LA LUCE CHE RISCHIA DI SPEGNERSI

FUOCO AMICO SULLA LEGGE BRUNETTA: UN EMENDAMENTO DEL RELATORE DI MAGGIORANZA SU DI UN DISEGNO DI LEGGE IN DISCUSSIONE AL SENATO MIRA AD ABROGARE LA NORMA CHE IMPEDISCE DI OPPORRE LA PRIVACY A CHI CERCA NOTIZIE SUL FUNZIONAMENTO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Editoriale pubblicato sul Corriere della sera il 21 luglio 2009. Seguono: la replica del Sen. Filippo Saltamartini, pubblicata sullo stesso quotidiano il 25 luglio; una mia breve contro-replica; una lettera delle professoresse Elena Aga Rossi e Mariella Guercio, docenti presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, pubblicata sullo stesso quotidiano il 31 luglio.

Con l’introduzione del principio di “accessibilità totale” dei dati e informazioni circa il funzionamento delle amministrazioni, sul settore pubblico si è recentemente accesa una luce forte; tanto forte che alcuni la ritengono addirittura eccessiva. Ora c’è chi quella luce vorrebbe tornare a spegnerla. Penso che ai lettori del Corriere interessi conoscere questa vicenda in tempo utile per potere, una volta tanto, dire la loro, prima e non dopo che la decisione di tornare indietro venga presa.

Posso raccontare la vicenda dall’interno per averla vissuta di persona. Nel testo del disegno di legge che uscì, nel dicembre scorso, dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato era, sì, previsto l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di garantire la trasparenza della propria organizzazione e del proprio funzionamento; ma non si era riusciti a inserirvi una enunciazione piena ed esplicita del principio della “trasparenza totale”. Questa enunciazione vi è stata inserita solo in una seconda fase dell’iter parlamentare, con un emendamento ispirato al principio della full disclosure già da tempo in vigore in Svezia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Era toccato a me presentarlo al Senato nel corso della sessione plenaria, esplicitando la sua diretta derivazione dalle due leggi che con lo stesso nome ‑ Freedom of Information Act ‑ regolano la materia in questi ultimi due Paesi. Nonostante che l’emendamento provenisse dall’opposizione, e che in un primo tempo la Commissione lo avesse ritenuto “eccessivo”, in Aula il relatore di maggioranza sul disegno di legge, Carlo Vizzini, espresse parere favorevole e altrettanto fece in quell’occasione il ministro Renato Brunetta a nome del Governo: ciò di cui va reso merito a entrambi. Ne sono usciti i commi settimo, ottavo e nono dell’articolo 4 della legge n. 15/2009, in vigore dal marzo scorso, dove si stabilisce innanzitutto che “la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet”, di tutti i dati e le informazioni sull’organizzazione e l’andamento delle amministrazioni. Si stabilisce inoltre che “Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione non sono oggetto di protezione della riservatezza personale” (comma nono).

Per avere un’idea di che cosa questo può concretamente significare, si consideri che è stata proprio una disposizione di full disclosure come questa a consentire a una giornalista britannica di mettere le mani su documenti fino ad allora inaccessibili e di scatenare lo scandalo dei rimborsi-spese di parlamentari e funzionari, da cui il Governo di Gordon Brown ha rischiato di farsi travolgere nelle settimane scorse. Si può ben capire, dunque, che questa norma oggi susciti molte preoccupazioni in casa nostra; e che contro la nuova norma, come vi era da attendersi, si torni ad alzare la bandiera della tutela della privacy dei dipendenti pubblici.

Lo scopo della nuova norma è proprio di voltar pagina rispetto a un quindicennio durante il quale la protezione della privacy dei pubblici dipendenti è stata sistematicamente, quanto indebitamente, utilizzata per sottrarre al controllo dell’opinione pubblica informazioni di grande importanza circa l’andamento delle amministrazioni. L’idea è che non c’è nulla di più pubblico dello svolgimento di una funzione pubblica: tutto di essa deve dunque essere interamente conoscibile da chiunque vi abbia interesse. La linea di confine tra vita privata e svolgimento della prestazione resta pur sempre netta: per esempio, nessuno potrà pretendere di conoscere la natura della malattia che ha colpito l’impiegato o il funzionario; ma il fatto che la sua prestazione sia rimasta sospesa per malattia, per quante volte e per quanto tempo, certamente sì. E anche la sua retribuzione, le sue mansioni, le sue promozioni e le valutazioni del suo operato.

Ora, c’è chi torna a ritenere, invece, che tutto questo sia eccessivo: a meno di quattro mesi dall’entrata in vigore della nuova norma, il senatore Filippo Saltamartini, relatore di maggioranza su di un altro disegno di legge ‑ il n. 1167, attualmente all’esame del Senato ‑ ha presentato un emendamento che ne dispone la soppressione. L’approvazione di questo emendamento, resa probabile dalla qualifica del suo presentatore, avrebbe il significato inequivoco di una convalida, anzi rafforzamento del vecchio regime, nel quale il baluardo della privacy contribuiva egregiamente a garantire gli arcana imperii, l’inconoscibilità dell’organizzazione e del funzionamento delle amministrazioni pubbliche.

Bisogna sperare che ciò non avvenga. Ma se questo ha da essere l’esito, che lo sia, almeno questo, alla luce del sole, sotto gli occhi attenti dell’opinione pubblica.

