SULLE MODIFICHE DEL TESTO UNICO DEL PUBBLICO IMPIEGO

CONSIDERAZIONI E OSSERVAZIONI SUI CONTENUTI E LE CRITICITÀ DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO IN MATERIA DI TRASFERIMENTI, PROCEDIMENTO DISCIPLINARE, ASSORBIMENTO DEL PRECARIATO E RECESSO DELLE AMMINISTRAZIONI DAI RAPPORTI DI LAVORO

Relazione alla Commissione Lavoro del Senato, che ho svolto il 28 marzo 2017 – In argomento v. anche i numerosi interventi e documenti raccolti nel Portale della Trasparenza e della Valutazione nelle Amministrazioni pubbliche    .
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Relazione di Pietro Ichino sull’atto di Governo n. 393
Schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni
al Testo Unico del pubblico impiego
di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

Il provvedimento in esame, emanato in attuazione di una parte delle deleghe conferite al Governo dalla legge n. 124/2015, reca una serie di modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo Unico sul pubblico impiego), suddivise in 9 capi e 25 articoli. Aspetti di competenza della Commissione sono ravvisabili negli articoli 1, 2, 3, 5, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 21, 22 e 23, contenuti nello schema di decreto, dei quali si dà conto nella seconda parte di questa relazione. Ma i contenuti sui quali la Commissione ha al tempo stesso maggiore titolo per interloquire e rilievi maggiori da proporre sono principalmente quelli relativi al trasferimento dei dipendenti, al procedimento disciplinare, all’assorbimento del precariato e al recesso delle amministrazioni dal rapporto (materie, queste ultime due, tra loro fortemente connesse sul piano funzionale e degli effetti pratici delle misure adottate). Propongo alcune considerazioni in proposito nella prima parte di questa relazione – anche se esse dovrebbero, per prassi, essere collocate alla fine –solo per comodità di lettura, considerato il volume considerevole della parte dedicata all’esame del contenuto di ciascuna disposizione dello schema di decreto.

I. Osservazioni e considerazioni su alcune criticità dello schema di decreto

I.1. In materia di trasferimento dei dipendenti

Su questa materia gli l’articolo 3 dello schema di decreto, modificando l’articolo 30 T.U., prevede che i contratti collettivi nazionali possano integrare le procedure e i criteri generali per l’attuazione della disciplina legislativa del trasferimento. L’opportunità di quest’ultima disposizione dev’essere attentamente valutata, soprattutto se si considera che – esclusi i “trasferimenti” soltanto formali, dovuti a cambiamento di nome delle strutture – la procedura del trasferimento d’ufficio fra amministrazioni diverse per esigenze organizzative, nel quindicennio che ci separa dal varo del Testo Unico, non risulta essere stata mai effettivamente attivata, nonostante i gravi squilibri esistenti e universalmente riconosciuti tra gli organici delle amministrazioni: quella di consentire l’introduzione, per via contrattuale collettiva, di nuovi vincoli procedurali in questa materia non sembra una misura destinata a facilitare l’utilizzazione futura di questa procedura.

Si segnala anche l’opportunità di disporre una integrazione dell’articolo 6 del T.U., mirata ad obbligare ciascuna amministrazione a rilevare annualmente, al tempo stesso, le eventuali eccedenze di organico e le carenze, ai fini dell’attivazione delle procedure di trasferimento e dei percorsi di formazione o riqualificazione necessari al fine di superare le une e le altre.

I.2. In materia di procedimento disciplinare

Su questa materia gli articoli da 12 a 17 dello schema di decreto confermano l’orientamento già fatto proprio dal legislatore delegato nel decreto n. 150/2009, nel senso di dettare una disciplina specifica molto dettagliata del procedimento disciplinare, differenziandola da quanto previsto per la generalità dei rapporti di lavoro nell’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori e nel sanzionare l’omesso esercizio del potere disciplinare da parte dei dirigenti responsabili. Questa scelta risponde all’esigenza, in sé del tutto condivisibile, di rivitalizzare l’esercizio di un potere dirigenziale che oggi nel settore pubblico appare fortemente atrofizzato. Vi è da chiedersi, tuttavia, se la via maestra per conseguire questa riattivazione consista nel regolare minuziosamente ogni passo che la dirigenza pubblica deve compiere su questo terreno, o non piuttosto nell’attivare gli incentivi giusti affinché la dirigenza stessa si riappropri di questa prerogativa e la eserciti, in funzione degli obiettivi di efficienza e produttività cui è vincolata, in modo analogo a quanto accade nelle strutture private meglio organizzate e funzionanti.

Qualche perplessità, in particolare, suscita il contenuto dell’articolo 15, che, con l’intendimento condivisibile di vincolare le amministrazioni a sanzionare con il provvedimento disciplinare più grave le mancanze più gravi, oggi troppo sovente tollerate o punite con sanzioni conservative, in realtà si presta a essere utilizzato per avallare proprio le prassi amministrative lassiste che si vogliono contrastare. Per esempio, la disposizione contenuta nella nuova lettera f-quater dell’articolo 55-quater del Testo Unico, prevedendo che scatti il licenziamento per la “reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa che abbia determinato la sospensione dal servizio per un periodo superiore a un anno nel corso di un biennio”, rischia di essere utilizzata con successo allo scopo diametralmente opposto, per evitare o annullare il licenziamento in tutti i casi di violazioni gravi che non siano “reiterate”, e che non abbiano già in precedenza dato luogo a sospensione di durata superiore a un anno nel corso di un biennio.

Ancora in riferimento all’articolo 15, si osserva che l’ipotesi di accertamento in flagranza non pare agevolmente riferibile, in concreto, a tutte le condotte per le quali la disposizione intende comminare il licenziamento a norma dell’articolo 55-quater, comma 1, T.U.: per esempio, per l’accertamento delle “falsità documentali o dichiarative” appare necessario, in ogni caso, lo svolgimento di una qualche attività istruttoria; stesso discorso per “l’ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per esigenze di servizio”.

Si segnala l’opportunità di aggiungere al decreto una disposizione transitoria a norma della quale i procedimenti disciplinari in corso alla data di entrata in vigore sono portati a termine secondo le procedure e il riparto di competenze vigenti alla data del loro avvio (notifica della contestazione), ma è tuttavia applicato anche a tali procedimenti il comma 9-ter dell’art. 55-bis nel nuovo testo; e alle infrazioni disciplinari cui si riferiscono i procedimenti in corso si applicano – qualora più favorevoli – le sanzioni previste a tale data.

Un rilievo puntuale riguarda anche la disposizione contenuta nell’articolo 13, lettera c), dove si prevede che “Le amministrazioni, previa convenzione non onerosa, possono prevedere la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari”. Qui, se non si vogliono paralizzare alcune (purtroppo rare e isolate) buone prassi di gestione consortile delle funzioni di gestione del personale di enti pubblici, attualmente in corso, è necessario sostituire l’espressione “convenzione non onerosa” con un’espressione che consenta “la gestione consortile senza maggiori oneri complessivi per le amministrazioni interessate”. È infatti evidente che l’affidamento di una funzione di consulenza e assistenza a un organismo consortile esterno comporta sempre per l’amministrazione interessata l’onere di un corrispettivo per il servizio che in tal modo viene decentrato, ovviamente compensato dal corrispondente risparmio di risorse interne all’amministrazione stessa.

