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IL PARERE DELLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO SULLO SCHEMA DI DECRETO CHE MODIFICA IL T.U. DELL’IMPIEGO PUBBLICO

SI RACCOMANDA CHE LA POSSIBILITÀ DI DEROGA ALLA LEGGE ATTRIBUITA ALLA CONTRATTAZIONE IN MATERIA DI ORGANIZZAZIONE NON POSSA PORTARE A ULTERIORE VISCHIOSITÀ DELLA MOBILITÀ INTERNA – IN TEMA DI LICENZIAMENTO SI RILEVA UN PROFILO DI ECCESSO DI DELEGA E SI RACCOMANDA L’ATTUAZIONE DELLA L. N. 92/2012

Testo del parere – frutto di non facili mediazioni in seno alla maggioranza – approvato dalla Commissione Lavoro del Senato il 5 aprile 2017, sullo schema di decreto predisposto dal ministro della Funzione pubblica per la modifica del T.U. dell’impiego pubblico, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 124/2015 – In argomento v. anche la mia relazione sullo stesso schema di decreto [1]       .
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OSSERVAZIONI DELLA 11ª COMMISSIONE PERMANENTE
(Lavoro, previdenza sociale)
(Estensore: senatore ICHINO)
sullo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni
al Testo Unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (A.G. n. 393)

 

L’undicesima Commissione permanente,

esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo,

premesso che il provvedimento in esame, emanato in attuazione delle deleghe conferite al Governo dalla legge n. 124 del 2015, reca una serie di modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo Unico sul pubblico impiego);

valutato che gli aspetti di maggiore criticità riguardano quelli relativi ai rapporti tra legge e contrattazione collettiva, al trasferimento dei dipendenti, al procedimento disciplinare, all’assorbimento del precariato, al recesso delle amministrazioni dal rapporto di lavoro,

esprime, per quanto di competenza, osservazioni favorevoli con i seguenti rilievi.

Con riferimento all’articolo 1, con cui si interviene sull’articolo 2 del Testo Unico del pubblico impiego (in combinato disposto con l’articolo 5, comma 2, e con l’articolo 40), prevedendo la possibilità per i contratti collettivi nazionali di derogare alle disposizioni recate da legge, regolamento o statuto in materia di mobilità, valutazione e progressioni economiche, si segnala che la novella consente da una parte di superare lo squilibrio in favore delle fonti normative derivante dal testo introdotto dalla legge n. 15 del 2009, ma dall’altra potrebbe anche produrre uno squilibrio contrario, determinando una sorta di regime di cogestione delle amministrazioni per quel che riguarda la materia della mobilità interna o fra amministrazioni. Rispetto al testo originario del decreto legislativo n. 165 del 2001, è stato cancellato il passaggio secondo il quale la deroga può avere luogo “salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”: sembra pertanto essere definita la totale esclusione della possibilità che le leggi e gli altri atti normativi possano dichiarare la inderogabilità, generale o parziale, di regole da esse dettate da parte degli accordi collettivi. Si suggerisce alla Commissione di merito di valutare la congruità di questo articolo con i principi di delega di cui alla legge n. 124 del 2015, e comunque di prevedere una disposizione che consenta alla legislazione futura l’eventuale fissazione di limiti alla contrattazione collettiva in funzione di salvaguardia delle prerogative dirigenziali in materia di valutazione e di mobilità.

In merito all’articolo 4, si fa rilevare che la procedura del trasferimento d’ufficio fra amministrazioni diverse per esigenze organizzative non è stata, di fatto, quasi mai applicata, nonostante i gravi squilibri esistenti tra gli organici delle diverse amministrazioni. Sarebbe pertanto opportuno integrare la disciplina contenuta nel TU, nel senso di rendere più effettivo l’obbligo di ciascuna amministrazione di rilevare annualmente, al tempo stesso, le eventuali eccedenze di organico e le eventuali carenze, ai fini dell’attivazione delle procedure di trasferimento e dei percorsi di formazione o riqualificazione necessari; e in ogni caso escludere che le eventuali integrazioni procedurali introdotte dalla contrattazione collettiva possano appesantire o rallentare il procedimento.

