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ARRIVA IN AULA IL DDL SUL WHISTLEBLOWING

Il provvedimento chiede ad aziende e amministrazionni di istituire un organo-filtro capace di raccogliere attraverso un canale riservato le segnalazioni di possibili malversazioni e di distinguerle da delazioni diffamatorie; e definisce meglio i confini del segreto professioale, d’ufficio e aziendale

A) Estratto del resoconto stenografico della seduta pomeridiana dell’11 ottobre 2017: interventi dei senatori Malan e Ichino sulla pregiudiziale di incostituzionalità del disegno di legge n. 2208/2230-A, Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato

B) Intervento svolto in Senato, nella seduta antimeridiana del 12 ottobre 2017, dal sen. Ichino in sede di discussione generale dello stesso disegno di legge – In argomento v. anche la relazione alla Commissione Lavoro del Senato [1] sullo stesso disegno di legge       .
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A) SULLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE

[…]

MALAN [2] (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Il senatore Lucio Malan

Il senatore Lucio Malan (in piedi)

MALAN (FI-PdL XVII). Signor Presidente, presento una questione pregiudiziale sul provvedimento in esame, premettendo che noi riteniamo che la corruzione e la violazione della legge nell’ambito della pubblica amministrazione a danno dell’Erario pubblico siano reati gravi da perseguire con efficacia e determinazione. Tuttavia, in nome della lotta alla corruzione o dei reati nell’ambito della pubblica amministrazione, non si possono introdurre norme contrarie al buon senso e alla nostra Costituzione.

La nostra Costituzione prevede che l’iniziativa economica sia libera, salvo il fatto che non possa essere in contrasto con l’interesse pubblico. Con le norme approvate dall’altro ramo del Parlamento – e meno male che l’altra Camera non sia l’unico ramo del Parlamento, come lo sarebbe stato se fosse passato il referendum dello scorso 4 dicembre – è sufficiente una segnalazione, ad esempio, all’Autorità nazionale anticorruzione per garantire il posto, per un tempo indeterminato, a chiunque abbia rapporti economici con le pubbliche amministrazioni. Poiché il provvedimento ha il nobile proposito di proteggere coloro che forniscono elementi utili a individuare irregolarità nell’ambito della pubblica amministrazione e da eventuali ritorsioni coloro che mettono in atto dalle segnalazioni, si prevede che tali persone non possano essere in alcun modo rimosse, tanto meno licenziate o essere addirittura oggetto di misure organizzative aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinate dalla segnalazione. Tuttavia, da nessuna parte è precisato quale sia l’ambito di tale tutela. In realtà, se una persona segnala irregolarità del suo dirigente, e quest’ultimo lo trasferisce o gli dà una mansione non consona, già oggi sono previste delle tutele. (Brusio).

PRESIDENTE. Colleghi, per favore abbassate il tono della voce.

MALAN (FI-PdL XVII). La ringrazio, signor Presidente.