L’articolo 17, che modifica l’articolo 55-sexies del T.U., al fine di prevedere che il dipendente è comunque sospeso dal servizio (con privazione della retribuzione per un periodo da tre giorni a tre mesi) nel caso in cui dalla violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa derivi la condanna della P.A. al risarcimento del danno, rinvia erroneamente all’articolo 55-quater, comma 3-sexies (comma inesistente), mentre il rinvio alla lettera h) dovrebbe, salvo errori, intendersi riferito alla lettera f-ter.

I.3. Sulla disciplina delle collaborazioni autonome, del lavoro a termine e del lavoro accessorio

Occorrerebbe chiarire in apertura dell’articolo 5 che la definizione del rapporto di collaborazione autonoma risultante dal combinato disposto degli articoli 2222 del codice civile e 409 n. 3 del codice di procedura civile, si applica anche ai contratti stipulati dalle amministrazioni pubbliche.

L’articolo 9 dello schema di decreto prevede che nella stipulazione di contratti a tempo determinato il diritto di precedenza si applichi al solo personale reclutato mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo. Al riguardo va osservato che, diversamente da quanto indicato nella disposizione in esame, la relazione illustrativa afferma che il diritto di precedenza in questione è riconosciuto al personale delle sole categorie protette; si segnala, pertanto, l’opportunità di un chiarimento nel testo legislativo, su questo punto.

Ancora nell’articolo 9 si fa riferimento alla possibile prosecuzione del ricorso, da parte delle amministrazioni, al lavoro accessorio retribuito mediante buoni-lavoro: qui occorre un’armonizzazione tra lo schema di decreto e il decreto-legge col quale il Governo nei giorni scorsi ha radicalmente abrogato la norma del d.lgs. n. 81/2015 che regola questa materia.

Ancora nell’articolo 9 può essere opportuno precisare che il personale utilizzato dalle amministrazioni in regime di somministrazione, al pari di quello utilizzato dalle imprese private, deve in ogni caso essere sottoposto agli stessi percorsi formativi in materia di sicurezza del lavoro e di prevenzione della corruzione. Inoltre si segnala l’opportunità

I.4. Sull’esigenza di riassorbire le sacche di precariato e la disciplina del “lavoro flessibile”

L’intendimento di promuovere il superamento del precariato nelle amministrazioni è pienamente condivisibile, oltre che conforme a un principio di diritto europeo al quale il nostro ordinamento è tenuto a ottemperare. Perché le amministrazioni e in particolare gli enti locali possano procedere con relativa facilità all’immissione in ruolo dei loro dipendenti o collaboratori precari occorre che vengano offerti loro strumenti affidabili di aggiustamento degli organici in caso di difficoltà economiche od organizzative: altrimenti, in previsione di possibili oscillazioni delle risorse disponibili, prevarrà la doverosa prudenza.

I.5. Sul nuovo apparato sanzionatorio in materia di licenziamenti

L’apparato sanzionatorio previsto per il settore pubblico dalla legge oggi in vigore è quello delineato dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 (c.d. legge Fornero): la sua applicabilità anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni è previsto espressamente dall’articolo 1, comma 7, di quella stessa legge. La quale, tuttavia, al comma immediatamente successivo prevede, al fine dell’applicazione di quanto previsto dal comma 7, l’emanazione da parte del Governo di una normativa regolamentare di armonizzazione, che però non è mai stata emanata. Nella situazione transitoria di attesa del regolamento di armonizzazione, si è determinato un contrasto all’interno stessa della giurisprudenza di Cassazione: a una sentenza (Cass. 26 novembre 2015 n. 24157) che ha ritenuto comunque applicabile nel settore pubblico l’apparato sanzionatorio definito dal nuovo articolo 18 St.lav. come modificato dalla legge Fornero, se ne è contrapposta un’altra della stessa Corte (Cass. 9 giugno 2016 n. 11868), che ha ritenuto invece la norma del 2012 non applicabile finché il regolamento di armonizzazione non sia stato emanato.

Questo essendo il contrasto giurisprudenziale in atto, la legge n. 124/2015 delega al Governo l’emanazione di norme volte a sciogliere le antinomie, ovvero i nodi interpretativi e applicativi esistenti. A norma dell’articolo 16, comma 1, di quella legge, infatti, il Governo deve attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi generali:
b) coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni legislative vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;
c) risoluzione delle antinomie in base ai princìpi dell’ordinamento e alle discipline generali regolatrici della materia.

Valuterà la Commissione prima, Affari costituzionali, la congruità rispetto al contenuto e ai principi dettati dalla legge-delega dell’articolo 21 dello schema di decreto in esame, che sostanzialmente conferma la non applicazione della legge n. 92/2012, istituendo un limite del risarcimento dovuto al lavoratore indebitamente licenziato di 24 mensilità (a fronte del limite di 12 mensilità stabilito dalla legge n. 92/2012). Valuterà inoltre la stessa Commissione le questioni di armonizzazione della nuova disciplina dettata da questo articolo con il contesto dell’ordinamento.

II. Il contenuto dello schema di decreto articolo per articolo

Nelle pagine che seguono si dà conto del contenuto, articolo per articolo, dello schema di decreto in esame, per la parte di competenza di questa Commissione.

II.1. – L’articolo 1 dello schema di decreto interviene sull’articolo 2 del Testo Unico contenuto nel decreto legislativo n. 165/2001, che prevede la possibilità per i contratti collettivi nazionali di cui all’articolo 40, comma 3, di derogare alle disposizioni recate da legge, regolamento o statuto: la nuova disposizione in esame precisa che ciò può avvenire solo nelle materie già affidate alla contrattazione collettiva a norma dello stesso articolo 40, comma 1, e comunque nel rispetto dei principi contenuti nel Testo Unico. In proposito riporto le osservazioni contenute in un saggio in corso di pubblicazione di Gianfranco D’Alessio e Lorenzo Zoppoli, di cui gli stessi Autori mi hanno gentilmente fornito una anticipazione e che meritano di essere segnalate alla Commissione competente:

