CARLO MARIA MARTINI E IL LAVORO NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE

“Un primo luogo in cui esprimere la dignità della persona umana riguarda ovviamente il tema del lavoro, però nel contesto della globalizzazione”

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Un brano di Carlo Maria Martini (vescovo di Milano dal 1980 al 2002), con il mio commento, tra i  cento che verranno pubblicati nel novantesimo anniversario della sua nascita in un volume curato da Marco Vergottini per le Edizioni Dehoniane di Bologna – Sul tema della globalizzazione v. anche i documenti e interventi raccolti nel portale
Il nuovo spartiacque della politica mondiale     .
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Carlo Maria Martini

Carlo Maria Martini

“Un primo luogo in cui esprimere la dignità della persona umana riguarda ovviamente il tema del lavoro, però nel contesto della globalizzazione. Perché i problemi del lavoro sono oggi più complessi, più delicati, più difficili proprio a causa della globalizzazione dell’economia, dei mercati, della finanza. Occorre impegnarsi con uno sforzo anche di creatività intellettuale affinché tali processi, in qualche modo inevitabili, non producano fenomeni lesivi della dignità delle persone, del loro diritto al lavoro, della possibilità di lavoro, delle condizioni di lavoro ecc.”
(dal discorso di Carlo Maria Martini alla Scuola di formazione per l’impegno sociale e politico Capiago, 6 marzo 1999)

IL COMMENTO
I muri fra le nazioni, quando non si sono sbriciolati del tutto, sono sempre più bassi. Le persone, i beni, i servizi, le informazioni e le idee attraversano sempre più facilmente e rapidamente le linee un tempo da essi presidiate. Col risultato di contribuire a liberare dalla fame una grande parte dell’umanità, ad aumentare il valore del suo lavoro, più di quanto abbiano fatto negli ultimi tre secoli tutte le rivoluzioni politiche, i movimenti sindacali, gli ordinamenti mirati alla protezione dei diritti fondamentali dell’uomo. Questa grande trasformazione pacifica che ha segnato profondamente l’ultimo quarto di secolo, però, ha avuto anche i suoi “perdenti”. La classe operaia e impiegatizia della parte più ricca del mondo ha sofferto della nuova concorrenza dei lavoratori dei Paesi emergenti; l’aumento della mobilità di persone, beni e servizi ha destrutturato gli ordinamenti costruiti con fatica attraverso un secolo per proteggere il lavoro in questa parte più fortunata del mondo. Al punto che sono in molti, qui, a considerare la globalizzazione come un pericolo, un male da combattere.

Nasce così la diffidenza nei confronti dei grandi trattati di libero scambio transoceanici: l’idea che attentino alla nostra sicurezza, alla nostra salute, alla tutela dell’ambiente. Il fatto che la globalizzazione promuova la specializzazione del lavoro su scala internazionale viene visto come un attentato alla nostra cultura materiale. Il fatto che essa favorisca la crescita di imprese multinazionali operanti contemporaneamente in varie parti del mondo è visto come un attentato alle nostre istituzioni democratiche. Certo, in qualche misura l’attentato alla nostra cultura materiale c’è, perché la specializzazione del lavoro su scala internazionale aumenta, sì, la produttività del lavoro e dunque la possibilità che esso sia meglio retribuito, ma spazza anche via una parte dei vecchi lavori meno produttivi, e con essi vecchie abitudini, vecchie comunità di campanile (questo in parte spiega anche la tragica rivolta contro la globalizzazione di una parte fondamentalista del mondo islamico). In qualche misura c’è anche l’“attentato alle nostre istituzioni democratiche”, poiché ogni nuovo ordinamento internazionale ha bisogno di una giurisdizione sovranazionale per la propria applicazione e porta con sé, per definizione, una limitazione della sovranità delle nazioni che gli danno vita o vi aderiscono. Ma nel lavorio degli uomini di buona volontà che stanno costruendo questi nuovi ordinamenti, così come in quello delle moltitudini sempre più numerose di persone che – talvolta anche con paura o disagio – si confrontano ogni giorno con i pericoli e i miracoli della globalizzazione, sta nascendo un mondo nuovo e migliore: dove passano le persone, le idee e le merci non passano gli eserciti.

Ecco, mi sembra che Carlo Maria Martini ci inviti a guardare in questo modo al futuro del lavoro nel mondo globalizzato. Occorre – ci ammonisce – impegnarsi con uno sforzo anche di creatività intellettuale per limitare il più possibile i danni che la globalizzazione può causare ad alcune categorie di persone; prevenire quei danni e, dove non è possibile evitarli, sostenere e indennizzare integralmente chi li subisce. Ma senza mai perdere di vista la valenza positiva di questo grande processo di osmosi tra nazioni e tra continenti, di aumento della conoscenza e della comunicazione tra popoli che fino a poco tempo fa erano tra loro quasi del tutto alieni, reciprocamente indifferenti, incapaci di cooperare a un bene comune, di lavorare gli uni per gli altri e con gli altri.     (p.i.)

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