IL PASTICCIO DELL’EMENDAMENTO “SALVA-CAI”, CHE NON SALVA NULLA

IL GOVERNO PRESENTA UN EMENDAMENTO COL QUALE PRETENDE DI SOTTRARRE L’ACQUISTO CAI/ALITALIA ALLA DISCIPLINA GENERALE DEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA. MA – COME SI DICE A MILANO – L’E’ PESG EL TACON DEL BUS

           20 novembre 2008: è in discussione il d.d.l. n. 1152/2008, di conversione in legge del decreto-legge 23 ottobre 2008 n. 162, “recante interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi  di materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell’autotrasporto, dell’agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8”. Nulla che abbia la benché minima attinenza con le attività di trasporto aereo, né in particolare con la vicenda Alitalia. Ma il Governo all’ultimo momento, in corso d’opera, presenta un emendamento, n. 3.0.1, che testualmente recita:
Dopo l’articolo 3, inserire il seguente:
Art. 3-bis (Disposizioni in tema di imprese in amministrazione straordinaria)
All’articolo 56 del decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 [nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della L. 30 luglio 1998 n. 274] è aggiunto il seguente:
“3-bis. Le operazioni di cui ai commi 1 e 2 [“cessione dei complessi aziendali”] effettuate in attuazione dell’articolo 27 non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile”.
          L’intendimento è dichiarato: evitare che i dipendenti di Alitalia che non verranno assunti da CAI possano rivendicare – a norma dell’articolo 2112 c.c., appunto, e sul presupposto che possa ravvisarsi nell’intera operazione un trasferimento di ramo d’azienda – il passaggio automatico alle dipendenze della Compagnia acquirente. Ma, a dispetto di quel patetico comunque piazzato al centro dell’emendamento, sul piano giuridico l’operazione legislativa non sta in piedi: possiamo fare tutti i pasticci che vogliamo sul piano del nostro diritto nazionale interno; ma non possiamo certo cambiare l’ordinamento comunitario; il quale, con la direttiva n. 23 del 2001 (testo unico delle direttive precedenti, risalenti fino al 1977) detta una definizione precisa del trasferimento di azienda o di ramo di azienda e vi riconnette effetti precisi.
          E’ ben vero che la direttiva consente una deroga alla disciplina generale nell’ambito di “una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga, aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente”; ma è lo stesso Commissario straordinario Augusto Fantozzi a dichiarare che “La procedura non ha … perseguito un’ottica liquidatoria, ma la cessione in un’ottica unitaria al fine di garantire la continuità del servizio e l’occupazione” (La  Repubblica, 23 novembre 2008, p. 17); allora, dov’è la pretesa discontinuità aziendale?
          E poi: è ben vero che tra le deroghe ammesse dalla direttiva comunitaria si annoverano quelle che, a seguito di accordo collettivo, possono comportare “modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa”; ma non è affatto pacifico che la deroga possa riguardare la continuità dei rapporti di lavoro (v. in proposito l’ultima edizione del manuale di M. Roccella e T. Treu,  Diritto del lavoro della Comunità europea, Cedam, 2007, pp. 356-358). In un altro caso – analogo, per questo aspetto, a quello di Alitalia – la Corte di Giustizia ha affermato che la direttiva si applica anche “allorché, nell’ambito di un complesso di leggi come quelle che disciplinano l’amministrazione staordinaria delle grandi imprese in crisi, il proseguimento dell’attività dell’impresa è stato deciso e finché quest’ultima decisione rimane in vigore” (sentenza 25 luglio 1991, nella causa C-362/89, D’Urso c. Ercole Marelli).
           In ogni caso, perché si possa applicare una deroga alla disciplina comunitaria in materia di trasferimento d’azienda, occorre preliminarmente riconoscere che di trasferimento di azienda effettivamente si tratta, e dettare di conseguenza la disciplina derogatoria. Nel nostro caso, invece, sia le parti (CAI e Alitalia) nel contratto che stanno per stipulare, sia il legislatore italiano con questo emendamento, pretendono di negare che si tratti di trasferimento d’azienda (salvo essere, le une e l’altro, smentiti pubblicamente dallo stesso Commissario straordinario, come si è appena visto).
           Contro il pasticcio giuridico contenuto nell’emendamento del Governo, che oltretutto avrebbe effetti estesi ben al di là del caso Alitalia, nella seduta del Senato del 20 novembre il Senatore Legnini ha svolto la dichiarazione di voto contrario del Gruppo PD. Per rafforzare con alcune notazioni tecniche gli argomenti da lui portati e sottolineare la gravità dell’errore insito in questo emendamento, ho chiesto di intervenire anch’io sullo stesso punto (poiché il regolamento del Senato non consente al membro di un Gruppo di chiedere di intervenire dopo che un altro membro abbia svolto la dichiarazione di voto del Gruppo stesso, a meno che il richiedente preannunci un voto in dissenso, ho dovuto fare ricorso all’artificio di preannunciare un mio voto di astensione: che peraltro, al Senato, viene computato nello scrutinio finale come voto contrario).
          Il relatore non se ne è dato per inteso: anzi, ha difeso l’emendamento adducendo non meglio precisate esigenze costituzionali. E – come si vede dal resoconto che segue – la maggioranza gli è andata dietro: non un solo voto contrario o di astensione tra i 141 senatori presenti in Aula.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DEL 20 NOVEMBRE 2008

