come ci siamo entrati. Né per l’economia né per la politica. La gestione della destra fatta di minimizzazione ci prepara a stagnazione economica, ci prepara crisi della finanza pubblica ci prepara ad una stagione ulteriore di condoni e quindi la previsione di ulteriori aumenti della pressione fiscale. Ci prepara l’abbandono sostanziale delle situazioni sociali più deboli. Noi chiediamo anche da qui e con forza al Governo di assumere maggiore responsabilità di smetterla con piccole pillole comunicative. Chiediamo una gestione più aggressiva, una vera manovra anticrisi che metta soldi veri e nuovi dove vanno messi, nei redditi, di chi a qualsiasi titolo perde il posto di lavoro, nella liquidità delle piccole imprese e investimenti immediati che sono gli enti locali che sono in condizione di fare. Stimoli all’economia reale. Preservazione delle nostre capacità produttive impresa, lavoro, misure temporanee ma effettive, consistenti. La crisi non è psicologica e non è alle nostre spalle. Purtroppo gli effetti economici e sociali della crisi li abbiamo ancora davanti e soprattutto abbiamo davanti, ecco il punto di cui il governo non vuole occuparsi, una caduta di rango del nostro paese, che vengono azzoppati, bloccati, contraddetti i processi di innovazione e di investimenti e che ci troviamo all’uscita dalla crisi in una diversa situazione a proposito del rango della nostra economia nel quadro internazionale. In ogni caso noi dobbiamo affiancare i protagonisti della crisi. Io nei giri che farò ovunque sarà possibile cercherò ovunque di avere un incontro con i lavoratori, con gli imprenditori, ovunque nel paese sono sottoposti al processo di crisi e invito tutti a fare altrettanto. Bisogna che il nostro partito ci sia, si vede come fare ma intanto bisogna esserci nei luoghi di questa crisi. Questa crisi scatenata dalla finanza ha origine lo sappiamo in politiche economiche squilibrate  fondamentalmente fondate sull’idea che la ricchezze smisurate per ochi possa fare una locomotiva per tutti. E adesso dagli stati uniti alla cina tutti sono costretti a cercareun nuovo equilibrio, a cercare uno sviluppo più equilibrato del loro mercato interno, a sviluppare una pensione più marcata sui beni collettivi e a tornar a fatti fondamentali della produzione e del lavoro. Allora se è così i principi di equilibri sociali e di eguaglianza possono pretendere oggi più di ieri di essere portatori di una razionalità economica. Si può affermare l’idea che nessun cittadino, nessun ceto sociale, nessun paese può star bene da solo se anche gli altri non trovano la strada per stare un po’ meglio. È una prospettiva mi rendo conto controversa aperti ovunque ad altri sbocchi di tipo protezionistico difensivo ma pur tuttavia un terreno nuovo. Un banco di prova anche qui in Italia e cioè come in una crisi, che non sarà breve, come suscitare un progetto, uno sbocco possibile, …. (non si sentono alcune parole)

Questo è un rischio che c’è e che può portare sbocchi politici che oggi non possiamo prevedere. Ora noi dobbiamo uscire da questo congresso con un idea positiva del nostro paese. Un idea che abbia concretezza. Non tocca a un congresso fare un programma di governo ma l’ispirazione essenziale di un programma sì. Questo dobbiamo definirlo in questo congresso. E io comincio da qui. Tutto quello che si può fare per l’Italia viene disperso se non si aggrediscono le due questioni che ci caratterizzano fra i paesi maturi e che imprigionano le nostre energie. Le due questioni sono: la più cattiva la redistribuzione della ricchezza; secondo: la minore mobilità sociale. La ricchezza mal distribuita fra ceti e fra territori si accompagna da tempo a un netto impoverimento che dura da anni dei ceti medi, dei ceti medio bassi e bassi. Fenomeni che sono ovunque nei paesi maturi ma qui più accentuata  e su questi ceti indeboliti, su queste famiglie indebolite vi scaricano tutte le novità, la precarietà, il disordine di un immigrazione che prende sul più basso stile di reddito…..

