LA POLITICA DEL LAVORO E DEL WELFARE DEL GOVERNO M5S-LEGA

In materia di diritto del lavoro salta all’0cchio la prevedibile e prevista rinuncia a toccare il Jobs Act – Nella materia pensionistica e del contrasto alla povertà, le misure proposte presentano costi spropositati, che si raddoppierebbero per effetto dell’aumento che ne conseguirebbe degli interessi sul debito pubblico

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Commento punto per punto dei tre capitoli del programma di governo M5S-Lega su lavoro, welfare e pensioni, reso pubblico il 17 maggio 2018 (pp. 18-21 del dattiloscritto): le mie chiose sono evidenziate mediante il capoverso rientrato, il carattere corsivo e il colore azzurro – In argomento v. anche
Il non detto nel programma M5S sul lavoro   .
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13. LAVORO
Sul tema del lavoro appare di primaria importanza garantire una retribuzione equa al lavoratore in modo da assicurargli una vita e un lavoro dignitosi, in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità, in attuazione dei principi sanciti dall’articolo 36 della Costituzione. A tal fine si ritiene necessaria l’introduzione di una legge salario minimo orario che, per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva, stabilisca che ogni ora del lavoratore non possa essere retribuita al di sotto di una certa cifra. Similmente non potranno essere più gratuiti gli apprendistati per le libere professioni.

In questo capoverso la sola novità di qualche rilievo è costituita dalla previsione divieto del praticantato totalmente gratuito negli studi professionali. Invece l’istituzione del salario orario minimo per i settori non coperti da un contratto collettivo nazionale applicabile era già prevista, in forma di delega legislativa al Governo, nella legge n. 183/2014 (c.d. Jobs Act); sta di fatto, però, che la delega non è stata esercitata, a causa dell’opposizione congiunta di confederazioni sindacali maggiori e Confindustria.

Al fine di favorire una pronta ripresa dell’occupazione e liberare le imprese dal peso di oneri, spesso inutili e gravosi, occorre porre in essere da un lato una riduzione strutturale del cuneo contributivo e dall’altro una semplificazione, razionalizzazione e riduzione, anche attraverso la digitalizzazione, degli adempimenti burocratici connessi alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro che incidono pesantemente sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse dedicate.

La riduzione del “cuneo contributivo” è già stata disposta in modo strutturale e incisivo dalla legge di bilancio 2018 per i primi tre anni di lavoro dei giovani a tempo indeterminato, cumulabili con un precedente periodo di apprendistato. Una ulteriore riduzione graduale, questa volta a carattere universale, è prevista anche nel programma del Pd.

La cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile. La sua sostituzione con il c.d. «libretto famiglia» e con il «contratto di prestazione occasionale» ha soltanto reso più complesso il ricorso al lavoro accessorio, col rischio di un aumento del lavoro sommerso. Occorre pertanto porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un’apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio.

Anche questa è una previsione opportuna, mirata a correggere la drastica restrizione operata nell’aprile 2017 su iniziativa del Governo per evitare il referendum abrogativo dei “buoni lavoro” promosso dalla Cgil. Va osservato, però, che in quell’occasione il M5S non soltanto non prese posizione contro il referendum promosso dalla Cgil, ma consentì che diversi suoi parlamentari prendessero posizione a sostegno di esso.

Al fine di tutelare la sicurezza occupazionale e sociale, è importante lo sviluppo e il rafforzamento di politiche attive che facilitino l’occupazione, la ricollocazione ed adeguate misure di sostegno al reddito e di protezione sociale. Ciò potrà essere attuato anzitutto procedendo ad una profonda riforma e ad un potenziamento dei centri per l’impiego.

Capitolo programmatico di importanza fondamentale, presente anche nel programma del Pd (il quale, però, su questo terreno porta la grave responsabilità di aver lasciato che la parte della riforma del 2015 riguardante i servizi per l’impiego rimanesse pressoché totalmente inattuata.)

Luigi Di Maio e il prof. Pasquale Tridico

Particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà per costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro.

Capoverso condivisibile, ma formulato in modo troppo generico. Salta all’occhio la (prevedibile e prevista) rinuncia alla reintroduzione dell’articolo 18 St.lav. in materia di licenziamenti, proposta dal prof. Tridico, fino a poche settimane fa candidato in pectore del M5S alla guida del ministero del Lavoro (su quella proposta il M5S era profondamente diviso al proprio interno).

