MARCHIONNE, IL SINDACATO E I GIUDICI

L’INNOVAZIONE E’ L’UNICO MODO IN CUI SI PUO’ AUMENTARE STABILMENTE LA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E LE RETRIBUZIONI DEI LAVORATORI; E SOVENTE L’INNOVAZIONE RICHIEDE DEROGHE RISPETTO AI VECCHI STANDARD NAZIONALI – IL SISTEMA ITALIA RESTERA’ CHIUSO AI PIANI INDUSTRIALI INNOVATIVI DELLE MULTINAZIONALI FINCHE’ NON REGOLEREMO MEGLIO LA MATERIA DELLE CLAUSOLE DI TREGUA E LE CONDIZIONI DI VALIDITA’ DELLA CONTRATTAZIONE AZIENDALE IN DEROGA RISPETTO AL CONTRATTO NAZIONALE

Intervista a cura di Paolo Griseri, pubblicata su la Repubblica il 12 agosto 2010  – A seguito della pubblicazione dell’intervista con un titolo scorretto, ho scritto al Direttore del quotidiano la lettera riportata di seguito all’articolo (questa è stata pubblicata il 15 agosto, ma solo in parte: è stato tagliato l’ultimo capoverso, qui evidenziato in blu)

Si aspettava che la Fiat di Marchionne potesse essere condannata per comportamento antisindacale?
Sono cose che accadono anche nelle migliori famiglie. Del resto, la Fiat avrebbe potuto anche vincere la causa: il giudice ha ritenuto, in via provvisoria, il licenziamento ingiustificato solo perché ha considerato che l’istruttoria sommaria non avesse dimostrato il dolo dei lavoratori, cioè la loro volontà di ostruire il flusso dei carrelli automatici. Con questo, lo stesso giudice avverte che, se invece nel giudizio di merito quella volontà risultasse dimostrata, il licenziamento potrebbe essere convalidato.

Il Lingotto chiede ai sindacati la certezza che il ciclo produttivo si possa svolgere senza interruzioni. E’ possibile in una democrazia occidentale avere questa certezza?
Certo che sì: proprio a questo serve la clausola di tregua sindacale, che in quasi tutti gli altri Paesi occidentali vincola non soltanto il sindacato stipulante, ma anche i singoli lavoratori cui il contratto si applica. Se Italia questa regola non vale, non è perché lo stabilisca la legge, ma perché nella nostra cultura giuslavoristica prevale ancora un’idea vecchia. Molti giuslavoristi, comunque, non la condividono più.

Quale idea?
Quella secondo cui il contratto collettivo non può disporre del diritto del singolo lavoratore di aderire in qualsiasi momento a qualsiasi sciopero, anche se proclamato da un comitato che rappresenta lo 0,1 per cento dei lavoratori. E’ l’idea della “conflittualità permanente”, i cui fasti si sono celebrati negli anni ’70, e che oggi in Italia è praticata ancora soltanto nel settore dei trasporti e in quello metalmeccanico. Dobbiamo chiederci se ci conviene continuare a difendere questa peculiarità del sistema italiano di relazioni industriali. La sfida di Marchionne ha il merito di farci toccare con mano quanto questa idea possa essere costosa per il Paese e per i lavoratori in primo luogo.
In questi giorni i tecnici di Federmeccanica stanno preprando un’ipotesi di contratto nazionale del solo settore auto. La considera una strada praticabile?
Mi sembra una scelta non solo praticabile, ma anche auspicabile, Oggi il contratto nazionale dei metalmeccanici si applica ad aziende diversissime, dal settore aerospaziale alle aziende che producono chiodi o posate da tavola, dalle fonderie alle case di software. E, nella sua parte normativa, quel contratto è rimasto fermo al 1972, quando non c’erano ancora i computer e Internet, ma neppure i fax e le fotocopiatrici.

Quali sono gli attuali  diritti dei lavoratori che una nuova normativa contrattuale nelle fabbriche potrebbe modificare e quali invece quelli che, a suo parere, sono intoccabili?
Di regola, il contratto collettivo può disporre di tutto ma non di diritti o standard di trattamento garantiti ai lavoratori da una legge.

Nel caso dell’accordo di Pomigliano questi diritti sono stati  toccati?
No. Si può rifiutare quell’accordo perché non lo si ritiene abbastanza vantaggioso per i lavoratori, ma non perché esso violi la legge, né nella parte sulle punte di assenza per malattia, né nella parte sulla tregua sindacale.

Ma deroga al contratto nazionale del settore.
Questo è il problema: nel nostro sistema attuale non sono chiari i requisiti e le condizioni per la validità della contrattazione al livello aziendale di deroghe rispetto al contratto nazionale. Questo è un grave difetto del sistema, che dobbiamo correggere al più presto, se non vogliamo che le divisioni tra i sindacati paralizzino la sperimentazione di piani industriali innovativi. Non dimentichiamo che l’innovazione è l’unico modo in cui si può aumentare la produttività del lavoro e quindi anche le retribuzioni.

 

DIRITTO DI SCIOPERO E CLAUSOLA DI TREGUA (*)
Caro Direttore, giovedì scorso Repubblica ha pubblicato una mia intervista sulle relazioni sindacali alla Fiat, nel cui titolo mi veniva attribuita fra virgolette questa frase: “Il diritto di sciopero deve essere limitato dagli accordi sindacali”. Questa affermazione – giuridicamente scorretta – non soltanto non è mia, ma è contraddetta da quello che ho detto all’intervistatore e che è stato riportato in modo esatto nel testo dell’intervista. Un titolo corretto sarebbe stato semmai: “Il sindacato deve poter stipulare clausole di tregua efficaci”. E’ evidente la differenza che corre tra limitare un diritto attribuito ai lavoratori e al sindacato dalla Costituzione (cosa che il contratto collettivo non può certo fare) e disporre, caso per caso, di quel diritto, in funzione di uno scambio negoziale. Allo stesso modo, nessun contratto collettivo può limitare, in linea generale, il mio diritto di andare a spasso o al cinema quando voglio; ma è utile e necessario – nel mio stesso interesse – che il contratto collettivo da cui il mio rapporto di lavoro è regolato possa disporre del mio tempo, entro i limiti di legge, negoziando una determinata estensione e collocazione del lavoro nell’arco della giornata e della settimana, in cambio di una adeguata retribuzione.

Se non comprendiamo questa distinzione, ci condanniamo a non comprendere neppure quello che Marchionne ci chiede – e ci chiede qualsiasi altra impresa multinazionale – per collocare in Italia i suoi investimenti: non “una limitazione del diritto di sciopero”, ma “una clausola di tregua efficace”, come quella che sono in grado di offrire quasi tutti i sistemi di relazioni industriali degli altri Paesi dell’occidente industrializzato. Impedire al sindacato di negoziare efficacemente la clausola di tregua significa privarlo della principale moneta di scambio di cui può disporre al tavolo delle trattative; e, in definitiva, indebolire tutti i lavoratori che il sindacato stesso rappresenta, ridurre le loro opportunità di occupazione e di reddito.

Cordialmente

      Pietro Ichino

 (*) Il capoverso evidenziato in blu è stato tagliato nella pubblicazione su la Repubblica, 15 agosto 2010

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