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LE PRESIDENZIALI IN FRANCIA E IL RISCHIO LE PEN

LA POLITICA FRANCESE SI STA RISTRUTTURANDO SECONDO IL NUOVO DISCRIMINE FONDAMENTALE, PRO O CONTRO L’INTEGRAZIONE EUROPEA: LE ELEZIONI PRESIDENZIALI COSTITUISCONO LA VERBALIZZAZIONE UFFICIALE DI CIÒ CHE È ORMAI EVIDENTE DA TEMPO

Articolo di Alessandro Maran, vicepresidente del Gruppo dei senatori Pd, pubblicato  sul sito italiaincammino.it [1] il 20 aprile 2017 (dunque tre giorni prima della celebrazione del primo turno delle elezioni presidenziali francesi) – In argomento v. anche gli altri interventi raccolti nel portale Il nuovo spartiacque della politica mondiale [2]     .
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Una manifestazione a sostegno della candidatura di Emmanuel Macron

Una manifestazione a sostegno della candidatura di Emmanuel Macron

Quasi tutti i sistemi politici del nostro continente si stanno ridefinendo a partire dalla frattura sull’Europa. Sono anni che Pietro Ichino si affanna a ripeterlo [2]. Ora lo vedono anche i ciechi.

«Rispetto a questa frattura –  come ha scritto Sergio Fabbrini sabato scorso sul Sole 24 Ore [3]– destra e sinistra non sono distinguibili. Sia nell’una che nell’altra c’è chi vuole ritornare alle sovranità nazionali del passato e chi invece vuole difendere l’integrazione sovranazionale».

E se non si riconosce questo dato, non c’è modo di raccapezzarsi di fronte a quel che succede in Europa (e nel mondo) da un po’ di tempo a questa parte.

 La riorganizzazione del sistema politico francese

image1Infatti, la frattura sull’Europa (e, come dappertutto, lo scontro tra «Wall people» e «Web People», tra costruttori di muri e costruttori di legami, tra apertura e chiusura) sta, inevitabilmente, riorganizzando anche il sistema politico francese a tal punto che, a pochi giorni dal voto, sono quattro i candidati che possono qualificarsi al ballottaggio.

Nella sua ultima newsletter settimanale sulle presidenziali francesi, Francesco Maselli ha descritto una situazione «inedita e difficilmente prevedibile»: «Il sistema politico che ha retto il Paese dal 1958 ad oggi è completamente saltato.

Tra i quattro candidati che possono aspirare alla qualificazione al ballottaggio solo uno, François Fillon, è il leader di un partito tradizionale, che tra l’altro ha scalato da outsider; Marine Le Pen rappresenta il partito erede del governo collaborazionista di Vichy, quel Front national considerato fino a pochi anni fa una vergogna nazionale; Emmanuel Macron è un giovane funzionario di 39 anni, ex banchiere, che ha fondato un movimento politico un anno fa con l’esplicito proposito di andare oltre le divisioni tradizionali destra-sinistra; Jean-Luc Mélenchon è il candidato della sinistra radicale, un politico di lungo corso che ha lasciato il partito socialista dopo anni di cocenti e umilianti sconfitte ai congressi interni.

Forse non cambierà il sistema istituzionale con cui funziona la Francia, avremo ancora un Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale e un Parlamento eletto con un maggioritario a doppio turno, ma il sistema dei partiti che vedremo affermarsi dopo il 7 maggio sarà completamente diverso».

Fatto sta che, a pochi giorni dal voto, non esistono vincitori designati e la vittoria di Marine Le Pen non è da escludere. Roger Cohen ha scritto sul New York Times [4] di ritenerla «verosimile se non probabile». «Ritornando in Francia il mese scorso, alle luci di Parigi e alla malinconia della provincia, – racconta il giornalista – sono stato colpito da quanto il partito di Le Pen, la cui ideologia razzista una volta era un tabù, sia ormai parte del mainstream. Il modello prevalente, l’alternanza tra centrosinistra  e centrodestra, sembra defunto. I francesi sono stufi di presidenti socialisti e repubblicani sempre più indistinguibili».

Una manifestazione a sostegno della candidatura di Marine Le Pen

Una manifestazione a sostegno della candidatura di Marine Le Pen

Certo, Marine Le Pen dice di voler portare la Francia fuori dall’euro e restaurare il franco («L’uscita dall’Unione Europea potrebbe poi seguire. Il che – osserva Cohen – costituirebbe una rottura politica ed economica così violenta che persino la vittoria di Donald Trump ed il voto della Gran Bretagna per lasciare l’Unione impallidirebbero a confronto») ma la sua formula, che mescola sicurezza ed identità, sembra sinistramente efficace.

E, prosegue il columnist del quotidiano newyorkese, «la sua vittoria potrebbe avvenire all’incirca così. Si qualifica per il secondo turno con circa il 24% dei voti. Macron è il suo avversario con più o meno lo stesso punteggio. I sostenitori più di destra di Fillon migrano verso Le Pen. I supporter del candidato dell’estrema sinistra, Mélenchon, si rifiutano di votare per Macron. Non ne vogliono sapere del cosiddetto “voto utile” e ritengono che Macron, che va dicendo di essere un progressista, favorirà il capitalismo globale “neoliberale”. Anche alcuni sostenitori di Hamon si rifiuteranno di sostenere Macron. L’astensionismo cresce. Le Pen riesce a superare il 50% dei voti e a diventare presidente. Potrebbe succedere. Solo un pazzo, dopo Brexit e Trump, potrebbe escluderlo».

 Il cambiamento della Francia potrebbe favorire Le Pen

Specie se si considera che la Francia è molto cambiata. E l’inchiesta che la giornalista Anne Nivat ha condotto nella Francia “periferica” dove vive la maggioranza dei francesi (il libro “Dans quelle France on vit” [5], “In che Francia viviamo”, è pubblicato da Fayard), spiega bene com’è cambiato il paese.

Roger Cohen, non per caso, conclude: «I francesi vivono meglio di quanto siano disposti ad ammettere ma in uno stato di ansia crescente alimentato da insuccessi che non sono disposti ad affrontare. Questo è lo sfondo della possibile vittoria di Le Pen. Ed è una prospettiva che fa paura».

Ecco cosa c’è in ballo nel voto per l’Eliseo. E Macron, con un partito creato dal nulla e con un po’ di fortuna, è diventato l’unica alternativa agli anti-liberali, agli antiglobalisti e alla rincorsa al risentimento. Vedremo domenica se i francesi pensano davvero «que l’on peut être libéral, européen, atlantiste, progressiste et de gauche».

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