Favorire gli investimenti in imprese giovani, innovative e tecnologiche, significa scommettere sul futuro e valorizzare il merito e la ricerca. A tal fine appare necessaria anzitutto una profonda riorganizzazione della formazione finalizzata all’effettivo impiego e di qualità, che guardi non solo alla realtà odierna ma che investa sui settori del futuro al fine di adeguare il lavoro ai cambiamenti tecnologici e di offerta, attraverso processi di formazione continua dei lavoratori. Si dovrà inoltre favorire, nell’ambito delle scuole secondarie di secondo grado e dell’università, la nascita di nuove figure professionali idonee alle competenze richieste dalla quarta rivoluzione industriale ed in possesso degli opportuni profili, nonché prevedere misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi, quale presupposto per lo sviluppo di una strategia che miri alla più ampia diffusione delle tecnologie avanzate.

Al pari del precedente, questo capoverso è condivisibile, ma formulato in modo troppo generico. Salta all’occhio il silenzio sulla questione cruciale della rilevazione a tappeto dei tassi di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi: questa è la prima cosa concreta da fare, e non sarebbe difficile farla; ma incontra grandi resistenze negli apparati che gestiscono la formazione.

È necessario inoltre introdurre misure volte a garantire un’adeguata formazione secondaria superiore di tipo tecnico professionale, capace di assicurare ai nostri giovani l’accesso al mondo del lavoro e delle professioni manuali, tecniche e artigianali.

Al pari dei due precedenti, questo capoverso è condivisibile, ma formulato in modo troppo generico: chi mai potrebbe sostenere il contrario?

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16. PENSIONI. STOP LEGGE FORNERO

Elsa Fornero

Occorre provvedere all’abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cd. “Fornero”, stanziando 5 miliardi per agevolare l’uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse.

L’unico significato possibile dell’espressione “categorie ad oggi escluse” è “lavoratori non appartenenti alla categoria dei prestatori di lavoro usurante, per i quali è già prevista la possibilità di pensionamento anticipato. La previsione, dunque, è proprio quella dell’abrogazione della riforma Fornero del dicembre 2011. Senonché questa abrogazione costerebbe molto, molto di più di cinque miliardi l’anno. La previsione deve intendersi dunque nel senso dello stanziamento di cinque miliardi per consentire ai sessantenni di andare in pensione prima. A spese delle generazioni successive, sulle quali pesa già il carico enorme del debito pubblico italiano, accumulatosi soprattutto a causa di una spesa pensionistica scriteriata.

Daremo fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti.
Inoltre è necessario riordinare il sistema del welfare prevedendo la separazione tra previdenza e assistenza.

L’attuazione di questa previsione significherebbe che, per esempio, una persona che abbia incominciato a lavorare o a studiare all’Università a 18 anni, i cui eventuali periodi di sospensione dell’attività siano coperti da contribuzione previdenziale figurativa (come previsto da sempre per la Cassa integrazione, malattia, il trattamento di disoccupazione o di mobilità) o volontaria (come previsto per il periodo di studi universitari) potrebbe andare in pensione a 59 anni, anche avendo svolto un’attività sedentaria e non fisicamente faticosa. Ma questo, come già detto, oltre a deprimere ulteriormente il nostro tasso di occupazione nella fascia di età >60,  che è già patologicamente basso rispetto ai Paesi del centro e nord-Europa, costerebbe diverse decine di miliardi l’anno. Per non dire del costo indiretto costituito dall’aumento degli interessi sul nostro debito pubblico, conseguente al ritorno a un aumento incontrollato del debito pubblico, che potrebbe essere superiore rispetto al costo diretto della misura proposta.

Prorogheremo la misura sperimentale “opzione donna” che permette alle lavoratrici con 57-58 anni e 35 anni di contributi di andare in quiescenza subito, optando in toto per il regime contributivo. Prorogheremo tale misura sperimentale, utilizzando le risorse disponibili.

Vale a questo proposito la stessa considerazione di carattere finanziario svolta in riferimento ai due capoversi precedenti.