Il nuovo testo della seconda proposizione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, proposto nell’art. 1 dello schema di decreto, prevede che “[ testo della disposizione]”.
In tal modo, non solo viene superata la formulazione introdotta con la legge n. 15 del 2009, che aveva un valore e un significato assi diversi, in quanto statuiva che le disposizioni normative potevano essere derogate da parte dei contratti solo ove ciò fosse “
espressamente previsto dalla legge”, ma si va anche al di là del testo originario del decreto del 2001, dove si stabiliva che la derogabilità poteva intervenire “salvo che la legge disponesse espressamente in senso contrario”.
Quindi, viene in primo luogo esplicitamente affermato che l’effetto derogatorio delle previsioni contrattuali rispetto a quelle delle fonti legislative (o secondarie) non riguarderà solo le nuove leggi introdotte dopo l’entrata in vigore dell’emanando decreto, ma anche quelle precedenti (in particolare, quelle emanate a partire dal 2009), secondo una interpretazione della norma del d.lgs. n. 165 del 2001 che in concreto era stata già adottata prima che intervenisse la modifica del 2009.
Ma, soprattutto, viene meno la possibilità per il legislatore di dichiarare la inderogabilità di disposizioni aventi ad oggetto esclusivamente i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni.
Sicuramente, in riferimento al rapporto legge/contratto, la scelta di tornare alla regola sistematica della derogabilità è coerente, oltre con l’accordo fra Governo e sindacati del 30 novembre 2016, con un assetto improntato ad un principio di delegificazione organica, nel quale alla contrattazione collettiva viene assegnato un ruolo cruciale nella disciplina di istituti necessari per una gestione moderna ed equilibrata delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni (senza una pervasiva e minuziosa regolazione legislativa): ciò significa fare della delegificazione mediante contrattazione un punto di fondo della nuova disciplina sul lavoro pubblico, rimettendo in ordine il sistema con scelte conseguenti per tutte le pubbliche amministrazioni. Al di là delle clausole espresse la “delegificazione organica” dovrebbe essere conseguentemente fatta operare per tutto il lavoro pubblico “contrattualizzato”, chiudendo la “parentesi” aperta nel 2009, e riprendendo a dettare regole idonee a favorire reali negoziazioni in tutti i comparti e a tutti i livelli, sostenendo, in particolare, le concrete capacità dei diversi “attori” pubblici.
Si deve, peraltro, rilevare che se la nuova versione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 consente di superare lo squilibrio in favore delle fonti normative derivante dal testo a suo tempo introdotto dalla legge n. 15 del 2009, forse potrebbe produrre, se letta in modo troppo rigido, uno squilibrio opposto e contrario, questa volta in favore della fonte negoziale. È vero che la nuova norma si preoccupa di precisare che le deroghe alle previsioni legislative possono essere apportate solo dai contratti nazionali e che, comunque, esse possono riguardare solo le materie demandate alla contrattazione collettiva (che, tuttavia, in ragione della modifica all’art. 40, comma 1, di cui si dirà, finiscono per avere potenzialmente ad oggetto il rapporto di lavoro complessivamente considerato). Rispetto al testo originario del d.lgs. n. 165 del 2001 viene, però, cancellato il passaggio, sopra già richiamato, secondo il quale la deroga può avere luogo “
salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”: il che potrebbe indurre a ritenere che si sia voluta stabilire la totale esclusione della possibilità che le leggi e gli altri atti normativi (diversi dallo stesso d.lgs. n. 165 del 2001) possano dichiarare la inderogabilità, generale o parziale, da parte degli accordi collettivi, di regole da esse dettate. Ora, ci sono buone ragioni, legate proprio al mutato assetto del rapporto fra le fonti, per ritenere accettabile la cancellazione delle clausole di inderogabilità previste da leggi precedenti, ma dovrebbe essere lasciata la porta aperta alla eventuale fissazione di limiti alla derogabilità da parte della legislazione futura: anzi, per meglio dire, è inevitabile che tale circostanza possa verificarsi, perché non è concepibile che una disposizione di legge (rectius, nella specie, ciò che è deducibile dalla scelta di non riprodurre una certa formula precedentemente adottata) possa impedire, in prospettiva, al legislatore di orientarsi in senso diverso.”

(da Osservazioni sugli schemi di decreti legislativi attuativi dell’art. 17 della legge n. 124 del 2015 di Gianfranco D’Alessio e Lorenzo Zoppoli, in corso di pubblicazione).

II.2. Gli articoli 2 e 3 dello schema di decreto intervengono sul potere di organizzazione delle amministrazioni pubbliche, modificando l’articolo 5, comma 2, e l’articolo 30 del Testo Unico.

L’articolo 5 T.U., nel testo attualmente vigente, prevede che nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi delle amministrazioni, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro siano assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l’esame congiunto, ove previsti nei contratti collettivi nazionali. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici.

L’articolo 30, comma 1, T.U., nel testo attualmente in vigore prevede che le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale (per un periodo pari almeno a trenta giorni) un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere.

Il comma 2 dello stesso art. 30 T.U., nel testo oggi in vigore, statuisce che i dipendenti possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. Con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa intesa, ove necessario, in sede di Conferenza unificata) possono essere fissati criteri per realizzare anche passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l’esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico.

Il consenso dei dipendenti alla prestazione della propria attività lavorativa in un’altra sede è richiesto, ai fini del trasferimento, solo nel caso in cui essi abbiano figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale od ai giorni di permesso mensile per assistere familiari disabili in situazione di gravità.

L’ultimo periodo del comma 2, nel testo vigente, stabilisce la nullità degli accordi, degli atti e delle clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 (questa è una disposizione che, come vedremo tra breve, verrebbe soppressa dal nuovo decreto).

Ora gli articolo 2 e 3 dello schema di decreto apportano agli articoli 5 e 30 T.U. le modifiche seguenti:

  • l’articolo 2 prevede che nelle determinazioni per l’organizzazione degli uffici e nelle misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro, si rispetti il principio di pari opportunità;
  • con riferimento alle determinazioni organizzative, con particolare riguardo alla direzione e all’organizzazione del lavoro, si sopprime l’espresso richiamo all’esame congiunto con le organizzazioni sindacali, facendo comunque salve (oltre all’informazione sindacale) le ulteriori forme di partecipazione eventualmente previste nei contratti collettivi nazionali;
  • viene soppressa la disposizione in base alla quale rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali, le misure inerenti alla gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici;
  • l’articolo 3 dello schema di decreto interviene sul rapporto tra legge e contrattazione collettiva nella disciplina del passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, attraverso la modifica dell’articolo 30 T.U., prevedendo che, ferma restando la nullità di accordi o clausole contrattuali in contrasto con la disciplina legislativa, i contratti collettivi nazionali possano integrare le procedure e i criteri generali per l’attuazione della disciplina legislativa medesima.

II.3. L’articolo 5 dello schema di decreto interviene sui rapporti di collaborazione e sul conferimento di incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo, modificando l’articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Quest’ultimo attualmente prevede che le amministrazioni pubbliche, per esigenze cui non possano far fronte con personale in servizio, possano conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti:

  1. a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;
  2. b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
  3. c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico;
  4. d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Il ricorso a contratti di “collaborazione coordinata e continuativa” per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.

Con la novella in esame – in analogia con quanto previsto per il settore privato dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015 – si introduce il divieto per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Si ribadisce che non trova applicazione, per le pubbliche amministrazioni, la disposizione (di cui allo stesso articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015) che prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato in caso di collaborazioni che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Inoltre, al fine di armonizzare la disciplina della materia applicabile nel settore pubblico rispetto a quella emanata nel 2015 per il settore privato, viene soppresso l’obbligo di determinare il luogo della collaborazione, in caso di conferimento di incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo, e si puntualizza che le esigenze che giustificano il ricorso a incarichi individuali, alle quali le amministrazioni non possono far fronte con il personale in servizio, devono essere esigenze “specifiche”.

