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INTERVISTA A CURA DI UN GIOVANE DEMOCRATICO SULLA FIAT E SUL PD

UN GRANDE PARTITO DI CENTROSINISTRA “A VOCAZIONE MAGGIORITARIA”, QUALE IL PD VUOLE E DEVE ESSERE, DEVE SAPER OSPITARE AL SUO INTERNO ANCHE MINORANZE DI SINISTRA CHE LA PENSANO COME VENDOLA – MA SE QUEL MODO DI PENSARE DIVENTASSE IN QUALCHE MODO DOMINANTE NEL PARTITO VORREBBE DIRE CHE LA VOCAZIONE MAGGIORITARIA È STATA SOSTITUITA DA UNA VOCAZIONE MINORITARIA

Intervista a cura di Andrea Mollica, responsabile dei giovani Pd di Varese, pubblicata su Giornalettismo [1] il 27 gennaio 2011

Lei ha detto che il vero problema del caso Fiat sono i mancati investimenti stranieri diretti. Ma è solo il nostro diritto del lavoro la causa del mancato arrivo?
No: le cause sono molte e di vario genere: in particolare, il difetto di efficienza delle amministrazioni pubbliche e delle infrastrutture, l’alto costo dei servizi alle imprese dovuto a difetto di concorrenza nei rispettivi mercati, la mancanza di una cultura della legalità diffusa. Ma tra le cause della chiusura del nostro Paese agli investimenti stranieri c’è anche la vischiosità e inconcludenza del nostro sistema delle relazioni industriali. E io ci aggiungo l’ipertrofia, la complicatezza e la non traducibilità in inglese della nostra legislazione di fonte nazionale in materia di rapporto di lavoro.

A sinistra è forte l’opinione sui contratti Fiat che infrangono la legge ed addirittura la Costituzione.
La vera questione non sta in un contrasto tra quei contratti e il nostro ordinamento: la vera questione sta nel fatto che essi derogano al contratto collettivo nazionale. Questo è il vero tabù che è stato violato.

Perché lei è radicalmente contrario a chi sostiene la tesi della sostanziale intangibilità del CCNL?
“Radicalmente” è forse un avverbio eccessivo. Ma mi sembra che chi sostiene quella tesi confonda il ruolo del contratto collettivo con quello della legge. Solo la legge ha la funzione di sancire diritti tendenzialmente stabili nel tempo e uguali per tutti; il contratto, invece, serve proprio per consentire una modulazione del regolamento in esso contenuto, in relazione alle circostanze e ad equilibri di interessi che mutano nel tempo.

Il dibattito sul contratto Fiat mostra l’arretratezza delle relazioni industriali del nostro Paese. Bisogna dare più autonomia alle parti sociali o nuove regole legislative?
Occorrono entrambe le cose. L’autonomia contrattuale ha bisogno, per potersi espandere al massimo, di una buona cornice di regole semplici, non intrusive e stabili nel tempo.

Il caso Fiom Fiat ha mostrato un posizionamento incerto della nuova segretaria Camusso, prima distaccatasi dalla Fiom, poi invece l’ha seguita.
Probabilmente c’è un po’ di tattica in questo comportamento. Ma, conoscendo Susanna Camusso da trent’anni, non dispero che riesca a tirare fuori la Cgil dal vicolo cieco in cui si è cacciata.

Da tesserato Cgil lei pensa che la sua organizzazione possa esprimere una maggioranza riformista?
Certo che sì! Una larga maggioranza degli iscritti percepisce la necessità di uno svecchiamento della cultura sindacale e industriale della Cgil.

Si sente isolato nella sua battaglia politico culturale di innovare il centrosinistra lavoro? Ha notato un progresso o un arretramento dalla sua discesa in campo in politica, a partire dalla mancata attenzione ai veri scandali del mondo del lavoro, finte partite Iva in testa?
Isolato proprio no: i miei due disegni di legge più importanti, quelli per il nuovo Codice del lavoro semplificato, sono stati firmati dalla maggioranza dei senatori del Pd e sono stati fatti propri dal Movimento Democratico di Veltroni. Il 10 novembre scorso, poi, il Senato ha votato a larghissima maggioranza una mozione che impegna il Governo a varare un nuovo Codice del lavoro semplificato [2] modellato proprio sul disegno di legge n. 1873 [3]. E sono quotidianamente assediato dai giornalisti che mi chiedono interviste, mediamente una al giorno; e dalle federazioni e i circoli del Pd di tutta Italia che mi chiedono di organizzare incontri pubblici con me: dall’inizio della legislatura ne ho fatti quasi trecento. Tre anni fa, quando accettai la candidatura al Senato, non speravo certo di arrivare a tanto in così breve tempo.

Lei è tra le personalità più prestigiose candidate da Veltroni nel 2008. Da allora è cambiato molto, e parecchie persone hanno abbandonato il PD. Come valuta la segreteria Bersani, troppo poco riformista secondo lei come sostengono alcuni dei suoi critici?
Il Pd ha difficoltà a esprimere scelte chiare e nette sulle questioni cruciali: c’è indubbiamente, per questo aspetto, un difetto di leadership, che però non è certo imputabile soltanto a Bersani. D’alta parte, dobbiamo anche abituarci all’idea di un grande partito nel quale convivono molte anime, molte componenti. E poi è ancora un partito molto giovane, che deve ancora farsi un po’ le ossa ed esprimere un nuovo gruppo dirigente. Certo, sarebbe stato meglio che questo processo di maturazione fosse stato più rapido. Ma l’impazienza, in politica, è cattiva consigliera.

Vendola ha parlato di schiavismo riferendosi a Marchionne. Un’alleanza con il suo partito è compatibile con un centrosinistra riformista?
Un grande partito di centrosinistra “a vocazione maggioritaria”, quale il Pd vuole e deve essere, deve essere capace di ospitare al suo interno anche minoranze di sinistra che la pensano come Vendola. Ma se quel modo di pensare diventasse in qualche modo dominante nel partito, vorrebbe dire che la vocazione maggioritaria è stata sostituita da una vocazione minoritaria.

Le elezioni potrebbero essere a breve. Quali sono le sue priorità programmatiche per il programma del Pd?
I cinque punti enunciati da Veltroni [4]al Lingotto sabato scorso: abbattimento del debito dal 120 all’80 per cento del Pil in cinque anni; nuove relazioni industriali per favorire la scommessa comune di lavoratori e imprenditori sui piani industriali innovativi e l’apertura del nostro Paese agli investimenti stranieri; flexsecurity contro l’apartheid nel mercato del lavoro; detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile per produrre uno shock positivo sul tasso di occupazione femminile e un fisco più friendly verso il lavoro autonomo di nuova generazione; investimenti su istruzione, ricerca e bellezza del Paese.