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18. REDDITO DI CITTADINANZA E PENSIONE DI CITTADINANZA
Reddito di cittadinanza
Il reddito di cittadinanza è una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirlo nella vita sociale e lavorativa del Paese. Garantisce la dignità̀ dell’individuo e funge da volano per esprimere le potenzialità lavorative del nostro Paese, favorendo la crescita occupazionale ed economica.
La misura si configura come uno strumento di sostegno al reddito per i cittadini italiani che versano in condizione di bisogno; l’ammontare dell’erogazione è stabilito in base alla soglia di rischio di povertà calcolata sia per il reddito che per il patrimonio. L’ammontare è fissato in 780,00 Euro mensili per persona singola, parametrato sulla base della scala OCSE per nuclei familiari più numerosi. A tal fine saranno stanziati 17 miliardi annui.

Va detto preliminarmente che, se è limitata alle persone in stato di bisogno e condizionata alla loro disponibilità ad attivarsi in funzione dell’inserimento nel tessuto produttivo, l’uso del termine “reddito di cittadinanza” è tecnicamente scorretto: questo termine indica infatti un sostegno del reddito incondizionato ed esteso a tutti, ricchi e poveri, occupati e disoccupati, per il solo fatto di essere cittadini. Ciò che viene proposto è invece un ampliamento della platea dei beneficiari a un quasi raddoppio quantitativo di un sussidio già in funzione in Italia: il Reddito di Inserimento (ReI). Così stando le cose, non si può non concordare su di un progetto di ampliamento e rafforzamento dello strumento specificamente destinato al contrasto alla povertà; ma occorrerebbe capire dove verranno trovati i 17 miliardi che si intendono stanziare. O nuove tasse (ma questo sembrerebbe escluso dal progetto della “flat tax”, pure presente nel programma di governo M5S-Lega), o forte aumento del debito pubblico (ma questo è certamente escluso dai vincoli europei).

Al fine di consentire il reinserimento del cittadino nel mondo del lavoro, l’erogazione del reddito di cittadinanza presuppone un impegno attivo del beneficiario che dovrà aderire alle offerte di lavoro provenienti dai centri dell’impiego (massimo tre proposte nell’arco temporale di due anni), con decadenza dal beneficio in caso di rifiuto allo svolgimento dell’attività lavorativa richiesta.
La misura si basa su due direttrici guida che sono da un lato la tipologia di professionalità del lavoratore in questione e dall’altro la sinergia con la strategia di crescita economica mirata all’obiettivo della piena occupazione, innescata dalle politiche industriali volte a riconvertire i settori produttivi, così da sviluppare la necessaria innovazione per raggiungere uno sviluppo di qualità.
Tale percorso prevede un investimento di 2 miliardi di euro per la riorganizzazione e il potenziamento dei centri per l’impiego che fungeranno da catalizzatore e riconversione lavorativa dei lavoratori che si trovano momentaneamente in stato di disoccupazione.

La pianificazione di un potenziamento generale di tutti i centri per l’impiego sul territorio nazionale è finalizzata a: incrementare la presenza, efficienza e qualità dei servizi per l’impiego; identificare e definire idonei standard di prestazione dei servizi da erogare; adeguare i livelli formativi del personale operante.

La previsione di un robusto investimento sulle politiche attive del lavoro costituisce di per sé un fatto positivo. Ma qui il problema più difficile da risolvere non sta nel reperimento dei fondi necessari, bensì nel difetto di capacità di implementazione pratica, sul piano della funzionalità concreta dei servizi. Su questo punto il programma M5S-Lega non dice nulla.

Andrà avviato un dialogo nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8-0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe l’utilizzo del 20% della dotazione complessiva del Fondo Sociale Europeo (FSE) per istituire un reddito di cittadinanza anche in Italia (unico paese europeo oltre la Grecia a non prevedere tale misura), anche invitando la Commissione europea a monitorare specificamente l’utilizzo del FSE per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

Pensione di cittadinanza
È necessario assegnare una pensione di cittadinanza a chi vive sotto la soglia minima di povertà.
La nostra proposta è rappresentata da un’integrazione per un pensionato che ha un assegno inferiore ai 780,00 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza.

Questa misura comporta un aumento del 50 per cento circa delle pensioni minime, il cui costo sarebbe di molti miliardi. Valgono in proposito le osservazioni di natura finanziaria esposte in riferimento alla proposta del reddito di cittadinanza.

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