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DON MILANI E IL DONMILANISMO

“Non si può distinguere troppo tra don Milani e ‘donmilanismo’, se quest’ultimo molto spesso si è paradossalmente tradotto in una scuola che ha pensato di assolversi promuovendo anche chi non lo meritava”

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Lettera (pervenuta il 13 maggio 2018) di Giorgio Ragazzini, promotore e membro del “Gruppo di Firenze” [1], molto attivo per il miglioramento della scuola – Gli altri commenti, recensioni e documenti relativi a La casa nella pineta sono raccolti nella pagina web dedicata al libro [2]  
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Caro Professore,
ho letto il suo libro con piacere e molto interesse per la parziale comunanza di luoghi e persone, ma soprattutto per il suo ruolo di testimone e attore delle vicende politiche e sindacali degli ultimi cinquant’anni. Che, essendo io suo coetaneo, sono anche quelle a cui ho in qualche modo partecipato.
Al Forte dei Marmi, come tanti fiorentini, ho passato una parte delle vacanze estive da quando ero bambino al periodo universitario, per molti anni nella Villa Maria diventata dependance dell’Hotel Adam’s a Vittoria Apuana. I Torricelli sono stati amici di famiglia e i figli piccoli pazienti del mio babbo pediatra. Ci siamo frequentati soprattutto con Cecilia, una delle due gemelle. Piero Meucci è stato mio compagno di classe e di vacanze.
Don Milani mi affascinò molto quando lessi i suoi libri e la biografia di Neera Fallaci, ma ai miei occhi ha il torto di aver puntato troppo sulla colpevolizzazione degli interlocutori, per non parlare degli insegnanti.

Don Lorenzo Milani

A proposito dell’effetto che la Lettera ha avuto sulla scuola, non si può  quindi fare una distinzione troppo netta tra don Milani e “donmilanismo”, se quest’ultimo molto spesso si è paradossalmente tradotto in una scuola che ha pensato di assolversi promuovendo anche chi non era migliorato. Non potendo fare lezione a piccoli gruppi per 365 giorni all’anno per dodici ore al giorno, fare così è stato un modo quasi inevitabile di alleviare il senso di colpa. Questo naturalmente non toglie la salutare presa di coscienza che fu indotta dalla Lettera. Ma è classista anche una scuola che chiede e dà poco.
Non voglio farla troppo lunga, chissà quanti le scrivono. Aggiungo però che mi sono messo nei panni di Pietro ragazzo e ho pensato che non è stato giusto rivolgersi in quei termini a un tredicenne. Per fortuna suo padre ha saggiamente ridimensionato il peso che don Milani le aveva messo sulle spalle.
Spero di poter venire insieme agli altri mercoledì a Vie Nuove per la presentazione del suo libro. Nel frattempo la saluto molto cordialmente.
Giorgio Ragazzini

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