ANCORA UN EPISODIO DI PESSIMA INFORMAZIONE SUL MERCATO DEL LAVORO

L’INSPIEGABILE COMPORTAMENTO DEL QUOTIDIANO LA STAMPA, CHE PUBBLICA UN ARTICOLO VISTOSAMENTE POCO ACCURATO, SOTTO UN TITOLO GRAVEMENTE FUORVIANTE, E POI RIFIUTA, SENZA ALCUNA MOTIVAZIONE, DI PUBBLICARE UN INTERVENTO DI DISSENSO E RETTIFICA

Domenica scorsa – 11 dicembre 2016 – ho scritto una lettera al Direttore del quotidiano la Stampa, il giorno stesso in cui è uscito il paginone riprodotto qui sotto, contenente un articolo di Giacomo Galeazzi intitolato Effetto Jobs Act, crescono i licenziamenti disciplinari.

Stampa 11XII16

La Stampa, 11 dicembre 2016, pagine 12 e 13

Ho poi ripetutamente cercato di parlare con il Direttore stesso o un Vicedirettore, o un Caporedattore di turno, per tutta la settimana successiva, senza mai riuscire a superare il filtro della Segreteria e senza che alcuno di essi mi richiamasse, se non altro per comunicarmi il rifiuto del mio intervento. Poiché  a tutt’oggi, 17 dicembre 2016, la mia lettera non è stato pubblicata, né in tutto né in parte, non mi resta che pubblicarla su questo sito. Con lo stupore per il comportamento, a me incomprensibile, della Direzione di un quotidiano che considero al vertice dell’eccellenza nel panorama della stampa italiana, e che oltretutto – pur senza esservi in alcun modo tenuto – ha sempre mostrato attenzione nei confronti delle mie idee, pubblicando negli ultimi anni diversi miei interventi e interviste. Un caso precedente di informazione giornalistica gravemente scorretta sulle dinamiche del lavoro dopo la riforma è quello del quotidiano Libero dell’11 maggio di quest’anno, il quale però pubblicò immediatamente, il giorno dopo, il mio intervento di rettifica, sia pure con una replica del Direttore, e per giunta il 4 novembre successivo pubblicò sullo stesso tema una mia ampia intervista sotto il titolo 1,2 milioni di assunzioni in più in due anni, due terzi stabili.  Sul tema delle dinamiche del mercato del lavoro dopo la riforma v. anche l’editoriale di mio fratello Andrea, pubblicato sul Corriere della Sera del 5 dicembre scorso, Che cosa dicono veramente i dati Inps sugli effetti del Jobs Act..
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LA MIA LETTERA NON PUBBLICATA DA LA STAMPA

Caro Direttore, abituato a considerare il quotidiano da lei diretto come un giornale esemplare per accuratezza dell’informazione, mi permetto di segnalare un difetto di accuratezza che rilevo nel servizio pubblicato dalla Stampa oggi a pagina 12, in materia di lavoro, e contribuire a correggerlo. Sotto il titolo Effetto Jobs Act, crescono i licenziamenti disciplinari, compare un articolo nel quale si dà conto di un dato fornito dall’Inps, che con gli effetti della riforma del lavoro del 2015 ha pochissimo a che vedere. Il dato è questo: nei primi otto mesi del 2016 i licenziamenti disciplinari sono aumentati del 28 per cento (per la precisione: di 10.2078 unità) rispetto allo stesso periodo del 2015; l’Inps però non dice quanta parte di questi licenziamenti riguardi rapporti di lavoro costituiti dopo il 7 marzo 2015, cioè rapporti ai quali si applichi la nuova disciplina dei licenziamenti. D’altra parte, è presumibile che la grande maggior parte dei licenziamenti in questione riguardi, invece, rapporti costituiti prima di quella data, i quali costituiscono ancora la gran maggior parte dei rapporti stabili esistenti in Italia. Lo confermano i due casi di licenziamento disciplinare citati nell’articolo, che riguardano rispettivamente un rapporto costituito 35 anni fa e uno costituito 28 anni fa! E lo conferma la stessa affermazione di un esperto citata a conclusione dell’articolo, secondo la quale questo aumento dei licenziamenti disciplinari “non [è] direttamente imputabile al Jobs Act”! Non lo è direttamente né indirettamente, proporrei di aggiungere. Così stando le cose, come si giustifica il titolo dell’articolo (Effetto Jobs Act …), cioè la parte della pagina che viene letta maggiormente dai lettori e comunque quella che più li colpisce?

Per altro verso, se si vuole dar conto di che cosa è accaduto sul piano delle cessazioni di rapporti di lavoro da quando la riforma ha incominciato a muovere i primi passi, perché riportare un dato riguardante i soli ultimi otto mesi e non quello relativo all’intero biennio 2015-2016 (per la parte conosciuta), che fa registrare addirittura una riduzione di 24.120 unità dei licenziamenti disciplinari rispetto alla parte corrispondente del biennio 2013-2014? Inoltre, nel commentare gli effetti di una legge che si propone esplicitamente di rendere più fluido il tessuto produttivo anche per consentire un aumento delle assunzioni stabili, mi parrebbe doveroso informare i lettori pure del fatto che nel periodo gennaio 2015-settembre 2016 le nuove assunzioni a tempo indeterminato e le trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato sono aumentate di 815.089 unità rispetto allo stesso periodo del biennio 2013-2014, producendo, in termini di occupazione, circa 700.000 posti di lavoro stabili in più: un dato, questo, di fronte al quale i 10.207 licenziamenti disciplinari in più sarebbero pressoché irrilevanti anche se fossero tutti – ma non lo sono certamente – riferiti a rapporti costituiti nell’ultimo biennio.

Osservo infine, in riferimento ai due casi di licenziamento disciplinare descritti nell’articolo, che una informazione corretta avrebbe imposto un esame compiuto delle difese delle due imprese interessate: se si riportano soltanto le difese del lavoratore, non solo questi due, ma tutti gli 82.303 licenziamenti disciplinari registratisi nel corso del biennio 2015-2016 apparirebbero ingiustificati.

Con immutata stima e viva cordialità

Pietro Ichino

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