Se non si coglie tutto questo, che sta sotto a quello che sta avvenendo nel paese, io credo che non si coglie la sostanza e non si capisce neanche che cosa sia e che cosa debba fare il partito popolare. E allo stesso tempo i riflessi difensivi aggravano i tradizionali assetti corporativi, reazionari, clientelari ai quali siamo da tanto tempo abituati nel nostro sistema. blocchi che imprigionano energie economiche e che imprigionano le energie delle nuove generazioni , sono blocchi che si stringono ancora di più. Ecco su questi due punti fondamentali ci vogliono riforme vere che noi dobbiamo avanzare con proposte che si facciano capire. Sui redditi: se noi vogliamo aprire, come vogliamo, l’ho detto prima dei principi che ci caratterizzano, aprire nel futuro una nuova fase universalistica nei sistemi di welfare, dove in via di principio non c’è né povero né ricco, allora innanzitutto dobbiamo qualificare e rendere sostenibile l’universalismo che c’è già. Ad esempio qualificare e rendere sostenibile il sistema sanitario. Solo noi abbiamo la cultura di governo per fare questa operazione gli altri non ce l’hanno. E intanto che difendiamo l’universalismo che c’è e lo qualifichiamo dobbiamo introdurre nuovi universalismi. Portare universalismo dove non c’è ancora. Il primo punto riguarda il dualismo del mercato del lavoro che va assolutamente superato. Aprendo in particolare dei processi univoci ben definiti di inserimento nel lavoro e di stabilità del lavoro. Voglio ricordare a me stesso e a voi che i giovani che a qualsiasi titolo fanno la prima esperienza di lavoro sono quelli che più si allontanano da noi, questo ci risulta anche dalle ultime elezioni. E ora di dire a loro qualcosa che si capisca. Le proposte per il superamento di questo dualismo ce ne son diverse sul tavolo bisogna discutere, stringere e promuovere. Bisogna occuparsi dei redditi di ultima istanza e bloccare processi di impoverimento estremo delle famiglie. 

Bisogna occuparsi di salario minimo anche per via contrattuale; bisogna sollecitare davvero una contrattazione che distribuisca un po’ meglio i guadagni di produttività, bisogna favorire l’innalzamento flessibile volontario dell’età pensionistica ma al contempo aprire una riflessione più di fondo perché quando il 54% delle nuove pensioni INPS 2007 è sotto i 750 euro e la tendenza è a peggiorare vuol dire che nella prospettiva noi stiamo mandando un sacco di gente sotto la soglia della povertà. Questo non è accettabile e dobbiamo pensarci da subito. E chiederci se davvero le gambe del sistema previdenziale che abbiamo fin qui introdotte non vadano arricchite, rafforzate, ristrutturate aggiungendo anche uno zoccolo universalistico fondato sulla fiscalità generale a fronte di un calo generalizzato dei contributi. Così come non possiamo lasciare senza novità temi cruciali come quelli della non   autosufficienza delle famiglie numerose. Ecco queste riforme possono reggersi di una parte sostanziale su riequilibri di ricchezze interna delle risorse pubbliche e private già impegnate ma certamente non può essere rimosso in un paese come il nostro il tema della fedeltà fiscale. La più equa distribuzione del carico fiscale più una riformulazione della fiscalità d’impresa in modo più favorevole …. e soprattutto a meccanismi ( non si sente più). E sul tema della mobilità sociale è bene premettere un concetto:  liberalizzazione è dare regola al mercato evitando il dominio dell’uno sull’altro. Il liberismo è il mercato che si dà le regole da sé e anzi pretende anche di darle alla società, .. dobbiamo attaccare con nettezza assetti corporativi e relazionali per l’accesso alle attività economiche, alle professioni e al .. dobbiamo farlo senza paura pretendo il punto di vista della nuova generazione e mettendolo dentro come un motore della nostra politica. Così dobbiamo cambiare ottica. Non possiamo parlare di casa solo a proposito di proprietà della casa.