II.4. – All’articolo 8 dello schema di decreto si interviene sulle comunicazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad effettuare al Dipartimento della funzione pubblica in relazione agli incarichi conferiti. In particolare, tali comunicazioni devono essere fatte tempestivamente e contenere informazioni aggiuntive, per ciascun incarico, relative all’oggetto dell’incarico, al compenso lordo e all’effettuazione della verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interesse.

II.5. – Con l’articolo 9 si interviene sulla disciplina in materia di lavoro flessibile nella P.A., modificando l’articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001. La disposizione specifica che le forme contrattuali flessibili a cui si può ricorrere sono quelle del lavoro subordinato a tempo determinato e della somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché quelle previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche.

Si segnala, in particolare, che sembra restare ferma la possibilità per le P.A. di avvalersi di prestazioni di lavoro accessorio (cd. voucher), considerato che l’articolo 48, comma 4, del decreto legislativo n. 81/2015 la contempla: occorre che lo schema di decreto venga coordinato, per questo aspetto, con il decreto-legge emanato dal Governo nei giorni scorsi, col quale il detto articolo è stato abrogato.

La novella, per la disciplina applicabile ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato e di somministrazione di lavoro a tempo determinato, rinvia a quella generale dettata dal decreto legislativo n. 81 del 2015, prevedendo però le alcune deroghe:

  • nei contratti a tempo determinato il diritto di precedenza si applica al solo personale reclutato mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo (qui si rileva un contrasto con la relazione sullo schema di decreto, già segnalato nella prima parte di questa relazione);
  • nei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato la disciplina richiamata si applica fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Si dispone altresì che il rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate sia portato a conoscenza delle organizzazioni sindacali e che contenga l’indicazione dei dati identificativi dei titolari del rapporto. Inoltre, il medesimo rapporto deve essere trasmesso ai nuclei di valutazione e agli organismi indipendenti di valutazione di cui alla normativa vigente.

Nello stesso articolo sono contenute disposizioni di coordinamento testuale a norma delle quali i rinvii operati ai contratti collettivi dal decreto legislativo n. 81 del 2015 devono intendersi riferiti, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall’ ARAN (lett. c) e abroga i commi 5-bis e 5-ter dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (lett. e).

Inoltre, si dispone che quanto previsto in materia di lavoro flessibile nella P.A. dall’articolo 36 del Testo Unico (decreto legislativo n. 165/2001) non si applica al personale docente e ATA a tempo determinato, mentre agli enti di ricerca pubblici si applica quanto previsto dal decreto legislativo n. 218 del 2016 (lett. g). Sono dichiarati nulli contratti di lavoro posti in essere in violazione del nuovo articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (lett. f).

II.6. – L’articolo 10 dello schema di decreto in esame introduce apposite misure a sostegno della disabilità. In particolare, attraverso l’introduzione degli articoli da 39-bis e 39-quater al decreto legislativo n. 165 del 2001, si dispone l’istituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, della Consulta nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità, i cui componenti non ricevono alcun compenso o emolumento comunque denominato e alla quale sono attribuite le seguenti funzioni:

  • elabora piani, programmi e linee di indirizzo per ottemperare agli obblighi di cui alla legge 68/1999 sul diritto al lavoro dei disabili;
  • effettua il monitoraggio sul rispetto degli obblighi di comunicazione che le amministrazioni pubbliche devono adempiere al fine di verificare la corretta applicazione della disciplina in materia di collocamento obbligatorio;
  • propone alle amministrazioni pubbliche misure innovative tese al miglioramento dei livelli occupazionali e alla valorizzazione dei lavoratori disabili;
  • prevede interventi straordinari per l’adozione di accomodamenti ragionevoli (come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità) nei luoghi di lavoro, a cui sono tenuti tutti i datori di lavoro al fine di garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.

Viene inoltre introdotta (nuovo articolo 39-ter del Testo Unico) la figura del responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità, nominato dalle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, che cura i rapporti con il centro per l’impiego competente per l’inserimento lavorativo dei disabili, predispone gli accorgimenti organizzativi e propone le soluzioni tecnologiche per facilitare l’integrazione al lavoro. Infine, viene previsto un apposito monitoraggio per la verifica della corretta applicazione della normativa vigente.

A tal fine, le amministrazioni pubbliche inviano, al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero del lavoro e al Centro per l’impiego competente, il prospetto informativo dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili. Entro i successivi sessanta giorni, trasmettono, al Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero del lavoro, una comunicazione contenente tempi e modalità di copertura della quota di riserva, nonché l’indicazione di eventuali bandi di concorso per specifici profili professionali per i quali non è previsto il solo requisito della scuola dell’ obbligo, riservati ai soggetti disabili di cui all’art. 8 della L. 68/1999 o, in alternativa, delle convenzioni di cui all’art. 11 della legge 68/1999. Si specifica, infine, che le informazioni previste dal nuovo articolo 39-quater sono raccolte nell’ambito della Banca dati politiche attive e passive e che in caso di inosservanza di quanto disposto dal medesimo articolo i centri per l’impiego avviano numericamente i lavoratori disabili, attingendo alla graduatoria vigente con profilo professionale generico, dando comunicazione delle inadempienze al Dipartimento della funzione pubblica.

A questo proposito va osservato che, per giudizio comune a tutti gli osservatori qualificati, il monitoraggio previsto dal decreto-legge n. 101/2013, convertito nella legge n. 125/2013, ha funzionato in modo a dir poco insoddisfacente: a tutt’oggi non si conoscono i dati e le informazioni relativi ai posti vacanti in pianta organica riservati ai disabili. Queste informazioni devono essere soggette a un regime di trasparenza totale, mediante la loro pubblicazione nei siti istituzionali. Inoltre, le scadenze per la comunicazione dei dati e delle informazioni non sono coerenti con le possibilità offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione e delle informazioni. Occorre implementare i sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni e degli organi di controllo (dipartimento della funzione pubblica e altri) affinché i dati e le informazioni vengano aggiornate e comunicate  in via automatica e in tempo reale.

II.7. – L’articolo 11 interviene in materia di contrattazione collettiva ed integrativa. Esso è volto, per la parte che riguarda la contrattazione integrativa, a dare attuazione al criterio direttivo di cui all’articolo 17, comma 1, lett. h), della L. 124/2015, che delega il Governo ad adottare una serie di misure in materia di contrattazione integrativa. Per quanto concerne le norme che intervengono sulla contrattazione collettiva nazionale si rinvia, invece, alle considerazioni svolte sopra, in relazione all’articolo 1 dello schema di decreto.

