- Pietro Ichino - https://www.pietroichino.it -

BOERI: DOPO IL REFERENDUM TUTTI DEVONO RIMBOCCARSI LE MANICHE E CAMBIARE QUALCHE COSA

IL NOSTRO SISTEMA DI RELAZIONI INDUSTRIALI FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI: COPRE SEMPRE MENO LAVORATORI, INTERVIENE SEMPRE PIÙ IN RITARDO E ACCENTUA, ANZICHÉ GESTIRE, I CONFLITTI – SENZA UNA RAPIDA RIFORMA NON E’ PENSABILE CHE LA TANTO AUSPICATA “NUOVA ERA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI” DIVENTI REALTA’

Testo integrale di un articolo di Tito Boeri che la Repubblica ha pubblicato il 16 gennaio 2011 con alcuni tagli


Invece dell’accordo storico abbiamo avuto un disaccordo senza precedenti. Non sarà facile governare gli impianti a Mirafiori con il 50 per cento di operai favorevoli e il 50 per cento di contrari. Sarà una sfida in più per Marchionne. Sembra quasi che se la sia cercata con i suoi toni scontrosi, inutilmente polemici. Singolare atteggiamento per chi dovrebbe motivare dal primo all’ultimo dipendente al raggiungimento di obiettivi molto ambiziosi. Meglio, comunque, sospendere il giudizio sull’operato di Marchionne. Ci sono stati troppi premi e celebrazioni e troppi processi sommari in questi giorni. I manager vanno giudicati dai risultati e non dalle intenzioni. Potremo fra due o tre anni fare un bilancio della sua gestione. Nel frattempo, bene che gli azionisti rivedano gli schemi di remunerazione del management in modo tale da incentivare il raggiungimento di obiettivi di lungo periodo. Bene anche che il governo si schieri a favore del paese, anziché della Fiat o di questo o quel sindacato, spingendo affinché tra questi obiettivi di lungo periodo ci sia anche la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali in Italia senza ulteriori aiuti di Stato (a parte la Cassa Integrazione già prevista durante la ristrutturazione degli impianti a Mirafiori), incrementi salariali per i lavoratori in linea con i miglioramenti di produttività (la nuova organizzazione del lavoro porterà a produrre circa 50 autovetture in più a turno) e, soprattutto, il mantenimento a Torino del cuore delle fasi di progettazione, quelle in grado di avere ricadute produttive sull’intero sistema produttivo.
Il referendum a Mirafiori è stato salutato dal nostro Ministro del Lavoro come una nuova era nelle relazioni industriali. Ci sembra invece che dimostri, una volta di più, che va riformato in tempi rapidi. Il nostro sistema di relazioni industriali fa acqua da tutte le parti: copre sempre meno lavoratori, interviene sempre più in ritardo e accentua, anziché gestire, i conflitti come si è visto a Mirafiori, contribuendo non poco a tenere bassa la produttività, dunque i salari. Costringe a creare una nuova azienda e ad uscire dalle associazioni di categoria per fare contrattazione a livello decentrato, diventa così ancora meno governabile. Le riforme più urgenti riguardano le regole sulle rappresentanze sindacali, i livelli della contrattazione, la copertura delle piccole imprese, i minimi inderogabili e i confini fra contrattazione collettiva e politica. Vediamole una per una.
Sulle rappresentanze si è già scritto. Nel confronto su Mirafiori la frattura tra i sindacati si è ulteriormente accentuata. Occorrono regole che permettano la contrattazione – il che significa prendere impegni con la controparte e rispettarli – anche quando il sindacato è diviso. E che non condizionino come a Mirafiori la rappresentanza dei lavoratori alla firma del contratto. A proposito: è fin troppo evidente che a Mirafiori non si può non concedere rappresentanza, nel senso di diritto a permessi e accesso ai locali sindacali, a quel 50 per cento che ha votato contro.