Si scrive che, in ogni caso, qualunque sia l’ambito nel quale una persona fa una denuncia, questa non possa subire alcun tipo di provvedimento. Inoltre, non si precisa se debba trattarsi di un provvedimento individuale e, quindi, può trattarsi anche di un provvedimento collettivo. Supponiamo che nell’ambito della riorganizzazione degli uffici – lo prevedono anche le norme sulla riorganizzazione della pubblica amministrazione approvata in questa legislatura – qualcuno si trovi in un ufficio che venga accorpato a un altro e, dunque, verosimilmente venga spostato anche dal punto di vista geografico con evidente disagio. Una persona che ha il lavoro vicino a casa non è contento, di essere spostato, in altro luogo. In applicazione di questo provvedimento, è sufficiente che un qualsiasi lavoratore facente parte di tale ufficio faccia una segnalazione anche vaga – può essere del tipo: «Ho sentito un mio dirigente accennare a rapporti con un certo imprenditore, che ha rapporti, a sua volta, con la pubblica amministrazione e sospetto che quel tal dirigente potrebbe avere instaurato un rapporto di corruttela o concussione con questo imprenditore» – per salvarsi e salvare – si suppone – l’intero ufficio dall’accorpamento e da qualunque disagio. Noi auspichiamo che non ci siano disagi per alcun lavoratore e, in particolare, che non ce ne siano per uno della pubblica amministrazione in quanto dipende direttamente dello Stato. Ma possiamo organizzare gli uffici in questo modo? Possiamo dire – come è scritto nel testo – che la medesima disciplina si applica anche ai collaboratori e ai consulenti con qualsivoglia tipologia di contratto e incarico, nonché ai lavoratori e collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni e servizi che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica? Può accadere che una persona – per esempio – di un’impresa di pulizie, assunta temporaneamente da un’azienda che lavora per una pubblica amministrazione, faccio una segnalazione, magari generica, di un possibile reato contro la pubblica amministrazione di una qualsivoglia amministrazione pubblica, che può anche non essere quella presso la quale lavora. Non si capisce neppure come si possa applicare. Vuol dire che questo lavoratore deve essere stabilizzato fintantoché il giudice non stabilirà l’infondatezza della sua segnalazione? Qui abbiamo veramente una grave limitazione della libertà d’impresa. Abbiamo uno stravolgimento delle regole.

Fortunatamente, perché l’ha deciso saggiamente il popolo italiano, c’è ancora il bicameralismo; usiamo per bene questa opportunità cambiando, come minimo, a fondo questo provvedimento. Purtroppo vedo che in Commissione i cambiamenti sono stati molto pochi e francamente – a mio parere – non decisivi, nonostante la buona volontà del relatore e dei componenti della Commissione competente. Ecco perché proponiamo di non procedere con l’esame del provvedimento, la cui efficacia – temo – si manifesta in particolare nel settore privato. Si corre il rischio che non ci siano più episodi di corruzione nel settore privato, perché esso trasferirà tutte le attività altrove, in altri Paesi. È vero che ci sono Paesi con norme il cui titolo somiglia a quelle in esame, ma in essi i provvedimenti del giudice vengono emanati spesso in pochi giorni. Negli Stati Uniti d’America, Paese già citato, se uno fa una segnalazione di siffatto tipo che si dimostra infondata, automaticamente ne subisce le conseguenze in modo pesante e le tutele per i lavoratori in generale sono assai più scarse. Pertanto, perde il lavoro. È remotissima la possibilità di segnalazioni infondate o strumentali. Invece, abbiamo una sorta di stabilizzazione. Mentre con i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, introdotti dal jobs act, in pratica non c’è più una forte tutela contro il licenziamento, nel provvedimento in esame c’è una tutela: basta fare un’accusa, anche generica, contro la propria amministrazione. Questo, per un verso, è ingiusto e, per un altro, rischia di determinare una paralisi degli uffici pubblici, della cui eccessiva efficienza mi pare nessuno si sia lamentato, essendo molti lodevolmente efficienti. Se però ogni passo può essere soggetto a delazione o calunnia strumentate a stabilizzare il proprio posto di lavoro, addirittura di un collaboratore temporaneo di una ditta esterna, non ci sarà alcun dirigente che prenderà decisioni. Se i dirigenti pubblici non prenderanno decisioni, non verranno date autorizzazioni per nuove attività industriali, commerciali e imprenditoriali o non potranno avere luogo nuovi investimenti sia dello Stato che da parte di privati. Altro che tutela dei lavoratori.

Rischiamo di far sparire centinaia di migliaia di posti di lavoro in nome di un principio di pangiustizialismo che, invece, dovrebbe orientarsi su un aspetto molto semplice: quando c’è il reato, deve essere punito e chi lo segnala deve essere tutelato. Questa dovrebbe essere la norma, molto semplice, che in grandissima parte già esiste; qualcosa probabilmente poteva essere aggiunto attraverso un provvedimento specifico, ma non una norma di siffatto tipo, che rischia di paralizzare l’attività sia della pubblica amministrazione che delle aziende private che per essa lavorano.