 

LA REPLICA DEL SENATORE FILIPPO SALTAMARTINI: “LA TRASPARENZA E’ UN OBIETTIVO DEL GOVERNO E DELLA MAGGIORANZA”  (E UNA MIA BREVE RISPOSTA)

Il Senatore Pietro Ichino con il suo articolo “Se la trasparenza torna a rischio” – Corriere di martedì 21 luglio – informa i lettori sulla possibilità che a seguito di un mio emendamento, presentato nell’Atto Senato n. 1167 si possa far marcia indietro sul principio di totale trasparenza in merito all’organizzazione e al funzionamento della pubblica amministrazione e, nella specie, sull’azione dei dirigenti e sulla pubblicazione di notizie relative alle prestazioni effettuate al servizio della P.A.
Nella foga di rivendicare a sé il merito di aver introdotto nell’ordinamento italiano il principio di full disclosure già in vigore in altri ordinamenti (art. 4, comma 9, legge n. 15/2009), il senatore Ichino omette di informare che la norma così come approvata è priva di concreta applicazione. La disposizione, votata sulla base dell’emendamento Ichino accolto dal Governo, non chiarisce quale sia la categoria di informazioni relative alle prestazioni di pubblici agenti suscettibili di comunicazione; inoltre risulta collidere con l’Atto comunitario 95/46/CE.
La direttiva comunitaria non consente di escludere dalla sfera di protezione delle informazioni personali intere categorie di dati e di interessi (ex art.3 della direttiva) sicchè per evitare un’altra condanna da parte della Corte di giustizia U.E., ove la normativa non fosse modificata, occorre prevedere la selezione normativa dei dati stessi, così come si prevedeva, con regolamento governativo, nel mio emendamento.
Ed ancora, numerosi dubbi di costituzionalità insorgono sull’emendamento di Ichino accolto dal Governo, per violazione del canone uguaglianza-ragionevolezza, dell’art.1, comma 1, del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Sia anche aggiunto per inciso che l’intervento emendativo risulta pure sollecitato dal Garante sulla Privacy.
In sostanza, per rafforzare il principio di full discosure e la condizione della dirigenza pubblica occorre intervenire modificando la normativa vigente, non solo per coerenza costituzionale e comunitaria ma soprattutto per evitare azioni di propaganda come quella che il collega Ichino ha avviato con il suo
articolo sul Corriere della Sera.
Sen. Prof. Filippo Saltamartini
La disposizione contestata dal senatore Saltamartini chiarisce benissimo “quale sia la categoria di informazioni relative alle prestazioni di pubblici agenti suscettibili di comunicazione”: sono tutte quelle, appunto, inerenti allo svolgimento della prestazione lavorativa. Proprio tutte; e non c’è alcuna disposizione comunitaria – né alcuna disposizione costituzionale – che ne vieti la trasparenza totale. Restano fuori soltanto quelle relative alla natura di eventuali malattie o impedimenti personali, fermo restando che deve essere conoscibile il fatto oggettivo della sospensione della prestazione. Se c’è qualche altra informazione che ritieniamo di rendere non conoscibile, individuiamola con precisione per legge. Ma abrogare la norma, come propone il senatore Saltamartini (sia pure con  rinvio a un decreto ministeriale per l’individuazione delle notizie “che possono essere comunicate”), significherebbe tornare alla situazione precedente, nella quale l’opacità era la regola e la conoscibilità l’eccezione.   (p.i.)


L’INTERVENTO DELLE PROFESSORESSE ELENA AGA ROSSI E MARIELLA GUERCIO

Lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 31 luglio 2009 – Le autrici sono docenti della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, in Roma, impegnate specificamente in una ricerca sulla materia del diritto di accesso nelle amministrazioni pubbliche

L’intervento del senatore Pietro Ichino pubblicato sul Corriere del 21 luglio e la corrispondenza che ne è seguita hanno affrontano il tema del rapporto tra privacy e trasparenza, problema che sta diventando cruciale per il funzionamento della pubblica amministrazione.
La recente legge Brunetta ha giustamente insistito sulla trasparenza come “accessibilità totale” di tutte le informazioni riguardanti l’organizzazione e l’attività delle amministrazioni. D’altra parte la resistenza ad andare veramente in questa direzione, ben esemplificata dallo scambio tra Ichino e Saltamartino, fa emergere soprattutto un problema di fondo tuttora irrisolto: quello della natura dei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione nel nostro paese. E’ importante ricordare che finora la tutela della privacy è stata spesso utilizzata dalla pubblica amministrazione per mantenere il segreto sul proprio operato e che la normativa italiana garantisce molto parzialmente a differenza di quanto avviene negli altri paesi europei il diritto di accesso alla sua documentazione. Un confronto della nostra legge con quella in vigore negli altri paesi europei per quanto riguarda i diritti del cittadino mostra l’arretratezza dell’Italia dal punto di vista sia culturale sia legislativo. La nostra legge è infatti l’unica in Europa a subordinare la richiesta della documentazione a un interesse diretto del singolo cittadino e a escludere esplicitamente la possibilità di un suo utilizzo come mezzo di controllo generalizzato sulla pubblica amministrazione. In Europa e negli USA al contrario il diritto all’accesso è garantito a tutti, indipendentemente da ogni specifico interesse e diventa quindi un vero e proprio strumento di controllo dell’attività amministrativa e di partecipazione dei cittadini ai meccanismi decisionali. Quello che è esplicitamente negato dalla legge italiana, in altre parole, costituisce la ragion d’essere della disciplina in vigore in gran parte dei paesi occidentali. L’esperienza degli altri paesi, e in particolare quella della Gran Bretagna, sta mostrando tra le altre cose che una legge efficiente sul diritto di accesso ha effetti positivi anche sul funzionamento della pubblica amministrazione, non solo perché questa è costretta ad aumentare i propri comportamenti virtuosi, ma anche perché favorendo il tasso di fiducia dei cittadini permette all’amministrazione di operare al meglio.
Elena Aga Rossi
Mariella Guercio
Coordinatrici del progetto di ricerca sul diritto di accesso nella PA, presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione

 

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