Sull’articolo 5, sarebbe necessario chiarire che la definizione del rapporto di collaborazione autonoma, risultante dal combinato disposto degli articoli 2222 del codice civile e 409 n. 3 del codice di procedura civile si applica anche ai contratti stipulati dalle amministrazioni pubbliche.

Con riferimento all’articolo 9, comma 1, lettera b), si segnala che il diritto di precedenza si applica al solo personale reclutato mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, mentre la relazione illustrativa riconosce tale diritto solo al personale delle categorie protette. Si suggerisce pertanto un chiarimento nel testo legislativo su questo punto.

Alla medesima lettera b), si dà facoltà alle amministrazioni di ricorrere a forme di lavoro accessorio retribuito mediante buoni-lavoro. Considerata la normativa sopravvenuta che abolisce la norma del decreto legislativo n. 81 del 2015 su tale materia, si suggerisce un coordinamento formale con il testo del decreto-legge n. 25 del 2017 (Disposizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio nonché per la modifica delle disposizioni sulla responsabilità solidale in materia di appalti). Sempre alla lettera b), sarebbe opportuno precisare che il personale utilizzato dalle amministrazioni in regime di somministrazione, al pari di quello utilizzato dalle imprese private, debba in ogni caso essere sottoposto agli stessi percorsi formativi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e di prevenzione della corruzione.

Inoltre, poiché le amministrazioni e gli enti locali possano procedere all’immissione in ruolo dei loro dipendenti o collaboratori precari, si suggerisce di prevedere che vengano offerti loro strumenti affidabili di aggiustamento degli organici in caso di sopravvenute difficoltà economiche od organizzative.

In materia di procedimento disciplinare, gli articoli da 12 a 17 dello schema di decreto in esame confermano l’orientamento già fatto nel decreto legislativo n. 150 del 2009: dettare una disciplina dettagliata del procedimento disciplinare, differenziandola da quanto previsto per la generalità dei rapporti di lavoro nell’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori, e sanzionare l’omesso esercizio del potere disciplinare da parte dei dirigenti responsabili. Sarebbe tuttavia necessario valutare se sia più funzionale regolare minuziosamente ogni aspetto che la dirigenza pubblica deve compiere su questo ambito, o non piuttosto attivare gli incentivi adeguati affinché la dirigenza stessa si riappropri di questa prerogativa e la eserciti, in funzione degli obiettivi di efficienza e produttività cui è vincolata, in modo analogo a quanto accade nelle strutture private funzionanti.

In merito alla disposizione contenuta nell’articolo 13, comma 1, lettera c), dove si prevede la convenzione non onerosa per la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, si fa osservare che l’affidamento di una funzione di consulenza e assistenza a un organismo consortile esterno comporta sempre (e non può, logicamente, non comportare) per l’amministrazione interessata l’onere di un corrispettivo per il servizio in tal modo decentrato, ovviamente compensato dal corrispondente risparmio di risorse interne all’amministrazione stessa. Pertanto, per salvaguardare le buone prassi di gestione consortile delle funzioni di gestione del personale della PA, si suggerisce alla Commissione di merito di sostituire la dicitura “convenzione non onerosa” (che vieta il pagamento di qualsiasi corrispettivo all’ente cui il servizio viene affidato) con un’espressione che consenta una gestione consortile congruamente remunerata, purché “senza maggiori oneri complessivi” per le amministrazioni interessate rispetto all’ipotesi della gestione in proprio della stessa funzione.