PRESIDENTE [3]. Ricordo che, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, nella discussione sulla questione pregiudiziale può prendere la parola non più di un rappresentante per Gruppo, per non più di dieci minuti.

ICHINO [4] (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pietro Ichino 4ICHINO (PD). Signor Presidente, vorrei far presente al collega Malan che non è vero il presupposto del suo intervento. La norma dice che sono vietati gli atti di ritorsione o discriminatori motivati direttamente o indirettamente dalla segnalazione. Questa non è altro che la specificazione di un principio generale del nostro ordinamento, contenuto già nell’articolo 15 dello statuto dei lavoratori, nella legge n. 121 del 1991 e, ancora, nelle leggi di recepimento delle direttive europee che hanno imposto una serie di norme antidiscriminatorie, che vietano qualsiasi provvedimento che sia adottato per rappresaglia contro un comportamento lecito del dipendente o del collaboratore (perché il principio di non discriminazione non è limitato all’ambito del diritto del lavoro subordinato).

Dunque la norma che il collega Malan denuncia non è altro che una specificazione, in riferimento a questa materia, di un principio che già esiste nel nostro ordinamento e che già potrebbe applicarsi nel caso specifico anche se questa disposizione non venisse introdotta da questo disegno di legge.

Per altro verso, invito i colleghi a considerare la situazione di grave imbarazzo in cui si trova il dipendente, di un’amministrazione pubblica o di un’impresa privata, che, per ragione dello svolgimento dei propri compiti, venga a conoscenza di una qualche notizia che potrebbe essere la punta dell’iceberg di una pratica illecita, di una malversazione, di un episodio di corruzione, ma potrebbe anche non esserlo. Il lavoratore, il dipendente, l’impiegato oggi non è in grado di procedere in alcun modo. Infatti, se per ipotesi la notizia fosse coperta da segreto aziendale, d’ufficio o professionale (articolo 622 del codice penale) e si rivelasse, poi, non corrispondente a un episodio di malversazione, indipendentemente dalla sua buona o cattiva fede, il dipendente potrebbe essere in futuro perseguito per violazione, appunto, dell’obbligo di segreto.

Il disegno di legge offre al dipendente che si trovi in questa scomoda e difficile situazione lo strumento appropriato, cioè il canale riservato attraverso cui comunicare la notizia, senza che la rivelazione possa provocare danno al soggetto attivo dell’obbligo di segreto professionale, aziendale o d’ufficio, a un organo che fungerà da filtro e saprà distinguere ciò che merita di essere approfondito e ciò che invece non ha rilievo; e chi avrà comunicato la notizia sarà protetto nella sua identità, nel senso che la fonte della notizia verrà tenuta segreta, ma non per questo godrà di un trattamento privilegiato nel rapporto di lavoro.

Se, poi, ci fossero discriminazioni o rappresaglie, cioè ritorsioni per avere egli utilizzato uno strumento previsto dalla normativa proprio per questo fine, il dipendente sarebbe protetto contro tali atti discriminatori. In questo vedo soltanto il perfezionamento di una disciplina generale del segreto professionale, aziendale o d’ufficio, che oggi, su questo tema, lascia una zona di incertezza, una zona grigia, nella quale troppo spesso l’indeterminatezza della regola di comportamento favorisce un silenzio che nasce da una malintesa prudenza, dalla paura di possibili conseguenze.

Il disegno di legge mira a favorire il comportamento corretto del cittadino, del dipendente, dell’impiegato pubblico che vuole fare la propria parte anche senza sapere fino in fondo quali sono le conseguenze della sua rivelazione, ma con la preoccupazione – per questo è necessario il filtro di cui stiamo discutendo – di non recare danno laddove la notizia possa portare un danno ingiusto a qualcuno. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

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B) INTERVENTO NELLA DISCUSSIONE GENERALE

[…]

PRESIDENTE [3]. Ha chiesto la parola il senatore Ichino. Ne ha facoltà.

