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LA RISPOSTA DI CECCANTI ALL’APPELLO DI MICROMEGA

IL SENATORE PD CONFUTA ALCUNI PASSAGGI DELL’APPELLO DI UN GRUPPO DI INTELLETTUALI A SOSTEGNO DELLE POSIZIONI DELLA FIOM NELLA VERTENZA FIAT

Lettera di Stefano Ceccanti, senatore Pd, alla rivista Micromega, gennaio 2011, a seguito dell’appello [1]di Andrea Camilleri, Margherita Hack e altri pubblicato su quella rivista

Gentile Direttore,
non condivido nel merito il suo appello. In estrema sintesi condivido il giudizio di Bruno Manghi su “Repubblica” di stamani secondo cui “il maggiore attentato ai diritti è quello di chiudere le fabbriche, non di fare accordi come quello di Mirafiori“.
Ma questo è, come giusto, altamente opinabile. Ognuno motiva, si schiera, con passione, competenza, voglia di spiegarsi con le migliori intenzioni personali, e, da questo punto di vista, raccolgo il suo gentile invito a rispondere indipendentemente dalla posizione di merito.
Quello che non è opinabile è invece il vigente art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero la legge 20 maggio 1970, n. 300 (che consente oggi di avere accesso alla rappresentanza solo a chi firma accordi; il diritto di associazione sindacale all’interno dei luoghi di lavoro resta pienamente garantito per tutti dal precedente art. 15) e, soprattutto, la sua provenienza.
Fino al referendum cosiddetto “minimale”, che passò col 62,1% (cosiddetto quesito “rappresentanze sindacali 1”) su tale articolo potevano accedere alla rappresentanza anche i sindacati “maggiormente rappresentativi”, il caso in cui rientrerebbe oggi la Fiom.
Contrariamente a quanto spesso si crede quel quesito non era di paternità radicale (i radicali avevano presentato un quesito “massimale”, cosiddetto quesito “rappresentanze sindacali 2”, che avrebbe eliminato anche il criterio della firma dei contratti, si fermò al 49,97% di Sì), ma da alcuni settori dell’estrema sinistra, in parte coincidenti con coloro che oggi appoggiano la Fiom. Presidente del comitato era non a caso Paolo Cagna Ninchi, vicino a Rifondazione Comunista.
Tra coloro che oggi protestano c’è quindi qualcuno che allora fece un autogol che viene pagato oggi, a meno di non ricorrere alla cosiddetta “firma tecnica”. L’esclusione dipende non da Marchionne, ma da chi scrisse i quesiti senza prevedere le conseguenze e da chi aderì a quel Comitato.
E’ incostituzionale l’art. 19 vigente, così come modificato dal referendum? Secondo la Corte costituzionale, no.
Lo ha detto quattro volte: sentenza 244/1996; ordinanze 345/1996, 148/1997 e 76/1998.
Questo è il passaggio-chiave della prima sentenza, leggibile per intero all’indirizzo web [2], una volta dati i parametri dell’anno e della sentenza.
Secondo l’art. 19, pur nella versione risultante dalla prova referendaria, la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro, espresso in forma pattizia, ma è una qualità giuridica attribuita dalla legge alle associazioni sindacali che abbiano stipulato contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) applicati nell’unità produttiva. L’esigenza di oggettività del criterio legale di selezione comporta un’interpretazione rigorosa della fattispecie dell’art. 19, tale da far coincidere il criterio con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale. Non è perciò sufficiente la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto; nemmeno è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva.
L’art. 19 “valorizza l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva” (sentenza n. 492 del 1995) quale indicatore di rappresentatività già apprezzato dalla sentenza n. 54 del 1974 come “non attribuibile arbitrariamente o artificialmente, ma sempre direttamente conseguibile e realizzabile da ogni associazione sindacale in base a propri atti concreti e oggettivamente accertabili dal giudice”. Respinto dalla volontà popolare il principio della rappresentatività presunta sotteso all’abrogata lettera a), l’avere tenuto fermo, come unico indice giuridicamente rilevante di rappresentatività effettiva, il criterio della lettera b), esteso però all’intera gamma della contrattazione collettiva, si giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalità pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione della forza di un sindacato, e di riflesso della sua rappresentatività, tipicamente proprio dell’ordinamento sindacale.
Tuttavia, pur essendo l’art. 19 costituzionale, si può prevedere un aggiornamento legislativo che consenta l’accesso alla rappresentanza (non un diritto di veto) anche a chi non firma. Certamente sì ed è quanto previsto dal ddl Senato n. 1872 [3], primo firmatario i collega Ichino, dell’11 novembre 2009, che si può leggere qui.
Cari saluti,
Stefano Ceccanti