Dobbiamo occuparci di affitto, altrimenti nel paese non può esserci un elemento di mobilità. E dobbiamo occuparci di più  dell’occupazione delle donne, ampiamente discriminate, qualificare e aggiornare i percorsi di studio. Io propongo sempre di collegare il tema della mobilità sociale al tema della cittadinanza, della riscossa civica, di un nuovo civismo nel nostro paese, responsabilità, merito, diritti e doveri, dei cittadini in particolare del più debole, dell’escluso. Qui ci sono tantissimi temi. Noi non possiamo non occuparci senza incertezza del tema della sicurezza, non nella prospettiva sicuritaria, repressiva della destra, ma da forma rigorosa del diritto del cittadino alla sicurezza. A cominciare dal cittadino più debole. Dobbiamo assumere la questione dei diritti civili. Essere in prima linea nella tutela del consumatore e portare questo famoso merito dal cielo alla terra, che vuol dire accettare meccanismi di valutazione esterna in ogni campo se non parliamo di merito assolutamente astratto. E dobbiamo anche essere in prima linea nel pretendere l’efficacia delle sanzioni a cominciare dalla giustizia civile. E cittadinanza vuol dire tante altre cose: promuovere la cittadinanza digitale per esempio con i nostri enti locali una battaglia di frontiera bellissima. E poi io vorrei mettere qui sotto questo grande titolo….. la condizione e la fatica della condizione femminile oggi insultata da devastanti stereotipi, dobbiamo pretendere rispetto per questa condizione. E dobbiamo mettere sotto questo titolo temi delicati come quello dell’immigrazione. Noi siamo perché l’immigrato regolare acquisisca i diritti e i doveri della  cittadinanza e accompagnamo quel processo secondo principi di solidarietà, di umanità che deve prevalere comunque sopra ogni altra cosa, ma non dimentichiamo mai che c’è disordine, approssimazione nella regolazione dei flussi migratori, quel disordine si scarica sulla parte più debole della popolazione. Se ce ne dimentichiamo non potremmo lamentarci del difondersi di idee eversive. C’è un impatto da distribuire meglio, più equamente, fra chi può avere a torto o a ragione paura, a cominciare sulla pressione sui servizi pubblici e infine e non per ultimo, io metto sotto questo tema della riscossa civica il tema della sobrietà della politica a cominciare dalla muraglie cinesi fra interesse pubblico e interesse privato e a cominciare dai costi della politica. Qui non c’è bisogno di qualunquismo o populismo o antipolitica, c’è bisogno di procedere a parametrarci con i paesi europei, una misura molto semplice, non qualunquista che credo potrebbe avere una buona efficacia.

Cari amici e compagni dobbiamo essere un partito che dice le stesse cose al Nord e al Sud. È diventato molto difficile. Come direbbe Vasco Solo noi possiamo farlo. Il Nord, oltre che a un luogo geografico è una metafora. Non c’è possibilità alcuna di rafforzare il nostro radicamento al Nord senza correggere verso i ceti popolari, i ceti produttivi …. l’impresa l’asse della politica. Non c’è nessuna possibilità fuori da questo. E questo tuttavia deve svolgersi in una reciprocità con la questione meridionale. Per esperienza posso dire che se fai delle riforme che si rivolgono alle esigenze di modernizzazione del paese rispondi al nervosismo, all’insofferenza del Nord, e rispondi in modo positivo ma metti in moto le dinamiche nelle aree meno sviluppate del Paese. La sono le energie potenziali. Allora se faccio liberalizzazioni funzionano più al Sud che al Nord. Se io supero l’intermediazione per esempio sull’incentivazione pubbliche, della pubblica amministrazione piaccio al Nord ma faccio un enorme piacere al Sud. Se mi occupo di sicurezza, di giustizia. Allora una stagione di riforma, di modernizzazione che parli a Nord e al Sud del Paese. È possibile. Si può fare. E naturalmente costruendo questa reciprocità non può essere oscurata la parola Mezzogiorno che oggi viene devastata, rimossa, malinterpretata ecc. dobbiamo usare questa parola con proposte nuove che siano impugnate da una nuova generazione. Gli investimenti al Sud vanno garantiti. Si possono fare con meccanismi automatici non intermediari per sostenere gli investimenti d’imprese, meccanismi premiali, che premiano chi raggiunge certi standard di servizi. Sto parlando di rifiuti, di acqua, di istruzione, di anziani. Piani nazionali su temi collettivi, energia, acqua, ambiente. Questa ricerca di reciprocità, in un partito che vuole essere un partito Nazionale ma federale la si gioca sul federalismo, io non vado nel concreto, è un tema complesso, non ne voglio parlare qui, qui sto alla politica. Io dico che essendo un partito nazionale noi dobbiamo però… una forte ripresa sul piano politico e culturale della grande tradizione autonomistica che sta nelle nostre radici e di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Di un autonomismo che è il nostro non è il loro e non dobbiamo accettare lezioni dal loro, perché alla fine gli asili nido li abbiamo inventati noi, è bene ricordarcelo. Noi però non possiamo essere un partito dell’autonomia dei territori, se ci limitiamo a fare proposte normative, dobbiamo fare proposte normative ma dobbiamo approfondire e rilanciare la nostra cultura autonomistica nel merito, nei contenuti e  dobbiamo darci un organizzazione di partito coerente con questo. Ci vogliono tutte e tre queste cose.

Credo alle amministrazioni come leva fondamentale di selezione delle classi dirigenti e perché non manchi un saluto a tutti i nostri amministratori che sono sul fronte, voglio rivolgermi ai nostri amministratori aquilani che non lasceremo soli, un impegno terribilmente difficile con un governo che ha sbagliato dal primo giorno il rapporto con loro. Altro che G8. io spero di avere possibilità di sviluppare anche in altre sedi qualche altro target di politica riformista con un paio di punti che non voglio banalizzare qui in tre righe. Sui quali vorrò organizzare due appuntamenti specifici il primo riguarda il salto di rango di tutta la filiera della conoscenza, non vado nel dettaglio, faremo un’iniziativa politica, il secondo punto che non voglio banalizzare è il grande tema della politiche industriali del loro collegamento con la conoscenza e nel loro collegamento col grande tema ambientale. Che la nuova grande frontiera di innovazione industriale, di qualificazione dei consumi e di miglioramento della qualità della vita.

