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PROGETTO SACCONI PER LO “STATUTO DEI LAVORI”: LA MONTAGNA HA PARTORITO UN TOPOLINO

DOPO DUE ANNI E MEZZO DI ANNUNCI, FINALMENTE VIENE PUBBLICATA UNA PRIMA BOZZA DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO PER LO “STATUTO DEI LAVORI” – MA IL PROGETTO, CONTENUTO IN DUE STRIMINZITI ARTICOLI, APPARE AFFRETTATO, GENERICO E GRAVEMENTE LACUNOSO; COL RISCHIO, QUINDI, CHE ALLA PROVA DEI FATTI ESSO RISULTI VELLEITARIO

Primo commento a caldo, 15 novembre 2010 – E’ disponibile su questo sito il testo del disegno di legge [1] sottoposto dal ministro alle associazioni imprenditoriali e sindacali l’11 novembre 2010

A un anno esatto dalla presentazione in Senato del “Progetto semplificazione” (d.d.l.  11 novembre 2009 n. 1872 e 1873), due fatti importanti segnano un’accelerazione del cammino della riforma del nostro diritto del lavoro: l’inserimento di quel progetto in una mozione approvata dal Senato a larghissima maggioranza [2] mercoledì scorso, che impegna il Governo a varare un Codice del lavoro semplificato; e la pubblicazione, il giorno dopo, da parte del ministro del lavoro Sacconi di una bozza di legge-delega “per la predisposizione di uno Statuto dei lavori” [1].
Su due punti mi sembra che il progetto di Sacconi vada nella stessa direzione del mio disegno di legge n. 1873/2009 (cui fa riferimento esplicito la mozione approvata a larghissima maggioranza dal Senato il 10 novembre scorso [2], che impegna il Governo a varare un Codice del Lavoro semplificato). Il primo è la definizione di un campo di applicazione del nucleo centrale del diritto del lavoro esteso a tutto il lavoro “dipendente”, comprese le collaborazioni autonome in situazione di monocommittenza. La definizione che propongo io della “dipendenza” è più precisa, ma è evidente che facciamo riferimento allo stesso concetto; e questo è un passo avanti che non  può essere sottovalutato. Il secondo punto di convergenza è la necessità di una semplificazione e riordinamento radicale della disciplina del rapporto di lavoro: da qui in avanti nessun progetto di riforma potrà eludere la necessità di confrontarsi con questo obiettivo.
Mi sembra, però, che il progetto dia indicazioni troppo generiche, non definisca le scelte necessarie di tecnica normativa, né le soluzioni concrete sulle singole questioni calde.
Il disegno di legge indica l’obiettivo della riduzione della legislazione vigente “almeno del 50%”: mi sembra un obiettivo puramente quantitativo, riferito grossolanamente al volume della normativa in materia di lavoro, non al suo contenuto. La riforma del nostro diritto del lavoro pone questioni delicate, che possono essere risolte in molti modi diversi: si pensi, per esempio, alla materia dei licenziamenti, o a quella della Cassa integrazione. Il progetto del ministro consta di due articoli in tutto, due paginette, nelle quali si indica soltanto un auspicio di semplificazione e di flessibilizzazione, senza dire come le si devono perseguire.
L’idea centrale del progetto è quella di affidare alla contrattazione collettiva la possibilità di ridisciplinare, in deroga rispetto alla legge qualsiasi materia, fatto salvo “un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carte dei diritti fondamentali della Unione Europea”. Senonché, una delega legislativa di questo genere è inammissibile proprio per la sua assoluta genericità. Innanzitutto, il disegno di legge non chiarisce quale contratto collettivo può derogare alla legge: solo quello nazionale o anche quello aziendale? Non dice quale coalizione sindacale e a quali condizioni è abilitata a stipulare il contratto collettivo derogatorio. Non indica i criteri di misurazione della rappresentatività di quella coalizione. Non una parola sui limiti soggettivi di applicazione di quel contratto collettivo. E poi: per intervenire su questa materia occorrerebbe una modifica dell’articolo 39 della Costituzione; ma il disegno di legge se ne dimentica del tutto: non una parola su questo punto. Il che fa pensare che in realtà questo sia soltanto un manifesto di politica del lavoro, un po’ velleitario, ma non una vera proposta di legge, suscettibile di essere approvata davvero dal Parlamento.
L’idea di ampliare gli spazi della contrattazione collettiva, in sé, è giusta; ma per attuarla occorre ridefinire i confini tra legislazione e autonomia collettiva (come ho cercato di fare nel mio “progetto semplificazione”). Nel progetto Sacconi, invece, si delinea una cosa diversa: il modello del “sindacato-rubinetto”, che può, a sua discrezione, aprire o chiudere il flusso delle deroghe rispetto a quanto prevede la legge. Questo modello, oltretutto, viene proposto senza che vengano stabiliti neanche i requisiti di rappresentatività che il sindacato deve avere per svolgere questa funzione. Non mi sembra una buona idea. Comunque non è così che si realizza l’obiettivo di “restituire sovranità al sistema delle relazioni industriali” per la regolazione dei rapporti di lavoro.
In conclusione, mi sembra che… la montagna abbia partorito un topolino. Non occorrevano due anni e mezzo per stendere questo disegno di legge di due articoli, che enuncia in modo troppo generico, semplicistico e lacunoso la necessità di una drastica semplificazione e flessibilizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro. Per realizzare concretamente questo obbiettivo occorre sciogliere decine di questioni delicate e difficili: su questo terreno, il contributo di idee dato da questo progetto appare a dir poco evanescente.