[omissis]

ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso – ancorché puramente formale – dal mio Gruppo.

PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.

ICHINO (PD). Signora Presidente, preannuncio che mi asterrò dal voto per rafforzare con questa dichiarazione il rifiuto del PD di partecipare all’ennesimo pasticcio giuridico che si sta compiendo in questa vicenda Alitalia. Ricordo ai colleghi della maggioranza che è in vigore una direttiva europea la quale definisce e regola in modo molto rigoroso il trasferimento d’azienda, o di ramo d’azienda. Rispetto a questa direttiva e in generale all’ordinamento comunitario il legislatore nazionale non ha la potestà di stabilire che cosa è trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda e cosa non lo è, come invece pretende di fare il Governo con questo emendamento che ci viene proposto. Se l’acquisto che Cai si sta accingendo a compiere è effettivamente o non è un trasferimento d’azienda, non possiamo stabilirlo noi: è materia riservata al giudice comunitario, la Corte di Giustizia di Lussemburgo, la quale non applica ovviamente la norma nazionale italiana ma la definizione e i criteri fissati dalla direttiva. E le decisioni della Corte di Giustizia sono vincolanti per il giudice nazionale.

L’operazione che stiamo compiendo è dunque probabilmente destinata a essere ignorata dalla Corte di giustizia. In ogni caso questa operazione non salverà l’operazione CAI-Alitalia dalla censura in sede comunitaria, se la Corte di Giustizia applicherà gli stessi criteri applicati in passato, per esempio nel caso Marelli deciso nel 1991. Ma sul piano comunitario l’operazione stessa non sarà soltanto irrilevante: essa farà anche danno, perché costituirà una sorta di excusatio non petita, un tentativo di trarsi d’impaccio così maldestro da complicare ulteriormente le cose. Stiamo attenti a non aggravare i danni in questa vicenda, nella quale già tante forzature sono state compiute.

Chi ha ispirato questo emendamento è evidentemente convinto di una sorta di onnipotenza giuridica del legislatore nazionale. È bene avvertirlo che le cose non stanno così: l’ordinamento comunitario gli nega il potere di facere de albo nigrum, di negare l’evidenza (Applausi dai Gruppi PD e IdV).

 

[omissis]

 

CICOLANI, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CICOLANI, relatore. Signor Presidente, vorrei semplicemente chiarire che l’emendamento in titolo è chiesto dal Governo. Nel corso dell’esame dello stesso da parte della nostra Commissione, alcuni aspetti sono stati analizzati e posti all’attenzione del Governo, il quale ritiene però che questa posizione debba essere confermata anche per profili di costituzionalità. Chiediamo pertanto di votare l’emendamento 3.0.1 nell’attuale formulazione.

INCOSTANTE (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

INCOSTANTE (PD). Chiediamo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dalla senatrice Incostante, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).

Votazione nominale con scrutinio simultaneo

PRESIDENTE. Indìco pertanto la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell’emendamento 3.0.1, presentato dalla Commissione.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Proclamo il risultato della votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico:

Senatori presenti

247

Senatori votanti

243

Maggioranza

122

Favorevoli

141

Contrari

101

Astenuti

1

Il Senato approva.

 

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