Sulla piccola impresa però, parlando di innovazione, di politiche industriali, voglio dire solo un paio di cose: noi dobbiamo veramente fare qualcosa di visibile, di concreto su un paio di punti: 1) alleggerire le imprese dal peso della rendita finanziaria immobiliare, l’altro è cercare  nuovi sistemi di relazioni e una partecipazione più attiva del lavoratore alla vita dell’impresa e bisogna anche, lasciatemelo dire così, bisogna che noi superiamo una barriera mentale che c’è fra noi e la piccola impresa. Bisogna che ci diciamo e diciamo molto semplicemente che un imprenditore privato, cooperativo, artigiano, commerciante che sta nelle regole fa pienamente parte del nostro progetto, è il protagonista del nostro progetto. Mi ha colpito, perché sono figlio di artigiani anche io, la vicenda di quel artigiano di Treviso, che angosciato dalla crisi, per la preoccupazione di dover licenziare delle persone con cui aveva lavorato per  decenni, si è ucciso, si è tolto la vita, io voglio inchinarmi a lui come a tutti i morti sul lavoro.

Vorrei infine che fosse convocata dal nostro partito una grande conferenza sulla riforma della pubblica amministrazione, un tema su cui noi dobbiamo superare tarli sulla nostra cultura di governo. Noi abbiamo bisogno del buon nome della pubblica amministrazione per le nostre politiche che richiedono spesso l’intermediazione della pubblica amministrazione, urbanistica, gli altri per le loro politiche hanno invece l’interesse al cattivo nome della pubblica amministrazione per le loro politiche deregolative e quindi loro non ci risolveranno il problema infatti ogni loro riforma cosiddetta non va oltre un richiamo all’ordine. E c’è sempre un insulto che noi rifiutiamo. Riformare non è questo ma dobbiamo saperlo anche noi cosa vuole dire riformare la pubblica amministrazione, vuol dire fare quello che si fa normalmente con le politiche industriali e cioè avere meccanismi permanenti per adeguare le missioni in ogni area dell’aministrazione, avere strumenti che rendono praticabili le conversioni organizzative, per adeguare via via  la pubblica amministrazione al mondo che cambia e tocca noi tutto questo gli altri non lo faranno e scaricheranno sempre su di noi l’efficienza o il cattivo nome della pubblica amministrazione. Naturalmente avanzare una piattaforma, la parola non funziona, apriamo un concorso . dire qualche cosa per l’Italia significa aprire il dialogo con le organizzazioni sociali. Io credo profondamente ai rapporti con i corpi intermedi e sono quasi un cultore della sussidiarietà e sento di dover dire anche qui che ilmondo del laovor in un passaggio così difficile hanno bisogno che il sindacato ritrovi la strada della convergenza. Ma so anche qual è la responsabilità nostra, di un partito politico, una responsabilità che non abbiamo sempre esercitato in questi venti mesi, tocca alla politica … csa è un idea di società. L’organizzazione sociali, i blocchi intermedi vogliono fare il loro mestiere e gradiscono che tu faccia il tuo, discutendo con loro certo, ma sapendo anche dove possono trovare, in modo che ciascuno possa praticare la propria autonomia. Diamoci il progetto, diamoci un idea di società, ci risulterà più facile allargare il confronto con tutte le forze sociali. E proprio qui parlando di riforme, di contenuti, di innovazione vorrei mettere l’unica considerazione personale in questo discorso. Io vedo bene che da molti lati si cerca di mettere una patina di grigio sulla mia candidatura, io voglio dire semplicemente questo che da quando comincia, dove dire molto giovane girando per i paesi di montagna a far politica …. tantissime responsabilità. Credo però di poter dire che  mi sono sempre preso la briga di voler cambiare qualcosa . non ho mai lasciato le cose come le ho trovate. Si può controllare e non le ho mai lasciate come le ho trovate per due semplici motivi uno addirittura banalissimo, ho sempre pensato che la terra gira tutti i giorni, tutti i giorni devi cambiare qualcosa e il secondo motivo è questo mondo qua, questa società così com’è non mi piace del tutto. E quindi questa famosa innovazione vorrei capire ne parliamo a chiacchiere, allora io non vorrei partecipare, se ne parliamo a fatti io credo di avere qualcosa da dire.

