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AVVENIRE: COME RIFORMARE LA RAPPRESENTANZA SINDACALE IN AZIENDA

SAREBBE AUSPICABILE CHE LE MAGGIORI CONFEDERAZIONI SINDACALI E IMPRENDITORIALI FIRMASSERO UN ACCORDO SULLE NUOVE REGOLE IN MATERIA DI RAPPRESENTANZA E CONTRATTAZIONE; MA SE QUESTO NON E’ POSSIBILE, SARA’ COMUNQUE NECESSARIA UNA LEGGE CHE STABILISCA CHIARAMENTE I DIRITTI DELLA COALIZIONE SINDACALE MAGGIORITARIA E DI QUELLA MINORITARIA

Intervista a cura di Francesco Riccardi pubblicata da l’Avvenire il 5 gennaio 2011

Il presidente della Repubblica, dopo il caso Fiat, chiede di mettere mano al diritto di rappresentanza. Come? Basta un accordo tra sindacati o serve anche una legge?
L’ideale sarebbe un accordo interconfederale firmato da tutte le maggiori confederazioni sindacali e imprenditoriali. Temo, però, che questo sia molto difficile da raggiungere, almeno a breve termine.

Perché? Non c’è già, fin dal maggio 2008, una piattaforma unitaria Cgil-Cisl-Uil sui criteri di misurazione della rappresentanza?
Sì, su quei criteri il consenso c’è. Ma il consenso manca sulla questione cruciale: cioè se alla coalizione sindacale maggioritaria si deve attribuire anche il potere di negoziare accordi aziendali che deroghino al contratto collettivo nazionale. La Cgil è nettamente contraria.

Un’intesa sindacale o la legge su quali pilastri dovrebbe basarsi?
La riforma deve riconoscere alla maggioranza sindacale e alla minoranza i rispettivi diritti, che oggi non sono loro riconosciuti chiaramente: alla maggioranza il diritto di negoziare contratti, compresa la clausola di tregua sindacale, che siano effettivamente vincolanti nei confronti di tutti i lavoratori; alla minoranza il diritto alla rappresentanza in azienda, anche nel caso in cui essa rifiuti di firmare il contratto. Questo è il contenuto del disegno di legge n. 1872 [1], che ho presentato con altri 54 senatori del Pd nel 2009, molto prima che scoppiasse il “caso Fiat”.

Andrà regolamentata anche la proclamazione degli scioperi, previsto sempre il referendum tra i lavoratori?
In tutti i maggiori Paesi dell’Occidente industrializzato, tranne la Francia, la clausola di tregua, cioè la rinuncia a proclamare lo sciopero contro il contratto, vincola tutti i lavoratori cui si applica il contratto stesso. Nella legislazione italiana su questo punto c’è una grave lacuna legislativa, che va colmata. Nell’interesse di tutti: perché un sindacato che al tavolo delle trattative non può spendere validamente ed efficacemente la moneta di scambio della tregua è privo di potere contrattuale.

Come giudica l’accordo raggiunto alla Fiat?
Complessivamente è un accordo più che accettabile. La parte che mi piace meno è quella sulla rappresentanza sindacale in azienda, che esclude la Fiom come sindacato non firmatario. La disposizione, però, è perfettamente legittima: ricalca quanto prevede oggi l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori. Per questo ritengo che su questa materia sia urgente una riforma.

Il ministro Sacconi dice che “è finito il tempo del rigido controllo sociale della produzione”. Cosa ne pensa?
Io sono un fautore della scommessa comune tra lavoratori e imprenditore sul piano industriale innovativo. Ma la scommessa comune implica partecipazione, quindi trasparenza e piena informazione dei lavoratori sull’attuazione del piano.

Napolitano ha posto anche l’accento sulla questione della produttività da recuperare e sui giovani come priorità. Quali interventi si possono immaginare a riguardo?
Per aumentare la produttività occorre innovazione: quindi, ancora una volta, apertura agli investimenti stranieri, che portano piani industriali innovativi. Quanto ai giovani, è urgente una riforma del diritto del lavoro capace di superare l’attuale regime di apartheid, che li discrimina. I lettori di Avvenire conoscono bene le mie proposte su questo punto.