Qualche perplessità suscita il contenuto dell’articolo 15, che modifica l’articolo 55-quater  del Testo unico. La novella contenuta nella lettera fquater, del citato articolo 55-quater, prevede che si attivi il licenziamento per la “reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa che abbia determinato la sospensione dal servizio per un periodo superiore a un anno nel corso di un biennio”. Si fa presente che tale formulazione rischia di essere utilizzata allo scopo diametralmente opposto, per evitare o annullare il licenziamento in tutti i casi di violazioni gravi che non siano “reiterate” e che non abbiano già in precedenza dato luogo a sospensione di durata superiore a un anno nel corso di un biennio.

Inoltre si osserva che l’ipotesi di accertamento in flagranza non pare agevolmente riferibile, in concreto, a tutte le condotte per le quali la disposizione intende comminare il licenziamento a norma dell’articolo 55-quater, comma 1: nei casi di accertamento delle “falsità documentali o dichiarative” appare necessario, in ogni caso, lo svolgimento di una qualche attività istruttoria, così come per quelli di “ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per esigenze di servizio”. Si suggerisce pertanto di chiarire questo aspetto.

Si coglie altresì l’occasione per introdurre nel decreto una disposizione transitoria, a norma della quale i procedimenti disciplinari in corso alla data di entrata in vigore siano portati a termine secondo le procedure e il riparto di competenze vigenti alla data del loro avvio, ossia alla notifica della contestazione, risultando tuttavia applicato anche a tali procedimenti il comma 9-ter dell’articolo 55-bis del testo novellato; inoltre, sarebbe opportuno che, alle infrazioni disciplinari cui si riferiscono i procedimenti in corso, si applichino le sanzioni previste a tale data, se più favorevoli.

L’articolo 17, che modifica l’articolo 55-sexies del TU, contiene un rinvio erroneo all’articolo 55-quater, comma 3-sexies (comma inesistente), mentre dovrebbe intendersi all’articolo 55-quater, lettera f-ter.

Sull’articolo 20, che prevede un doppio canale per la stabilizzazione del personale che abbia maturato almeno un triennio di servizio in una amministrazione pubblica, e al comma 2 prevede in particolare il canale riservato a chi abbia collaborato con contratti di “lavoro flessibile”, si sottolinea l’opportunità che nel testo del decreto venga chiarito l’intendimento di ricomprendere in questa espressione anche i rapporti di “lavoro parasubordinato”, ovvero le collaborazioni autonome continuative in posizione di sostanziale dipendenza dall’amministrazione.

In riferimento allo stesso articolo 20, dove viene espressamente esclusa la possibilità che personale già regolarmente assunto con funzioni dirigenziali in forza di reiterati contratti a termine possa rientrare in questo processo di stabilizzazione, si osserva che, per evitare di determinare una irragionevole esclusione pregiudiziale del personale dirigenziale, sarebbe opportuno che le pubbliche amministrazioni possano procedere a inquadrare nei rispettivi ruoli dirigenziali il personale che abbia i seguenti requisiti:

In merito all’articolo 21, che stabilisce una nuova disciplina delle conseguenze sanzionatorie dei licenziamenti illegittimi per le amministrazioni, si fa osservare che la legge n. 124 del 2015 non reca contenuti specifici in tema di recesso unilaterale. Essa delega tuttavia il Governo all’emanazione di norme volte a sciogliere le antinomie, ovvero i nodi interpretativi e applicativi esistenti, che in questo caso devono intendersi come relativi alla legge n. 92 del 2012, la quale ha modificato l’apparato sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi anche in riferimento al settore pubblico. Si suggerisce alla Commissione di merito di valutare attentamente la congruità, rispetto al contenuto e ai principi della legge delega, di questo articolo del decreto in esame. Si invita altresì la Commissione di merito a valutare l’opportunità di fornire, viceversa, indicazioni circa le modalità dell’armonizzazione della nuova disciplina dettata dalla legge n. 92 del 2012 su questa materia, rispetto all’ordinamento generale dell’impiego pubblico, anche in riferimento all’entità del risarcimento.

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