Arriviamo ai nostri compiti politici. Io immagino le prospettive dell’italia nello sviluppo di una politica estera di pace, di cooperazione, di corresponsabilità multilaterali, di rafforzamento, di riforma delle istituzioni internazionali, di una vera operazione europea, di una forte soggettività dell’Europa, nella regolazione degli istituzioni dell’era della globalizzazione, di un suo protagonismo nella politica internazionale a cominciare dalle aree che sono a noi più vicine, balcani, medio Oriente, iran insanguinato preda di un nazionalismo aggressivo, una politica estera secondo l’asse fondamentale di quella che è stata la politica estera di centrosinistra che è riuscita a ridare ruolo, funzione, dignità alla nostra presenza nel mondo. Una funzione e dignità che oggi sono dispersi in una politica estera da rotocalco e io su questo, siccome so che sono in sala, dei rappresentanti del PD degli italiani all’estero, mandiamo un applauso a questi nostri che quel che devono sentirsi tutti i giorni in Europa.

Il ciclo politico mondiale è segnato ancora  dall’evoluzione della crisi, dalla nuove dinamiche della globalizzazione, in tutti questi anni la destra si è mostrata spesso capace di cogliere i frutti di queste dinamiche, di cogliere i frutti politici sia dal lato della deregolazione, del liberismo, sia  dal lato delle paure che la deregolazione suscitava, quindi la destra è riuscita a fare un po’ tutte le parti in commedia. Adesso in molte parti del mondo a cominciare dagli Stati Uniti le forze progressiste si mostrano capaci di indicare una prospettiva nuova in Europa le forze progressiste e di sinistra nella tradizione socialdemocratica appaiono diciamolo pure fermi sulle carte, sono da tempo colpiti dalla crisi del compromesso sociale , che è stato il luogo politico per eccellenza della costruzione, formazione di queste socialdemocrazie, un compromesso sociale che è risultato affaticato dei suoi limiti interni. Ha faticato da orizzonti esclusivamente nazionali, questo è stato un limiti enorme e scosso anche dall’afflusso della globalizzazione che ci ha portati in caso degli effetti… sui salari, sui diritti, sulla fiscalità e queste forze non sono apparse in grado di indicare una prospettiva per l’Europa. A volte dimostrando staticità e a volte anche un qualche smarrimento dell’autonomia politica e culturale. D’altra parte la destra anche nelle recenti elezioni europee ha maturato consensi ma in modo spesso frammentato, imprigionato in formule repressive, a me pare che da tutto questo in sostanza derivi una perdita di orizzonte delle politiche europee come tratto fondamentale in questa fase, è un’assenza di direzione di marcia. Come dicevo però c’è un aggiustamento incombente degli equilibri economici sociali fondamentali nelle diverse aree del mondo e questo lascia aperta la strada, durante e dopo la crisi, a sbocchi politici di diverso segno. Io lo ripeto non c’è dubbio che l’affacciarsi di nuove livelli di regolazione e di un ruolo della politica nel determinare compatibilità sociali e ambientali della crescita questo affacciarsi offre il terreno per una fase nuova di elaborazione, di iniziativa delle forze democratiche di sinistra europee. Una possibile riscossa alla quale i democratici italiani devono contribuire a partire dalla nostra situazione nazionale. Nella dimensione italiana la fase che si è aperta negli anni ’80 cosa ha determinato? Ha determinato una riorganizzazione della politica, prima segnato da condizionamento, ormai estenuati dalla logica dei blocchi, dal vuoto lasciato dal muro, e lì dall’impronta di antipolitica con cui quel vuoto si è andato via via chiudendo. Noi abbiamo avuto una fase di consolidamento bipolare che bisogna riaffermare ma che ritengo stabilizzate nella sua essenzialità e tuttavia irrisolta nella sua forma. Noi abbiamo vissuto un periodo nel quale Berlusconi ha riorganizzato e reso utilizzabile per il governo del paese tutto il campo del centro-destra. Questa è stata la grande novità. Una fase nella quale il centrosinistra contese il governo del paese non senza grandi risultati a cominciare dall’Euro ma senza trovare ancora una vera organizzazione nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Romano Prodi che voglio salutare da qui. Nonostante la grande intuizione dell’Ulivo e nonostante la nascita del PD. Nessuno tra l’altro è riuscito a sfondare elettoralmente nel campo altrui, incursioni sì sfondamenti no. Nel nostro paese esistono le potenzialità del ricambio ma c’è ancora la presa di una leadership conservatrice con dei tratti fortemente ideologici. Questa leadership mostra con evidenza di mettere il consenso davanti alle regole. Di utilizzare il governo per accumulare consenso piuttosto che utilizzare il consenso per conseguire risultai veri di governo misurabili, utili alla riscossa del paese. E quindi si rendono via via più evidenti sia i rischi di deformazione della nostra democrazia in senso populista, sia di contraddizioni che le leadership conservatrici apre però nei suoi rapporti col paese, non possiamo sottovalutare che le ultime elezioni hanno comunque segnato una battuta d’arresto della spinta propulsiva di berlusconi. Quindi bisogna determinare con maggiore chiarezza di quanto non