ICHINO [4] (Gruppo PD) – Signor Presidente, colleghi – Credo che i senatori Buemi, Sacconi, Mazzoni, Compagna, intervenuti ieri e oggi, possano farmi credito di una posizione sempre attenta alle ragioni del garantismo liberale, lontana da ogni pulsione giustizialista. Mi faccio forte di questo credito per chiedere loro di considerare, con attenzione maggiore di quanta ne appare dai loro interventi al contenuto effettivo di questo disegno di legge.

Mi sembra, del resto, che il dibattito di ieri e di questa mattina abbia fatto registrare troppa superficialità da entrambe le parti: sia da parte di chi ha voluto presentare questo disegno di legge come una sorta di incitamento istituzionale alla delazione, una attentato alla libertà d’impresa, sia da parte di chi lo ha presentato come una sorta di panacea capace di ripulire il nostro Paese da ogni forma di corruzione. Non è né l’una cosa, né l’altra.

Al senatore Malan, che ieri ha parlato di attentato alla libertà di impresa faccio osservare che, al contrario, l’articolo 2 del disegno di legge è posto proprio a protezione dell’impresa costituita in forma societaria, contro il rischio delle pesanti sanzioni amministrative previste dal d.lgs. n. 231/2001, conseguenti a episodi di corruzione di cui siano responsabili suoi dirigenti o impiegati. Dice infatti la norma: se doterai la tua struttura aziendale della strumentazione qui indicata per prevenire e contrastare le malversazioni, cioè di almeno un organo-filtro capace di raccogliere e vagliare le segnalazioni di irregolarità provenienti attraverso il canale protetto qui indicato, tu società non sarai tenuta responsabile sul piano amministrativo per i reati eventualmente commessi dai tuoi dipendenti. Una misura, dunque, a tutela dell’impresa sana, corretta.

In che cosa consiste questo organo-filtro che il disegno di legge prevede? Si tratta di uno strumento che noi riprendiamo dagli ordinamenti di Paesi che sono altrettante culle dello Stato di diritto e delle libertà individuali: il Regno Unito, gli Stati Uniti d’America. Altro che l’attentato alla libertà, il ritorno allo Stato di polizia di cui hanno parlato ieri i senatori Sacconi, Compagna e Mazzoni. Uno strumento che è stato utilmente attivato anche per EXPO 2015 a Milano, senza dar luogo ad alcuna deriva poliziesca, né ad alcun eccesso delatorio, e invece contribuendo efficacemente a prevenire le malversazioni.

Per capire di che cosa si tratta, invito il collega Sacconi a mettersi nei panni del dipendente di un’impresa, o di una amministrazione, che per ragione dello svolgimento del suo lavoro è venuto a conoscenza di qualche cosa che gli sembra pericolosamente irregolare: per esempio la violazione di una procedura aziendale da parte dell’Ufficio acquisti. Può essere che si sia trattato soltanto di una irregolarità isolata, senza dolo e senza danno, oppure che dietro di essa si nasconda una malversazione grave. Che cosa può fare il cittadino di buona volontà? Presentare una denuncia all’autorità giudiziaria, se poi risulta che non c’è un reato, potrebbe configurare una mancanza anche grave nei confronti dell’impresa datrice di lavoro, persino un reato di violazione di segreto professionale o aziendale. Parlarne con un dirigente dell’impresa? Ma quale? E se poi quello fosse colluso o compiacente con il malversatore? E poi, come fare per non mettersi in cattiva luce come ficcanaso importuno?

La buona pratica che la nuova norma indica alle imprese consiste innanzitutto nel dotare la propria struttura di un organo deputato a ricevere qualsiasi segnala­zione di questo genere, vagliarne la fondatezza e le implicazioni, archiviarla se la si ritiene non significativa, dare corso alla necessaria indagine interna se invece si ravvisa un pericolo di malversazione. La buona pratica consiste inoltre nell’attivare almeno un canale di comunicazione riservata del dipendente o collaboratore, o anche soggetto terzo, che gli consenta di compiere la segnalazione con la certezza che essa sarà ricevuta da chi è in grado di valutarne il peso e garantisce di farne solo buon uso. Nessun “regolamento di conti”, dunque, collega Buemi. E nessun anonimato, collega Fucksia: questa buona pratica serve proprio per eliminare ogni possibile ragione per la lettera anonima, proteggendo il nome di chi, assumendosi le proprie responsabilità, collabora a prevenire o scoprire la malversazione. Al collega Malan, per altro verso, torno a rispondere, come ho già fatto ieri, che la tutela contro le discriminazioni e le rappresaglie predisposta dal disegno di legge non è altro che una specificazione della disciplina antidiscriminatoria generale, già oggi vigente: il nocciolo di novità contenuto nel disegno di legge non sta qui, ma nell’istituzione dell’organo-filtro e del canale di comunicazione protetto.