I livelli della contrattazione. Nelle aspre polemiche di questi giorni, i sindacati si sono rinfacciati di avere sottoscritto accordi ben più onerosi per i lavoratori in altre imprese. Alla Sandretto la Fiom (non la Fim!) ha firmato per deroghe al ribasso dei minimi salariali fissati dal contratto nazionale, pur di salvaguardare i livelli occupazionali, quando l’impresa era in amministrazione straordinaria. Alla STM, alla Micron e alla Exside, Fim, Fiom e Uilm hanno accettato turni che impongono il lavoro notturno molto più di frequente e con maggiorazioni salariali inferiori a quelle previste alla Fiat. E ci sono molte piccole e medie imprese nel metalmeccanico (e anche grandi imprese nel siderurgico come la Tenaris) in cui si accettano condizioni di lavoro ancora più pesanti in quanto a turni e pause. Non c’è nulla di male se un sindacato accetta queste condizioni in un’azienda e non in un’altra. Può farlo perché i lavoratori hanno preferenze diverse, perché le caratteristiche delle mansioni sono differenti, perché le condizioni del mercato e il potere contrattuale dei lavoratori cambiano a seconda dell’impresa e delle condizioni del mercato del lavoro locale. Tutto questo dovrebbe suggerire maggiore cautela a chi commenta accordi come quelli di Mirafiori con toni apodittici, descrivendoli come una ”emancipazione dell’economia dai vincoli democratici” e una “vittoria della Fiat sul Paese”. Ma soprattutto dimostra che c’è bisogno di contrattazione azienda per azienda. E’ l’unica che permetta al sindacato di salvaguardare posti di lavoro in aziende in difficoltà o di rinunciare ad aumenti salariali per fare assumere più lavoratori. A livello nazionale si può solo contrattare sui salari, non sui livelli occupazionali. Chi si oppone al rafforzamento del secondo livello della contrattazione, rinuncia di fatto a tutelare i posti di lavoro.
La contrattazione aziendale è difficile in aziende medio-piccole. Dove non si svolge la contrattazione di secondo livello, non potrà che continuare a valere il contratto nazionale. Oltre a dare copertura contro l’inflazione bene che questo fissi delle regole retributive più che dei livelli salariali uniformi da imporre in realtà tra di loro molto differenziate. Ad esempio, si può stabilire che una quota minima dell’incremento della redditività di un’azienda sia trasferita ai lavoratori sottoforma di maggiorazione salariale.
Un sindacato che continua a lasciare da soli i lavoratori delle piccole imprese nel loro tentativo di partecipare agli incrementi di produttività non ha futuro nella stragrande maggioranza delle imprese italiane. Come evidenziato anche dalla composizione del voto a Mirafiori (il turno di notte, che otterrà maggiori incrementi retributivi, ma anche i più forti aggravi del carico di lavoro, ha votato a larga maggioranza a favore del sì, al contrario degli altri reparti) oggi molti lavoratori italiani sono disposti a lavorare di più e in condizioni più pesanti pur di guadagnare di più. Non sorprende data la stagnazione dei salari negli ultimi 15 anni.
Questo ci porta ai minimi inderogabili. Bene definirli con precisione e preoccuparsi di farli rispettare per tutti, non solo per chi è sotto i riflettori dei media. Ci vogliono dei minimi al di sotto dei quali nessun contratto – collettivo o individuale – può scendere. Devono essere per forza di cosa essere fissati per legge e valere per tutti, anche per chi lavora nel sindacato, nei partiti o nel volontariato. Ci vuole un salario minimo orario. Ma ci vogliono anche un’assicurazioni sociale di base, a partire da quella contro la disoccupazione. Sorprendente che la retorica sui diritti fondamentali violati non tenga conto che gli 800.000 precari che hanno perso il lavoro dall’inizio della recessione non abbiano ricevuto alcun sostegno al loro reddito.
Infine i confini tra contrattazione e politica. Troppi politici hanno perso in queste settimane un’ottima occasione per stare zitti, pronunciandosi a favore o contro l’accordo Mirafiori, come se questa scelta riguardasse loro e non invece i lavoratori di Mirafiori e le loro famiglie. E’ una ingerenza fastidiosa, inaccettabile, e hanno fatto bene i leader confederali a denunciarla. Ma bisogna ammettere che troppe volte è proprio il sindacato a chiamare in causa la politica. Lo ha fatto anche a Mirafiori. Bene che si smetta di farlo. Come tutti sanno, la politica non si fa certo pregare quando si tratta di invadere terreni su cui non dovrebbe avere alcuna voce in capitolo.