sia avvenuto fin qui il compito politico del PD. Per me questo compito si presenta con 3 aspetti intimamente connessi. Profilare meglio la nostra identità, il nostro progetto, tenere aperto il cantiere del partito, contribuire con efficacia dell’organizzazione del campo del centrosinistra. Sono convinto che un profilo più leggibile nostro, un’idea più chiara di partito, potranno aiutarci nei mesi successivi al congresso e sulla  base di vincoli programmatici abbiamo già dato a questo proposito, lo sappiamo, La possibilità di riaprire un percorso di convergenza con formazione ambientaliste di sinistra e civiche che non hanno fino ad oggi partecipato alla costruzione del PD. L’originale ispirazione dell’Ulivo non può essere rimossa di vivere solo in una chiave evocativa perché non è infatti esaurita la questione sostanziale dell’incontro fra le cultura, le esperienze politiche delle forze progressiste ancora oggi divise.  E tuttavia questo non può essere un compito esaustivo. Si deve accompagnare all’esigenza di riconoscere l’autonomia e la responsabilità di altre forze del centrosinistra e delle opposizioni e di tracciare i primi passi politici per una riorganizzazione del campo dell’alternativa, da soli non si può fare nulla. La vocazione maggioritaria del Pd non può lasciare ……. va interpretato  invece come capacità di tentare un progetto aggregante di governo del paese e come responsabilità primaria nella costruzione di alleanze per una prospettiva politica di alternativa. Io credo che il quadro di alleanze non sarà predefinito dal nostro congresso, deriverà da un percorso politico e programmatico. E il primo grande ambito nel quale delimitare proposte nel confronto è quello della democrazia, istituzioni, regole, meccanismi elettorali. La curvatura populista quando non plebiscitaria con cui Berlusconi sta caratterizzando la destra italiana dov’è che prende consistenza? Prende consistenza oltre che nei meccanismi impari di comunicazione, in una ibridazione di fatto fra modello presidenziale e modello parlamentare, una sorta di continuum fra Governo e Parlamento che la legge elettorale attuale ha reso agevole. Qui c’è una pericolosa deriva che va interrotta. Sia con una moderna legislazione antitrust nel campo della comunicazione sia con una coerente riforma istituzionale e elettorale. Ora, per un paese a democrazia matura la scelta non può che essere fra struttura parlamentare o struttura presidenziale, ciascuno col suo contrappeso. Tenendo conto delle caratteristiche nostre, del sistema  politico italiano, della nostra tradizione noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato e razionalizzato. E questo comporta, secondo proposte già avanzate in sede parlamentare, un irrobustimento dei poteri dell’esecutivo e del Premier, un irrobustimento delle forme di controllo del parlamento anche rivisitando i regolamenti. E la legge elettorale dovrà essere coerente con la forma di governo, dovrà evitare quindi ogni ritorno al proporzionalismo puro e perseguire un buon equilibrio fra rappresentanza, stabilità, governabilità muovendosi nell’ambito di un bipolarismo nel quale l’elettore pretende di avere visibilità del quadro di alleanze e della loro stabilità. Questo equilibrio si può ottenere attraverso sistemi di varia natura. Ma il problema è questo, la misura di questo equilibrio. Dovrà essere ricercato dialogando con tutte le forze politiche e parlamentari interessato a opporsi ai rischi di deformazione della democrazia insito nel modello della destra. E quello che è essenziale per noi è la valorizzazione massima del rapporto fra eletto ed elettore, un rapporto che è devastato dall’attuale legge elettorale e che può essere ristabilito affermando in particolare attraverso i collegi territoriali e quindi siamo interessati a ricercare per le vie parlamentari un percorso di riforma delle istituzioni, della legge elettorale, del regolamenti e contribuiremo a questo percorso promuovendo un confronto con le forze di opposizione dentro e fuori il parlamento. E a questo grande ambito della democrazia noi dobbiamo affiancare anche la ricerca di una convergenza politica e programmatica sui temi economici e sociali. Perché l’esigenza di proporre soluzioni sulle  concrete condizioni di vita dei cittadini è percepita ampiamente oggi e quindi il PD promuove la centralità di questo impegno e chiede a tutte le forze di opposizione un confronto di iniziative comune a partire dalle questioni cruciali della crisi. Qui c’è un punto importante,credo che il PD deve esprimere la cifra della sua opposizione alla destra saldando la questione democratica alle  questioni economiche e sociali. Perché privilegiando nella battaglia di opposizione un solo aspetto della crisi italiana si rischia di assumere un ruolo minoritario o spesso di denuncia impotente. L’opposizione che serve è quella che caratterizzandosi con nettezza e senza ambiguità lascia intravedere la costruzione progressiva di una nuova prospettiva di governo. Sia dal lato dei contenuti sia dal lato dell’alternativa e già le prossime elezioni regionali si dovranno sperimentare su basi programmatiche, larghi schieramenti di centro-sinistra alternative, alleanze democratiche di progresso, alternative alla destra.