In assenza di questo organo e di questo canale di comunicazione, che cosa potrebbe e che cosa dovrebbe fare la persona in questione? Sarà corretto comunicare la notizia a un dirigente con cui c’è maggiore dimestichezza, o invece a terzi? E a quali terzi? In quest’ultimo caso, non c’è il rischio di incorrere nel reato di diffamazione o calunnia, o di violazione del segreto professionale o d’ufficio? E ancora: qual è il limite delle informazioni aziendali riservate che si possono rivelare? E se poi le ipotesi tratte dalle informazioni comunicate risultano infondate, o le informazioni stesse irrilevanti? Ci sarà il rischio di conseguenze negative per chi comunica le informazioni in buona fede, o addirittura di sanzioni penali o disciplinari che potrebbero avere un fondamento, appunto, negli obblighi di segreto professionale, aziendale o d’ufficio?

Oggi il nostro ordinamento non indica con chiarezza che cosa debba fare chi si trovi in questa difficile e scomoda situazione. Con la conseguenza che ne risulta incentivato il silenzio dettato da una malintesa prudenza, anche quando l’intenzione della persona in questione non sarebbe l’omertà.

Per capire meglio la questione, esaminiamola più da vicino. Il primo comma dell’articolo 622 del Codice penale stabilisce che

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa […] è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la re-clusione fino a un anno o con la multa da euro 50 a euro 516.

È molto importante mettere a fuoco lo snodo cruciale di questa disposizione: quello della giusta causa di rivelazione, che si applica non soltanto al segreto professionale, ma a qualsiasi altro obbligo di segreto (in particolare al segreto aziendale di cui all’art. 2105 c.c., cui sono tenuti tutti i dipendenti di azienda privata, e al segreto d’ufficio di cui all’art. 326 c.p., cui sono tenuti tutti i dipendenti pubblici). Si tratta, in sostanza, di un principio di bilanciamento tra gli interessi contrapposti: a) del titolare del diritto al segreto – nel nostro caso l’impresa datrice di lavoro o l’amministrazione –, b) del soggetto passivo dell’obbligo, e c) della collettività. Per esempio: la necessità di evitare danni alle persone dei consumatori dei beni venduti o degli utenti dei servizi forniti dall’azienda costituisce certamente giusta causa di rivelazione di un segreto aziendale. Ma può dirsi altrettanto per il sospetto di una malversazione qualsiasi da cui non derivi danno a persone terze?

Il bilanciamento tra gli interessi in gioco implica anche una restrizione circa il modo in cui la rivelazione giustificata della notizia segreta può avvenire: per esempio, è diverso rivelare la notizia riservata con una intervista televisiva, oppure farlo in modo riservato e soltanto alla persona competente per occuparsene. Ma qual è la persona competente?

Il problema è che questo delicato bilanciamento di interessi contrapposti è stato fin qui enunciato soltanto come principio generale, ma non specificato in regole che consentano di rispondere agli interrogativi ai quali accennavo all’inizio: “Che cosa precisamente posso rivelare? A chi? Con quali modalità che evitino un sacrificio eccessivo dell’interesse del titolare del diritto al segreto? Con quali modalità che evitino a me il rischio di conseguenze negative?”

Il disegno di legge al nostro esame, attingendo alle esperienze più avanzate disponibili nel panorama internazionale, si propone di incominciare a colmare questa zona di indeterminatezza, dando alcune prime risposte a questi interrogativi. Risposte che non sono altro, se non specificazioni del principio della giusta causa di rivelazione del segreto; ma non per questo esse sono meno necessarie.

