CHI HA PAURA DEL SALARIO MINIMO?

I pro e i contra di questa misura di politica del lavoro adottata dalla maggior parte dei Paesi sviluppati, ma non ancora in Italia – Le questioni della differenziazione regionale in relazione al potere d’acquisto della moneta e della riduzione per i giovani new entrant

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Articolo di Andrea Garnero pubblicato sul sito
lavoce.info il  16 gennaio 2018 – In argomento v. anche le schede comparatistiche dell’OECD e di Eurostat pubblicate su questo sito la settimana precedente      .
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Salario minimo in campagna elettorale

Il salario minimo è entrato con forza nella campagna elettorale. Fin dagli inizi (si veda Boeri e Perotti nel 2004 e Boeri e Garibaldi nel 2006, per esempio), lavoce.info si è occupata del tema. Qui non entriamo nel merito della proposta di questi giorni, ma ci limitiamo ad analizzare alcune delle obiezioni sollevate.

Il salario minimo è alternativo alla contrattazione collettiva?

Non per forza. Dove la contrattazione collettiva è debole, un salario minimo è necessario. Ma dove la contrattazione è ancora forte, un salario minimo può essere un utile complemento. In Belgio, Francia, Olanda, Spagna, per esempio, convivono alta copertura dei contratti collettivi e salario minimo (elevato in Belgio e Francia, moderato in Olanda, basso in Spagna, vedi figura 1). Se è elevato potrebbe, però, limitare in parte lo spazio di negoziazione nei contratti.

Tabella 1 – Copertura dei contratti collettivi e salario minimo legale nei paesi dell’Unione europea

Fonte: Elaborazione su dati Ocse e Eurofound.

Un salario minimo a 9/10 euro è troppo alto?

La ricerca economica discute da decenni su quali siano gli effetti di un salario minimo: se sia un freno all’occupazione, se invece favorisca l’investimento in formazione e tecnologia e quindi la produttività, o se invece venga trasferito sui prezzi dei prodotti e pagato dal consumatore.

Gli effetti dipendono innanzitutto dal livello a cui è fissato e a un livello moderato quelli negativi sono limitati. I salari minimi nei paesi Ocse variano tra il 40 e il 60 per cento del salario mediano. In Italia, vorrebbe dire tra i 5 e i 7 euro all’ora. Il livello sarebbe anche compatibile con i minimi tabellari fissati dalla contrattazione collettiva, che oggi partono dai 7 euro circa per i contratti principali. Invece, 9-10 euro all’ora significherebbero un salario minimo al 75-80 per cento del mediano, ben al di sopra degli altri paesi. Comunque, in pochissimi paesi la scelta del livello è interamente politica, più spesso è nelle mani di una apposita commissione oppure deriva da consultazioni con le parti sociali.

Figura 1 – Salario minimo in percentuale del salario mediano nei paesi Ocse

Fonte: Dati Ocse. Per l’Italia valore stimato per un minimo a 9 euro/ora.

Il salario minimo per legge va bene, ma solo per i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva?

Questa era già la formulazione nella legge delega del Jobs act e in questi giorni il concetto è stato ribadito da molti sindacalisti. Però, è una posizione ambigua. Attraverso l’articolo 36 della Costituzione, tutti i lavoratori dipendenti in Italia sono formalmente coperti da un contratto direttamente o indirettamente come riferimento per il giudice. Se, invece, con questa critica si intende la necessità di fissarlo sotto ai livelli attuali dei minimi tabellari allora andrebbe precisato che si parla del valore monetario e non del campo di applicazione.

Un salario minimo troppo basso inciterebbe le imprese a uscire dai contratti collettivi e pagare di meno?

È un altro rischio paventato dai sindacati: se il salario minimo fosse fissato intorno ai 5-6 euro, le imprese potrebbero uscire dai contratti nazionali, che ne prevedono di più alti, e pagare il minimo. In Germania, l’introduzione della misura, nel 2015, non ha portato a uno schiacciamento dei salari al ribasso e il declino della copertura dei contratti collettivi non è stata una conseguenza, ma una causa del salario minimo, che serve a contenere la perdita di potere negoziale nei settori in cui i sindacati sono deboli o assenti. Invece, dove i sindacati sono forti i contratti collettivi continuano a essere firmati con livelli di salario più elevati (altrimenti sciopero!). In Italia una riflessione sull’efficacia dei contratti collettivi (e dell’articolo 39 della Costituzione) e sulla copertura effettiva dei contratti, a prescindere dal dibattito sul salario minimo, sarebbe comunque necessaria perché la proliferazione di contratti (oltre 800 al momento) e una percentuale non bassa di lavoratori sottopagati solleva questioni importanti sul funzionamento del sistema.

Un salario minimo per legge in Italia dovrebbe essere più basso nelle regioni del Sud?

È una questione che, fin dall’abolizione delle gabbie salariali, torna spesso anche rispetto ai contratti collettivi e che merita di essere valutata attentamente. Da una parte, permetterebbe di avere minimi più pertinenti nelle diverse aree del paese (non troppo alti al Sud, non troppo bassi al Nord). Però aumenterebbe la complessità del sistema. Non è poi detto che il calcolo del costo della vita per regione sia così semplice, tanto più che varia molto anche all’interno delle regioni. Solo i grandi paesi federali – come il Canada, Messico e gli Usa (e il Giappone) – hanno salari minimi legali che variano per regione. Li si ritrovano anche in altri grandi paesi emergenti, come Brasile, Cina e India. Ma in paesi comparabili con l’Italia, come la Germania (qualche eccezione temporanea fu prevista al momento dell’introduzione in alcuni settori) e la Spagna, pur di fronte a differenze regionali importanti, il salario minimo ha lo stesso valore su tutto il territorio nazionale.

Sono numerosi, invece, i paesi con minimi inferiori per i giovani (sotto i 18 o anche sotto i 25 come in Grecia) e gli apprendisti.

Tabella 2 – Differenziazione del minimo legale nei paesi Ocse

Fonte: Elaborazione a partire da Ocse, Employment Outlook 2015.

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