Le cose che ho detto fin qui sono la linea non sono naturalmente la bibbia. Io intendo mettere le cose che ho detto e altre in un circuito che consente di raccogliere lungo tutto il percorso congressuale, i contributi, di affinamenti, arricchimenti. Sia nei circuito del partito, sia nella rete perché su un asse coerente si devono arricchire questi contenuti, si devono aggiornare. Credo che abbiamo il tempo in questa lunga vicenda, anche un po’ faragginosa, di arrivare ad una partecipazione attiva di tantissima gente. Così come faremo anche sulla parte del partito. La questione che ci si è posta nei mesi scorsi secondo me non è se essere un partito vecchio o un partito nuovo ma se essere o no un partito. Se essere o no un associazione volontaria che avendo una ragione sociale si da un organizzazione, un radicamento dei luoghi di discussione di politica effettiva, di partecipazione efficace degli aderenti nonché una disciplina liberamente accettata e condivisa. Tutto questo non può essere risolto semplicemente ovviandolo con meccanismi di leadership mediatica o comunicativa né con meccanismi che garantiscono il semplice assorbimento della società così come essa si presenta. Il mancato chiarimento di questi punti fondamentali ha fortemente indebolito il nostro progetto, disperdendo energie, incentivando frammentazioni, provocando delusioni, sia fra chi immaginava delle forme di condivisione di militanza più tradizionale sia da chi si attendeva una forte innovazione che comunque garantisce una partecipazione politica. E quindi io dico che è urgente correggere la costituzione formale, materiale del PD, innanzitutto prendendo sul serio il nome che ci siamo dati. Io propongo concretamente e precisamente queste essenziali direzioni di cambiamento. Il PD è un partito di iscritti e di elettori, la sovranità appartiene agli iscritti che sulla base di regole la delegano in determinate occasioni agli elettori, quindi agli iscritti sono riconosciuti una serie di diritti fondamentali anche con strumenti incisivi come i referendum degli iscritti e il radicamento organizzativo sul territorio è la condizione effettiva di una apertura efficace agli elettori non è in contraddizione. Si sono dette sciocchezze a questo proposito io ribadisco il valore democratico delle primarie tra gli elettori per le scelte dei candidati alle cariche monocratiche, sindaci, presidenti di province e regioni e presidente del consiglio e aggiungo che le primarie non possono essere semplicemente una procedura elettorale ma è un occasione per costruire forme anche parziali di partecipazione, di coinvolgimento, di relazione organizzata fra partito e elettore aggiungo anche che le primarie dovranno svolgersi nell’ambito  delle coalizioni di cui il PD fa parte perché la scelta delle candidature rappresentative del PD nelle primarie deve essere determinato con metodo democratico dagli iscritti e dagli organismi del PD. Il PD è un partito nazionale organizzato su base federale. Adesso qui però bisogna che ci capiamo che cosa vuol dire. Ha radici nel territorio, seleziona il territorio le sue classi dirigenti ecco attribuisce e garantisce a scala territoriale le fondamentali risorse. Il finanziamento derivato  da rimborsi elettorali per le regionali, risorse del tesseramento, delle feste, contributi ad amministratori dovranno essere destinate ai circoli e alle organizzazione regionali e provinciali.  E una parte del finanziamento elettorale nazionale e europeo dovrà essere destinato a progetti di radicamento del partito nella società laddove siamo più deboli. Aggiungo anche che la rappresentanza politica dovrà tenere conto secondo me della dimensione territoriale. Quindi nel rispetto del pluralismo congressuale ogni organo dirigente da quello provinciale a quello nazionale per la metà per me deve essere formato designati dai livelli sottostanti e gli organismi dirigenti dovranno avere una dimensione numerica tale da consentire un effettiva discussione politica e delle deliberazioni consapevoli, perché quando si è in troppi nessuno decide nulla e poi si decide in tre fuori dalla porta. Dobbiamo fissare, noi, che qualunque sia il sistema elettorale del parlamento nazionale la grande maggioranza delle candidate e dei candidati dovrà essere determinato dai livelli territoriali con metodo democratico. Se facciamo così allora io ci credo davvero, che lo scorrimento fra esperienze territoriali e nazionali sarà il meccanismo   fisiologico