Di seguito le modifiche apportate alla disciplina vigente, dettata dall’articolo 40 del D.Lgs. 165/2001:

  • la disposizione definisce la competenza della contrattazione collettiva sia specificandone l’ambito di applicazione, disponendo che questa disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali, sia eliminando la valutazione delle prestazioni ai fini delle progressioni economiche dalle materie in cui l’intervento della contrattazione collettiva è consentito nei limiti previsti da norme di legge;
  • si stabilisce l’obbligo per i contratti collettivi nazionali di inserire al loro interno clausole che impediscono incrementi delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori nei casi in cui i dati sulle assenze, rilevati a consuntivo, presentino significativi scostamenti rispetto a dati medi annuali nazionali o di settore (anche con riferimento alla concentrazione in determinati periodi in cui è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza o, comunque, in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale);
  • viene abrogato il comma 3-quater del richiamato articolo 40, che attribuisce alla contrattazione collettiva nazionale il compito di definire le modalità di ripartizione delle risorse della contrattazione decentrata sulla base di graduatorie di performance delle amministrazioni pubbliche elaborate annualmente dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (la Relazione illustrativa specifica che tale abrogazione è conseguente al fatto che la disposizione in oggetto è rimasta totalmente inapplicata);
  • si attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di provvedere al riordino, alla razionalizzazione e alla semplificazione delle discipline in materia di dotazione ed utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa;
  • si dispone che la quota prevalente delle risorse destinate al trattamento accessorio complessivo (comunque denominato) sia destinata dalla contrattazione integrativa al trattamento collegato alla performance organizzativa (e non più solamente individuale);
  • nel confermare la possibilità per l’amministrazione interessata, in caso di mancato accordo per la stipulazione di un contratto integrativo, di provvedere sulle materie oggetto del mancato accordo in via provvisoria, fino all’eventuale successiva sottoscrizione, si dispone che tale potere sostitutivo è esercitabile – nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede fra le parti – solo se il ritardo conseguente al protrarsi delle trattative rechi pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa (non essendo sufficiente, come attualmente richiesto, la sola finalità di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica);
  • i contratti collettivi nazionali possono prevedere un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, alla scadenza del quale l’amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo; le modalità con cui ciascuna amministrazione interessata provvede alle suddette materie è oggetto di monitoraggio da parte di un osservatorio a composizione paritetica istituito presso l’ARAN;
  • si prevede che, in caso di accertata violazione di vincoli finanziari in sede di contrattazione integrativa, l’obbligo del recupero delle risorse nell’ambito della successiva sessione negoziale avvenga con quote annuali, per un numero massimo dì annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento dei suddetti vincoli; la quota di recupero non può eccedere il 25% delle risorse destinate alla contrattazione integrativa (salvo che l’amministrazione non disponga la proroga dei piani di recupero ai sensi della legislazione vigente) e il numero delle predette annualità viene corrispondentemente aumentato, previa certificazione degli appositi organi di controllo (dal collegio dei revisori dei conti, dal collegio sindacale, dagli uffici centrali di bilancio o dagli analoghi organi previsti dai rispettivi ordinamenti).

II.8. – Gli articoli da 12 a 17 intervengono in materia di responsabilità disciplinare, con la modifica degli articoli da 55 a 55-sexies del Testo Unico. Essi sono volti a dare attuazione al criterio di delega di cui all’articolo 17, comma 1, lettera s), della legge delega n. 124/2015, che prevede l’“introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”.

L’articolo 12 integra l’articolo 55 del decreto legislativo n.165 del 2001, specificando che la violazione delle disposizioni in materia di procedimento e sanzioni disciplinari costituisce a sua volta illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione.

L’articolo 13 modifica in più parti l’articolo 55-bis del decreto legislativo numero 165 del 2001, relativo alle forme e ai termini del procedimento disciplinare.

Per quanto riguarda i soggetti titolari del potere disciplinare, per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista la sanzione del rimprovero verbale, si prevede che la competenza spetti al responsabile della struttura presso cui il dipendente presta servizio e secondo le procedure stabilite dal contratto collettivo. Per le restanti infrazioni, punite con sanzioni diverse dal mero rimprovero verbale, la competenza spetta all’ufficio per i procedimenti disciplinari, che ciascuna amministrazione deve individuare secondo il proprio ordinamento, ferma restando la possibilità, previa convenzione, di provvedere alla gestione unificata delle funzioni dell’ufficio da parte di più amministrazioni.

Il procedimento disciplinare, di competenza dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, si avvia (al di fuori dei casi di licenziamento senza preavviso, di cui all’articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter) con la segnalazione, da parte del responsabile della struttura presso cui il dipendente presta servizio, da effettuare “immediatamente” e comunque entro 10 giorni (20 giorni, secondo la disciplina vigente), dai fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbiamo avuto conoscenza. L’ufficio per i procedimenti disciplinari provvede “con immediatezza” e comunque non oltre 30 giorni (decorrenti dalla segnalazione o dal momento in cui ha comunque avuto conoscenza dei fatti di rilevanza disciplinare), alla contestazione scritta dell’addebito e alla convocazione, con un preavviso di almeno 20 giorni (10 giorni secondo la disciplina vigente) all’interessato per l’audizione in contraddittorio a sua difesa. Il procedimento disciplinare deve concludersi, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro 90 giorni dalla contestazione dell’addebito (60 giorni secondo la disciplina vigente).

Vengono anche ridefinite (senza significative novità sostanziali) le modalità di svolgimento del procedimento disciplinare in caso di trasferimento del dipendente e le modalità di comunicazione tra amministrazione dipendente.

Di particolare rilievo sono le disposizioni volte a garantire l’effettività del procedimento disciplinare (nuovi commi 9-bis, 9-ter e 9-quater dello stesso articolo del T.U.), significativamente innovative rispetto alla normativa vigente. In particolare si prevede che i vizi del procedimento disciplinare (ossia la violazione dei termini e delle disposizioni che lo disciplinano), ferma l’eventuale responsabilità del dipendente cui essi siano imputabili, non determinano la decadenza dell’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, siano comunque compatibili con il principio di tempestività.

Al riguardo si fa presente che la normativa vigente (articolo 55-bis, comma 4, ultimo periodo) prevede, invece, a garanzia della durata certa del procedimento disciplinare, che “la violazione dei termini […] comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa”.

Le modifiche proposte dal provvedimento in esame comporterebbero, dunque, la trasformazione dei termini del procedimento disciplinare da perentori a (meramente) ordinatori.

Altre disposizioni innovative rispetto alla normativa vigente dispongono:

  • la nullità delle disposizioni di regolamento o interne (comunque qualificate), nonché delle clausole contrattuali, che prevedano per l’irrogazione di sanzioni disciplinari requisiti formali o procedurali ulteriori rispetto a quelli indicati per legge o che comunque aggravino il procedimento disciplinare;
  • la previsione che, nel caso in cui la sanzione disciplinare (incluso licenziamento) sia annullata in sede giurisdizionale per violazione del principio di proporzionalità, l’amministrazione può riaprire il procedimento disciplinare, rinnovando la contestazione degli addebiti entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza;
  • la previsione della possibilità di gestione consortile degli adempimenti relativi all’esercizio del potere disciplinare (a questa disposizione è riferita una osservazione critica proposta nella prima parte di questa relazione).

