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REPUBBLICA: MARCHIONNE E LA SINISTRA

IN QUESTO NOSTRO PAESE DRAMMATICAMENTE CHIUSO AGLI INVESTIMENTI STRANIERI, VOGLIAMO DAVVERO CHIUDERE LA PORTA ANCHE A MARCHIONNE? ACCOGLIERE LA SUA RICHIESTA DI ALLINEARE IL NOSTRO SISTEMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI ALLO STANDARD INTERNAZIONALE PUÒ LANCIARE UN MESSAGGIO DI APERTURA ANCHE AD ALTRE GRANDI MULTINAZIONALI

Intervista a cura di Roberto Mania, pubblicata da la Repubblica il 5 gennaio 2011

Le intese per gli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori ledono alcuni diritti dei lavoratori?
No: non contrastano con alcuna norma di legge, né tanto meno con la Costituzione. Derogano, per alcuni aspetti molto marginali, rispetto al contratto collettivo nazionale; questo sì.

Ma il contratto nazionale non è fatto, appunto, per garantire ai lavoratori dei diritti?
È fatto per delineare un assetto-standard dei rapporti di lavoro di un settore. Ma una coalizione sindacale sorretta dalla maggioranza dei lavoratori di un’azienda deve poter contrattare anche assetti diversi, se ritiene che, nella situazione data questo sia vantaggioso.

Una scelta vantaggiosa con deroghe peggiorative?
La deroga sugli straordinari e sulle pause porta a lavorare di più e a guadagnare di più: è meglio questo, o è meglio la regola nazionale? Deve poterlo decidere la maggioranza dei lavoratori interessati. Lo stesso vale per le misure contro l’assenteismo abusivo.

Rischiare di essere licenziati per aver scioperato contro l’accordo non limita l’esercizio di un diritto?
In tutti i Paesi dell’occidente industrializzato, tranne la sola Francia, la clausola di tregua sindacale vincola tutti i lavoratori cui il contratto collettivo si applica. D’altra parte, un sindacato che non possa spendere la moneta della tregua al tavolo delle trattative ha ben poco da offrire alla controparte.

Ma in Italia fino a oggi la clausola di tregua ha vincolato solo il sindacato che la stipula e non i singoli lavoratori.
Sì, ma questo non è stabilito da alcuna legge: è solo un vecchio orientamento dottrinale non più sostenuto dalla maggior parte dei giuslavoristi italiani: il modello della conflittualità permanente ha fatto il suo tempo.

Cofferati sostiene che il Pd non può stare con Marchionne. Lei con chi sta, con la Fiom o con Marchionne?
Non si tratta di “stare con Marchionne” o “con la Fiom”, ma di chiedersi: in questo nostro Paese drammaticamente chiuso agli investimenti stranieri, vogliamo davvero chiudere la porta anche a Marchionne? E poi, accogliere la sua richiesta di allineare il nostro sistema delle relazioni industriali allo standard internazionale può lanciare un messaggio di apertura anche ad altre grandi multinazionali.

Lei considera questi due accordi separati una sconfitta anche per la sinistra?
No. Ma guardi che anche chi a sinistra li rifiuta non lo fa per il loro contenuto attuale, lo fa per la paura del “piano inclinato”: “si sa dove si incomincia, ma non dove si va a finire”. Chi la pensa così non si rende conto che quello del “piano inclinato” è l’argomento principale a sostegno di tutti i peggiori conservatorismi.

Nelle newco della Fiat non ci saranno più delegati sindacali della Fiom perché i metalmeccanici della Cgil non hanno firmato gli accordi. Le sembra una soluzione democratica?
È quanto prevede oggi l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. Con altri 54 senatori del Pd ho presentato già nel 2009 un disegno di legge – n. 1872 [1]– per riformare questa materia, garantendo il diritto alla rappresentanza in azienda, ma senza poteri di veto, anche al sindacato minoritario che non firma.

Secondo lei il governo dovrebbe presentare una legge sulla rappresentanza sindacale?
Non occorre: c’è già il nostro.

In un contesto come l’attuale di divisioni sindacali è realistico immaginare che la soluzione arrivi attraverso un accordo tra le parti sociali?
Mi sembra molto difficile, perché c’è un dissenso profondo tra le confederazioni maggiori sulla questione cruciale: se la coalizione sindacale maggioritaria abbia il potere di negoziare anche in deroga rispetto al contratto nazionale.