Il disegno di legge non mira soltanto a proteggere coloro che segnalano o denunciano reati o irregolarità commessi all’interno di amministrazioni o aziende dalle possibili rappresaglie e ritorsioni da parte di datori di lavoro e committenti: esso mira anche a modificare, o quanto meno precisare in modo incisivo, il contenuto degli obblighi del segreto di ufficio, del segreto professionale e del segreto aziendale, che su lavoratori dipendenti e collaboratori gravano, nei confronti dei loro datori di lavoro o committenti, pubblici o privati, in forza rispettivamente degli articoli 326 e 622 del Codice penale, e dell’articolo 2105 del Codice civile, specificando il modo corretto in cui le notizie riservate concernenti possibili irregolarità possono e devono essere comunicate a chi di dovere: non mediante articoli di giornale o interviste televisive scandalistiche, ma attraverso il canale appositamente predisposto e all’organo-filtro aziendale deputato a riceverle.

Vengono dunque debitamente protetti dalle nuove norme, al tempo stesso:

– l’interesse pubblico (ma anche della stessa impresa titolare del diritto al segreto) alla conoscenza tempestiva dei fenomeni di malversazione o corruzione, nonché dei comportamenti scorretti che possono anche soltanto favorirli;
– l’interesse pubblico e dell’impresa a che l’informazione, quale che ne sia il contenuto, abbia per destinatario soltanto l’organo amministrativo o aziendale che può farne buon uso e alla non circolazione ulteriore dell’informazione stessa;

– l’interesse pubblico e dell’impresa al discernimento tra informazioni veritiere e false, in modo che solo alle prime venga dato immediatamente il peso dovuto e solo queste possano produrre delle conseguenze sul piano della governance dell’amministrazione o dell’azienda;

– ma anche l’interesse della persona che ha conosciuto l’informazione potenzialmente rilevante a poterla comunicare

– infine, ma questo è soltanto l’ultimo effetto della nuova norma, l’interesse della persona – che ha comunicato all’organo-filtro attraverso il canale appropriato – a essere protetta contro ogni possibile ritorsione; quindi anche il suo interesse a non essere conosciuta come fonte dell’informazione se non da parte dell’organo amministrativo o aziendale che può farne buon uso.

Una seconda questione riguarda l’estensione soggettiva del campo di applicazione delle nuove norme anche ai collaboratori autonomi. Questa estensione, che appare pienamente giustificata in linea generale, alla luce della ratio generale del disegno di legge, è invece probabilmente eccessiva in riferimento al segreto professionale gravante sull’avvocato e sul commercialista. Appare infatti necessario – anche in applicazione del principio del diritto alla difesa, di cui all’articolo 24 Cost. – tutelare l’affidamento del soggetto, pubblico o privato che sia, sul doveroso riserbo del professionista cui venga affidata la consulenza e difesa giudiziale sulle materie civili, amministrative o tributarie di interesse dell’ente medesimo. Questo punto credo sarà oggetto di un emendamento aggiuntivo del Relatore.

In conclusione, questo disegno di legge non è certo la panacea contro la corruzione; ma non è neanche la caricatura che ne hanno voluto fare alcuni colleghi, i quali l’hanno letto – mi sembra – davvero in modo troppo superficiale. Questo disegno di legge ha invece il merito di chiarire alcune zone grigie della disciplina del segreto professionale, d’ufficio e aziendale, e soprattutto di aiutare i dipendenti seri a dare una mano contro le malversazioni, aiutando nel contempo le imprese e le amministrazioni a distinguere l’informazione seria dalla delazione. Di poliziesco non ci vedo proprio nulla. Mentre ci vedo un passo avanti nella direzione dell’allineamento del nostro Paese con quelli all’avanguardia nel coltivare le civic attitudes, il senso civico diffuso e radicato. Ne abbiamo bisogno! (Applausi del Gruppo Pd)

 

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