Infine, viene introdotta una disciplina differenziata per il procedimento disciplinare nei confronti del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ausiliario (ATA), la quale stabilisce che nei casi di infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni fino alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, la competenza del relativo procedimento è in capo al responsabile della struttura in possesso di qualifica dirigenziale e la procedura si svolge secondo le norme stabilite dal contratto collettivo. Nel caso in cui il responsabile della struttura non abbia qualifica dirigenziale o si proceda per infrazioni punite con sanzioni più gravi, si procede invece dinanzi all’ufficio per i procedimenti disciplinari.

L’articolo 14 modifica l’articolo 55-ter del T.U., relativo ai rapporti fra procedimento disciplinare procedimento penale. Oltre a disposizioni di mero coordinamento con quanto previsto all’articolo 13 (in relazione ai soggetti titolari del potere disciplinare), si prevede in primo luogo che il procedimento disciplinare sospeso possa essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi sufficienti per concludere il procedimento, anche sulla base di un provvedimento giurisdizionale non definitivo; inoltre, per quanto riguarda i tempi del procedimento disciplinare ripreso o riaperto successivamente alla sentenza del giudice penale, si dispone l’applicazione dei termini generali, che decorrono nuovamente e integralmente. La normativa vigente (articolo 55-ter, comma 4, secondo periodo) prevede, invece, un termine di 180 giorni dalla ripresa o dalla riapertura del procedimento.

L’articolo 15 modifica l’articolo 55-quater del T.U., relativo ai licenziamenti disciplinari. Al riguardo si ricorda, in via preliminare, che il decreto legislativo n.116/ 2016, in attuazione della medesima legge delega n. 124/2015, ha già modificato il menzionato articolo 55-quater del T.U., introducendovi cinque ulteriori commi (commi 1-bis, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies), con l’obiettivo di contrastare con più efficacia il fenomeno delle false attestazioni in servizio. Il comma 1-bis ha specificato ed ampliato la portata della fattispecie disciplinare prevista dall’articolo 55-quater, comma 1, lettera a), del T.U. (“falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”), al fine di far valere anche la responsabilità di coloro che abbiano agevolato, con la propria condotta attiva od omissiva, la condotta fraudolenta. In particolare, si prevede che costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione circa il rispetto dell’orario di lavoro.

Il comma 3-bis ha introdotto la sospensione cautelare, senza stipendio, del dipendente pubblico in caso di falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze. In particolare, la sospensione è disposta, con provvedimento motivato, dal responsabile della struttura di appartenenza del soggetto (o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio per i procedimenti disciplinari), in via immediata o comunque entro 48 ore dal momento in cui ne sia venuto a conoscenza. La violazione del termine non determina comunque la decadenza dell’azione disciplinare o l’inefficacia della sospensione cautelare.

Il comma 3-ter ha introdotto un procedimento disciplinare accelerato che, in relazione alla falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, deve concludersi entro 30 giorni innanzi all’ufficio per i procedimenti disciplinari. A tal fine, si prevede che il responsabile della struttura di appartenenza del dipendente, contestualmente al provvedimento di sospensione cautelare (adottato ai sensi del comma 3-bis) trasmetta gli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari, che è tenuto ad avviare immediatamente il procedimento disciplinare.

Il comma 3-quater ha introdotto l’azione di responsabilità per danni di immagine della P.A. nei confronti del dipendente sottoposto ad azione disciplinare per falsa attestazione della presenza in servizio. In particolare, si prevede che:

  • la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla Corte dei conti debbano avvenire entro 15 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare;
  • la Procura della Corte dei conti, qualora ne ricorrano i presupposti, emetta invito a dedurre per danno di immagine della P.A. entro 3 mesi dalla conclusione del procedimento disciplinare;
  • l’azione di responsabilità sia esercitata entro i 120 giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga, secondo le modalità e i termini previsti dalla normativa vigente sul giudizio di responsabilità amministrativa presso la Corte dei Conti;
  • l’ammontare del danno risarcibile sia rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e, comunque, non possa essere inferiore a sei mesi dell’ultimo stipendio in godimento.

Il comma 3-quinquies, sempre in relazione ai casi di falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, ha ampliato la responsabilità, disciplinare e penale, dei dirigenti o, negli enti privi di qualifica dirigenziale, dei responsabili di servizio competenti. In particolare, si prevede che le condotte omissive (omessa comunicazione all’ufficio per i procedimenti disciplinari; omessa attivazione del procedimento disciplinare; omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare) costituiscono illeciti disciplinari punibili con il licenziamento (fatte salve eventuali responsabilità penali).

La nuova disposizione qui in esame, in primo luogo, integra l’elenco dei casi nei quali si applica, comunque, la sanzione del licenziamento disciplinare, includendovi:

  • le ipotesi di gravi e reiterate violazioni dei codici di comportamento (non si tratta, in realtà, di una ipotesi nuova, in quanto l’articolo 54, comma 3, del T.U., richiamato per finalità di coordinamento interno del testo, già prevede che “Violazioni gravi o reiterate del codice di comportamento comportano l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 55-quater, comma 1”);
  • il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare dovuta all’omissione, con dolo o colpa grave, degli atti del procedimento disciplinare (di cui all’articolo 55-sexies, comma 3);
  • lo scarso rendimento del dipendente nei cui confronti sia già stata irrogata, allo stesso titolo, una sanzione disciplinare conservativa nell’arco dei due anni precedenti, nonché la reiterata valutazione negativa della performance del dipendente nell’arco dell’ultimo triennio, rilevata ai sensi del decreto legislativo n.150 del 2009. Questa fattispecie costituisce, in realtà, una sistematizzazione dell’ipotesi già prevista all’articolo 55-quater, comma 2, di cui si prevede, conseguentemente, l’abrogazione (questo articolo prevede che “Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54”)

Inoltre, si prevede che le disposizioni di cui ai commi da 3-bis a 3-quinquies (ossia sospensione cautelare e senza stipendio; procedimento disciplinare accelerato; azione di responsabilità per danni di immagine della P.A.; responsabilità dirigenziale) che in base alla normativa vigente si applicano solo nei casi di “falsa attestazione in servizio della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”, trovino applicazione, nei casi in cui siano accertate in flagranza, per tutte le condotte punibili con il solo licenziamento.

L’articolo 16 modifica l’articolo 55-quinquies del decreto legislativo n.165 del 2001, relativo alle false attestazioni o certificazioni.

La disposizione prevede, in particolare, che (ferma restando la possibilità che la condotta rientri tra quelle punite con il licenziamento disciplinare ai sensi dell’articolo 55-quater) i contratti collettivi nazionali individuano le condotte e fissano le corrispondenti sanzioni disciplinari con riferimento alle ipotesi di ripetute e ingiustificate assenze dal servizio in continuità con le giornate festive di riposo settimanale, nonché con riferimento ai casi di ingiustificate assenze collettive in determinati periodi nei quali è necessario assicurare continuità dell’erogazione dei servizi all’utenza.