con cui procedere alla selezione delle classi dirigenti e al loro rinnovamento anche generazionale, se no non ci si riesce. Il PD per definizione è pluralista, il pluralismo deriva dai confronti congressuali, il partito persegue la parità di genere, aggiungo, il pluralismo si esercita in forme tali da garantire l’espressione univoca delle posizioni del partito. E ciò significa, fatti salvi, la più ampia libertà di espressione la più ampia partecipazione ai dibattiti interni al partito , l’accettazione del principio di maggioranza e del vincolo alla posizione comune nelle sedi istituzionali. Le eccezioni a questo principio, perché sicuramente ci sono delle eccezioni, devono essere espressamente previste  da un organismo di garanzia di ramo statutario. Io poi credo che il partito sia anche un associazione culturale che promuove cultura politica che si alimenta nella ricerca e nel dibattito critico. Quindi il partito deve produrre una lettura critica della società, vivere un rapporto attivo che le forze intellettuali non possiamo spendere tutti i soldi che abbiamo in comunicazione bisogna che li spendiamo un po’ anche in analisi, in ricerca, in aggiornamento culturale. Abbiamo risorse enormi in giro, organizzate in associazioni, fondazioni con cui abbiamo un rapporto, vastissimi mondi possiamo mettere in movimento. E poi io dico anche che il partito è una comunità di persone che deve produrre una socializzazione e quindi le iniziativa a dimensione popolare, le feste sono una parte costitutiva dell’attività di partito. E non vedo per quale deviazione mentale la promozione dell’uso di tecnologia di nuovi strumenti dovrebbe contraddire questo assunto. Il PD si deve dare forme organizzate, flessibili, temporanei, permanente , associative, per garantire rapporti con le organizzazioni sociali del lavoro, delle imprese, dei consumatori, del volontariato il partito deve organizzare una rete comunicativa dal basso verso l’alto. Ogni sede deve essere un nodo della grande rete online   del partito. Il partito deve avere massima cura ad ogni livello della sua autonomia politica. Ad ogni livello si devono determinare le condizioni di questa autonomia che a volte sono condizioni di tipo anche materiale e organizzative. Ad ogni livello il ruolo di direzione del partito, di leadership istituzionali devono essere tenuti distinti e non deve in premessa esistere automatismo fra ruoli di direzione del partito e candidature a compiti istituzionali. Sulla base di queste essenziali indicazioni, però credo abbastanza precise, altre ne potrei introdurre, io dico che si deve procedere con immediatezza alle modifiche dello statuto, alla revisione degli assetti organizzativi, dell’attribuzione delle risorse finanziarie. Quando mi capitò, 20 mesi fa, di definire il partito liquido il rischio che avevamo davanti mi  si volle descrivere come un partitista vecchio stile pronto a fare la riedizione del primato del partito, era esattamente il contrario, forse ora lo si può capire meglio, un partito non è mai un fine è un mezzo, è uno strumento per promuovere cambiamenti utili alla vita collettiva e come avviene per ogni associazione, la nostra ragione sociale è fuori di noi, è il paese, e se vogliamo essere utili al paese dobbiamo essere un partito che funziona che crea solidarietà e appartenenza e che traduce la partecipazione in iniziativa esterna senza farla girare su se stessa. Questo è molto semplicemente quello che penso e quello su cui voglio confrontarmi.

Ho cercato di metterci poca retorica e un po’ di chiarezza, spero di esserci riuscito. Dicevo all’inizio che in questo momento serve la testa, concludendo voglio dirvi però che ci vuole anche il cuore ma il cuore non deve battere tanto per il leader o per il partito, mentre guardiamo avanti ricordiamoci per un attimo non solo delle responsabilità enormi che abbiamo davanti nel futuro ma anche di quelle che abbiamo rispetto al passato. 150 anni nei quali  tanta gente pronunciando le nostre stesse parole le ha pagate ad un prezzo ben più alto del nostro. Io dico che se andassimo nel futuro  senza sentire questo legame saremmo come astronauti persi nello spazio. Il cuore deve battere soprattutto per l’antica e modernissima idea che questo mondo e questo paese possono essere    davvero, concretamente, un po’ più umani e un po’ più giusti. Io dico chi ci crede è giovane ed è vecchio chi non ci crede più.      

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