EFFETTO JOBS ACT: COSA DICONO I DATI

Uno studio scientifico mostra che la riforma del 2015 ha effettivamente causato un aumento rilevante delle assunzioni stabili, e un aumento pari dei licenziamenti; ma in numeri assoluti le prime sono molte di più dei secondi (la frequenza dei licenziamenti rimane intorno all’1,4 per cento annuo rispetto al totale degli occupati)

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Articolo di Tito Boeri e Pietro Garibaldi pubblicato sul sito
lavoce.info il 27 marzo 2018 – In argomento v. anche l’articolo di Andrea Ichino, Quanto hanno pesato gli sgravi e quanto la nuova disciplina dei licenziamenti sulle assunzioni stabili     .
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Studio scientifico sul Jobs act

Il Jobs act italiano è quell’insieme di politiche per il lavoro approvato dal governo Renzi a fine 2014. I principali interventi di politica economica sono due: l’introduzione del contratto a tutele crescenti per i nuovi assunti a tempo indeterminato e una forte decontribuzione fiscale (fino a 24 mila euro in tre anni) per ogni assunto a tempo indeterminato per i successivi tre anni.

il prof. Pietro Garibaldi

Degli effetti degli interventi sul mercato del lavoro si è molto parlato in questi anni e molto rumore si è fatto in campagna elettorale. A livello aggregato, il periodo del Jobs act (2015-2016 e 2017) è stato un triennio con notevole crescita degli occupati. Secondo l’Istat tra il 2015 e il 2017 sono aumentati di circa 800 mila unità. Molti osservatori hanno notato che nel 2017 la crescita degli occupati è però avvenuta principalmente grazie ai posti di lavoro a tempo determinato, saliti in un anno di 340 mila unità.

Gli effetti del contratto a tutele crescenti su assunzioni e licenziamenti, più che la decontribuzione per le nuove assunzioni, possono essere studiati e identificati in modo rigoroso. In effetti, il nuovo contratto a tutele crescenti ha reso più flessibili le assunzioni e i licenziamenti delle imprese con più di 15 addetti, mentre ha lasciato pressoché invariati i costi di licenziamento per le imprese sotto questa soglia.

Un recente studio disponibile sul sito dell’Inps ha utilizzato le basi amministrative dell’Istituto di previdenza per analizzare gli effetti del nuovo contratto tra il 2015 e il 2017. Lo studio ha selezionato tutte le imprese che tra gennaio 2013 e dicembre 2016 sono entrate almeno una volta nel corridoio tra 10 e 20 addetti. Si tratta di circa 220 mila imprese. Sono poi state seguite le carriere lavorative di tutti i 6,2 milioni di lavoratori che hanno lavorato in queste imprese, in modo da analizzare un data-base con più di 250 milioni di osservazioni.

Gli effetti del nuovo contratto sono scientificamente identificabili dal momento che oltre alla differenza tra imprese sopra e sotto la soglia, si può anche distinguere il comportamento delle aziende prima e dopo il 7 marzo 2015, il giorno in cui il contratto a tutele crescenti è stato introdotto in Italia. Il metodo delle “differenze delle differenze” è internazionalmente e scientificamente riconosciuto come un approccio rigoroso e naturale alla valutazione delle politiche economiche

Effetti su nuovi contratti e licenziamenti

I risultati dello studio sono i seguenti. Innanzitutto, la mobilità delle imprese intorno alla soglia è aumentata. Il numero di quelle che supera la soglia dei 15 addetti è passato da 10 mila al mese prima della riforma a circa 12 mila al mese nei 15 mesi dopo la sua introduzione, anche se i passaggi di soglia dopo il dicembre 2016 – quando la decontribuzione è stata fortemente ridotta – hanno subito una sensibile decelerazione.

il prof. Tito Boeri, presidente dell’Inps

La parte scientificamente più rigorosa riguarda però gli effetti del nuovo contratto sulle assunzioni e sui licenziamenti a tempo indeterminato con i nuovi contratti. Lo studio mostra che le imprese sopra la soglia (quelle che indubbiamente operano con maggior flessibilità) hanno aumentato le assunzioni a tempo indeterminato del 50 per cento in più rispetto alle imprese più piccole dopo marzo 2015. Le piccole imprese – va ricordato – non hanno subito alcun cambiamento sostanziale dal nuovo contratto. Inoltre, la decontribuzione non influisce sul risultato dal momento che si applica uniformemente sia alle piccole che alle grandi imprese.

Simili risultati e simili differenze tra piccole e grandi imprese si applicano anche alle conversioni di contratti a termine in contratti a tutele crescenti.

Quando lo studio guarda ai licenziamenti, il risultato è molto simile e viene evidenziato un aumento dei licenziamenti di circa il 50 per cento tra le imprese più grandi rispetto alle piccole prima e dopo il marzo 2015.

Il nuovo contratto ha chiaramente reso più flessibile il mercato del lavoro e aumentato la mobilità di imprese e lavoratori. Per molti anni, Matteo Renzi ha sostenuto che il nuovo contratto avrebbe aumentato le assunzioni. Susanna Camusso diceva invece che sarebbero aumentati i licenziamenti. Avendo a disposizione le carriere lavorative di circa 6 milioni di lavoratori, sappiamo oggi in modo scientifico che avevano ragione entrambi su questo punto. Va peraltro ricordato che l’aumento di assunzioni del 50 per cento corrisponde a un numero molto più grande rispetto all’aumento dei licenziamenti del 50 per cento e che l’occupazione totale è aumentata nel triennio analizzato.

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