IL NEO-MINISTRO DI MAIO E IL JOBS ACT

Ha parlato di “abrogazione”, anche se di questo non c’è traccia nel “contratto” M5S-Lega; ma sa, il neo-ministro, che con il termine “Jobs Act” si indica un insieme di otto decreti legislativi, ciascuno dedicato a una materia diversa? Non sarebbe meglio dargli un’occhiata prima di parlarne in pubblico?

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Intervista a cura di Fabio Paluccio, pubblicata dall’Agenzia di stampa
ADN Kronos il 4 maggio 2018 – In argomento v. anche La politica del lavoro e del welfare del Governo M5S-Lega   .
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Il neo-ministro Di Maio ha annunciato  di voler mettere mano al Jobs Act per diminuire la precarietà. Secondo lei è necessario, e se sì, in che modo si potrebbe intervenire?
Il ministro Di Maio, appena entrato in carica, ha parlato di “abrogazione del Jobs Act”; ma sa, il ministro, che con questa espressione si indica un insieme di otto decreti legislativi, ciascuno dedicato a una materia diversa, dal trattamento di disoccupazione ai servizi per l’impiego, dalla Cassa integrazione ai servizi ispettivi, dalla materia dei licenziamenti al collocamento dei disabili? Se il ministro Di Maio si riferisce a uno o più di questi decreti, sarebbe bene che se li studiasse con attenzione prima di preannunciarne l’abrogazione, della quale peraltro non c’è traccia nel contratto di programma M5S-Lega. Se invece, come mi sembra di avere capito, quando parla di combattere la precarietà si riferisce all’alto numero di nuovi contratti a termine, questa non è materia della riforma del 2015, bensì del decreto Poletti del 2014. Ridurre da 36 a 24 mesi il periodo massimo di lavoro a termine alle dipendenze da una stessa impresa, e da cinque a quattro o tre il numero massimo delle proroghe nell’ambito del periodo massimo, è una scelta che considero da tempo opportuna; ma temo che non possa produrre un effetto molto rilevante. Quanto alla materia dei licenziamenti, per il caso in cui il neo-ministro si riferisca a questa, va detto che la probabilità di essere licenziati è rimasta la stessa prima e dopo la riforma del 2015, come prima e dopo la legge Fornero del 2012: non è davvero sensato imputare né al Jobs Act né alla legge Fornero un aumento della precarietà del lavoro.

Altro tema caldo è quello riders. A suo parere come si potrebbe intervenire?
Il primo passo può consistere nell’applicare ai lavoratori delle piattaforme online, indipendentemente dalla loro qualificazione come autonomi o subordinati, soltanto sulla base della tecnologia utilizzata, un primo nucleo di protezione essenziale: per esempio uno standard retributivo minimo, le assicurazioni antinfortunistica e pensionistica, l’obbligo di trasparenza dell’algoritmo che governa l’incontro fra domande e offerte di lavoro. Per questo basterebbe obbligare le imprese titolari delle piattaforme a corrispondere le retribuzioni attraverso la piattaforma istituita presso l’Inps per il lavoro occasionale. Poi, alcune protezioni ulteriori potrebbero essere gradatamente applicate ai rapporti caratterizzati da una maggiore estensione temporale nell’arco della settimana o del mese, e ancor più a quelli che hanno i caratteri del tempo pieno e della monocommittenza. Ma, secondo i dati forniti dall’Inps a Trento sabato scorso al Festival dell’Economia, questi ultimi costituiscono soltanto una piccola frazione rispetto al totale del lavoro mediante piattaforma che viene svolto oggi in Italia.

 

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