L’articolo 17 modifica l’articolo 55-sexies del T.U., al fine di prevedere che il dipendente è comunque sospeso dal servizio (con privazione della retribuzione per un periodo da tre giorni a tre mesi) nel caso in cui dalla violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa derivi la condanna della P.A. al risarcimento del danno. La disposizione non sembra innovare sostanzialmente rispetto alla normativa vigente, che viene semplicemente riformulata in termini più espliciti.

Inoltre, si prevede che il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili (quindi anche non dirigenti) la sospensione dal servizio fino a un massimo di 3 mesi, salva la maggiore sanzione del licenziamento nel caso in cui questa sia prevista. La normativa vigente sul punto è differente, in quanto distingue tra soggetti responsabili in base alla qualifica posseduta (dirigenziale o non dirigenziale), prevedendo, per i soggetti privi di qualifica dirigenziale, che la sospensione dal servizio non operi automaticamente, ma solo “ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo”.

Si fa presente che la disposizione rinvia erroneamente all’articolo 55-quater, comma 3-sexies (tale comma è inesistente), mentre il rinvio alla lettera h) dovrebbe intendersi riferito alla lettera f-ter).

II.9. – L’articolo 18 modifica la disciplina vigente in materia di accertamenti medico-legali sulle assenze dal lavoro per malattia, prevedendo, tra l’altro, la devoluzione dei relativi compiti all’INPS. La novella prevede la creazione di un polo unico in capo all’INPS per la gestione delle visite fiscali, sia nel pubblico che nel privato, attraverso il trasferimento all’Istituto medesimo delle competenze e delle risorse sulle visite fiscali dei dipendenti pubblici oggi affidate anche alle ASL.

Si dispone l’attribuzione in via esclusiva all’INPS, sul territorio nazionale, del compito di effettuare gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia, effettuati d’ufficio o su richiesta con oneri a carico dello stesso Istituto. A tal fine, il rapporto tra l’INPS e i medici di medicina fiscale verrà disciplinato da apposite convenzioni stipulate dall’INPS con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale, che garantiscono il prioritario ricorso ai medici iscritti nelle liste speciali ad esaurimento, sulla base di un atto di indirizzo adottato con apposito decreto interministeriale. Tale previsione si applica anche agli accertamenti nei confronti del personale delle istituzioni scolastiche ed educative statali a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018.

Altra novità introdotta dall’articolo in esame è rappresentata dall’armonizzazione della disciplina del settore pubblico e privato in tema di fasce orarie di reperibilità in caso di malattia. A tal fine, viene demandata ad un apposito decreto interministeriale la definizione delle fasce orarie di reperibilità entro le quali devono essere effettuate le visite di controllo, nonché le modalità per lo svolgimento delle stesse visite e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia. Viene altresì previsto in capo all’amministrazione che riceve la comunicazione preventiva circa il fatto che il dipendente debba allontanarsi dall’indirizzo comunicato durante le fasce di reperibilità, l’obbligo di darne comunicazione all’INPS.

Viene, infine, disposto che i controlli sulla validità delle certificazioni mediche rilasciate da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale restano in capo alle singole amministrazioni pubbliche interessate e che l’INPS utilizza la certificazione medica inviatagli per via telematica per lo svolgimento delle attività connesse all’accertamento medico-legale, anche mediante la trattazione dei dati riferiti alla diagnosi.

II.10. – L’articolo 20 reca disposizioni per la stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, sia attraverso una specifica procedura di stabilizzazione, sia attraverso il bando di specifici concorsi riservati. In particolare, si prevede, nel triennio 2018-2020, la facoltà, per le amministrazioni, di procedere alla stabilizzazione (in accordo con il nuovo piano triennale dei fabbisogni individuato dal precedente articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria) del personale non dirigenziale che alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame possegga tutti i seguenti requisiti:

  • sia in servizio con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione (lettera a);
  • sia stato già selezionato dalla stessa amministrazione con procedure concorsuali (lettera b);
  • abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che assume almeno 3 anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi 8 anni (lettera c).

Allo stesso tempo, le amministrazioni interessate possono bandire (nello stesso triennio 2018-2020) specifiche procedure concorsuali (nel rispetto del nuovo piano triennale dei fabbisogni individuato dal precedente articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria), riservate, in misura non superiore al 50% dei posti disponibili, all’assunzione a tempo indeterminato di personale non dirigenziale che alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame possegga tutti i seguenti requisiti:

  • sia in servizio con contratti di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso (lettera a);
  • abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che assume almeno 3 anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi 8 anni (lettera b).

II.11 – L’articolo 21 ridefinisce l’apparato sanzionatorio applicabile nel caso licenziamento dei dipendenti pubblici che presenti profili di irregolarità formale o difetto di giustificazione sostanziale, stabilendo che trovi sempre applicazione la cd. tutela reale, ovvero la reintegrazione. In particolare, si prevede che il giudice, con la sentenza con la quale annulli o dichiari nullo il licenziamento, condanni l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore a 24 mensilità. Da tale importo va dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è anche condannato, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Dell’eccesso di delega ravvisabile in questa disposizione si è detto nella prima parte di questa relazione (§ I.5).

II.12. – L’articolo 22 reca disposizioni transitorie e interventi di coordinamento legislativo.

Più specificamente:

  • si prevede che le linee di indirizzo per la pianificazione di personale (di cui al nuovo articolo 6-ter del T.U., vedi supra) debbano essere adottate entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. In sede di prima applicazione, il divieto di assunzione di personale per le amministrazioni pubbliche (di cui al nuovo testo dell’articolo 6, comma 6, del T.U.) si applica a decorrere dal 30 marzo 2018 e comunque solamente decorso il termine di 60 giorni dalla pubblicazione delle citate linee di indirizzo (comma 1);
  • si prevede che le disposizioni sui controlli medico legali sulle assenze per malattia (di cui all’articolo 55-septies, comma 2-bis, del T.U., iontrodotto dall’articolo 18, comma 1, lettera c), dello schema di decreto legislativo in esame) si applichino agli accertamenti nei confronti del personale delle istituzioni scolastiche ed educative statali a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (comma 2);
  • si prevede (con l’introduzione della lettera bbis al comma 5 dell’articolo 17 del D.L. 98/2011) che dall’entrata in vigore del nuovo testo dell’articolo 55-septiesU. venga assegnato all’INPS un importo pari a 27,7 milioni di euro annui, ai fini dei controlli sulle assenze per malattia (comma 3, lettera a). A tal fine, gli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa del bilancio dello Stato sono corrispondentemente ridotti. Con apposito D.M., inoltre, possono essere apportate le occorrenti variazioni di bilancio. Allo stesso tempo, si precisa il vincolo di destinazione delle richiamate risorse, esclusivamente finalizzate al controllo sulle assenze per malattia. Spetta all’INPS predisporre una relazione annuale per consentire il monitoraggio sull’utilizzo delle risorse medesime;
  • si dispone che il rimborso forfetario delle spese sostenute per gli accertamenti medico-legali sul personale scolastico ed educativo (nella quota di pertinenza dell’apposito Fondo presso il MIUR) sia destinato all’INPS in luogo delle Regioni (comma 3, lettera b); allo stesso tempo non è più prevista la ripartizione del richiamato Fondo tra le regioni;
  • per quanto attiene all’obbligo, per regioni ed enti locali che non abbiano rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa, di recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie destinate alla stessa contrattazione, le somme indebitamente erogate (mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli), si stabilisce: che la quota di recupero non possa essere superiore al 25°% delle risorse destinale alla contrattazione integrativa, incrementando allo stesso tempo in maniera corrispondente le citate quote annuali (comma 7, lettera a) e che la facoltà di compensazione delle regioni ed enti locali che abbiano rispettato il patto di stabilità interno delle somme da recuperare anche con i risparmi derivanti da piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa e da economie effettivamente realizzate rispetto a quanto richiesto dalla normativa, possa essere utilizzata in misura non superiore all’80% dei risparmi effettivamente realizzati (comma 7, lettera b);
  • il divieto per le pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente (di cui al nuovo comma 5-bis dell’articolo 7 del T.U., introdotto dall’articolo 5 del provvedimento in esame) si applica a decorrere dal 1° gennaio 2018 (comma 8); ai suddetti contratti di collaborazione stipulati dalle pubbliche amministrazioni non viene applicata la disciplina del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (comma 9, lettera a); si segnala, al riguardo, che l’articolo 1, comma 8, del D.L. 244/2016 ha prorogato al 1° gennaio 2018 il termine di decorrenza del divieto per le pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di collaborazione le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente; tale disposizione è comunque abrogata dal successivo comma 9, lettera b;
  • in sede di prima applicazione delle disposizioni sull’organizzazione degli uffici e i fabbisogni di personale, di cui al nuovo testo dell’articolo 6 del T.U. (come modificato dall’articolo 4 del presente schema di decreto, vedi supra), sono fatte salve le specifiche procedure di reclutamento del personale dell’Amministrazione giudiziaria (di cui all’articolo 1, commi 2-bis e 2-quater, del D.L. 117/2016 e all’articolo 1, comma 372, della L. 232/2016) (comma 10).

Infine, i commi 4, 5 e 6 recano disposizioni di mero coordinamento legislativo.

II.13. – L’articolo 23 prevede una progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale contrattualizzato delle amministrazioni pubbliche, demandata alla contrattazione collettiva (per ogni Comparto o Area di contrattazione) e realizzata attraverso i fondi per la contrattazione integrativa, all’uopo incrementati nella loro componente variabile.

A tal fine, il comma 1 specifica che la contrattazione collettiva opera, tenendo conto delle risorse annuali destinate alla contrattazione integrativa, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione (distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale) delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione.

Nelle more di quanto in precedenza previsto (comma 2), al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi, e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (assicurando comunque l’invarianza della spesa), l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche (di cui all’articolo 1, comma 2, del T.U.), dal 1° gennaio 2017 non può superare il corrispondente importo determinato per il 2016. Sempre dal 1° gennaio 2017 viene contestualmente abrogato l’articolo 1, comma 236, della L. 208/2015.

Tale comma limita – nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 11 e 17 (concernenti il riordino della dirigenza pubblica e della disciplina del lavoro alle dipendenze delle P.A.) della L. 124/2015, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche – a decorrere dal 2016, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche precedentemente individuate. Tali risorse, in particolare, non possono superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 e, allo stesso tempo, sono automaticamente ridotte in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente.

Al successivo comma 3 si prevede una specifica facoltà per regioni ed enti locali (con esclusione degli enti del S.S.N.), a cui è consentito destinare apposite risorse alla componente variabile dei fondi per il salario accessorio (fermo restando comunque il limite massimo complessivo in precedenza individuato e nel rispetto della normativa contrattuale vigente) anche per l’attivazione di nuovi servizi o di processi di riorganizzazione ed il relativo mantenimento. La nuova determinazione delle risorse deve comunque avvenire nel rispetto dei vincoli di bilancio e di quelli relativi alla spesa di personale e coerentemente alla normativa contrattuale vigente per la stessa componente variabile.

Per le Regioni a statuto ordinario e le città metropolitane in possesso di specifici requisiti, è prevista la facoltà, in via sperimentale per il triennio 2018-2020, di incrementare, oltre il limite precedentemente individuato (risorse non superiori al corrispondente importo per il 2016) l’ammontare della componente variabile dei fondi per la contrattazione integrativa destinata al personale (anche di livello dirigenziale) in servizio presso i medesimi enti, in misura non superiore ad una determinata percentuale della componente stabile dei fondi medesimi definita con specifico D.P.C.M. (previo accordo in sede di Conferenza unificata), da emanare entro 90 giorni dalla entrata in vigore del provvedimento in esame (comma 4).

In particolare, il D.P.C.M. individua i requisiti che i richiamati enti devono rispettare ai fini della partecipazione alla richiamata sperimentazione, tenendo conto in particolare dei seguenti parametri:

  1. rapporto tra le spese di personale e le entrate correnti considerate al netto di quelle a destinazione vincolata, fermo restando l’obbligo di assicurare il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente al 2014 (ai sensi dell’articolo 1, comma 557-quater, della L. 296/2006);
  2. il rispetto del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali saldo (di cui all’articolo 1, comma 466, della L. 232/2016);
  3. il rispetto del termine di pagamento dei debiti di natura commerciale (60 giorni a decorrere dal 2015, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, del D.L. 66/2014);
  4. la dinamica del rapporto tra salario accessorio e retribuzione complessiva.

Nell’ambito della sperimentazione per i richiamati enti, con uno o più D.P.C.M. (previa acquisizione del parere in sede di Conferenza unificata) è disposto il graduale superamento degli attuali vincoli assunzionali, in favore di un meccanismo basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa per personale valutata anche in base ai criteri per la partecipazione alla sperimentazione, previa individuazione di specifici meccanismi che consentano l’effettiva assenza di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 5). Nell’ambito della sperimentazione, le procedure concorsuali finalizzate al reclutamento di personale in attuazione di quanto previsto dal comma in esame, sono delegate dai medesimi enti alla Commissione interministeriale RIPAM (la Commissione per l’attuazione del Progetto RIPAM è stata istituita con il decreto interministeriale 25 luglio 1994, ed è composta da rappresentanti del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro dell’interno. Compito della Commissione è di adottare tutti i provvedimenti necessari per mettere a concorso e garantire la successiva assunzione negli enti locali delle unità di personale da selezionare e formare con gli appositi corsi di reclutamento).

Sulla base degli esiti della sperimentazione, con apposito D.P.C.M. (acquisita l’intesa in sede di Conferenza unificata ) può essere disposta l’applicazione, in via permanente, delle precedenti disposizioni concernenti la sperimentazione, nonché l’eventuale estensione ad altre amministrazioni pubbliche, previa individuazione di specifici meccanismi che consentano l’effettiva assenza di nuovi o maggiori oneri carico della finanza pubblica (comma 6).

Infine, il comma 7 stabilisce che nel caso in cui vengano rilevati incrementi di spesa che compromettano gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, vengano adottate (con specifico D.P.C.M.) le necessarie misure correttive.

 

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