- Pietro Ichino - https://www.pietroichino.it -

SE NON PER AMOR DI PATRIA, ALMENO PER INTERESSE – 2

LA PROPOSTA LANCIATA AL LINGOTTO E’ MOLTO PIU’ ARTICOLATA E LUNGIMIRANTE DI COME VIENE PRESENTATA DAI SUOI DETRATTORI – E PER QUEL DIECI PER CENTO PIU’ RICCO A CUI L’IMPOSTA STRAORDINARIA SI APPLICHEREBBE ESSA COSTITUIREBBE UNA POLIZZA DI ASSICURAZIONE CONTRO EVENTI ENORMEMENTE PIU’ COSTOSI

Editoriale per la Newsletter n. 137, 31 gennaio 2011, pubblicato anche sul Riformista del 1° febbraio 

Primo esercizio di fantasia (non difficile, purtroppo) – Marzo 2011: l’aggravarsi della crisi istituzionale italiana induce i mercati finanziari a perdere fiducia nella affidabilità del nostro debito pubblico. Ne consegue un aumento di un punto percentuale degli interessi che dobbiamo pagare sul debito stesso: circa 20 miliardi. Per evitare la catastrofe il Governo è costretto a far fronte con una manovra straordinaria per questo importo, che – stante l’urgenza – difficilmente può consistere in qualche cosa di diverso da un aumento dell’Iva, oppure da un’imposta patrimoniale. Manovra destinata a ripetersi l’anno prossimo se la crisi non sarà stata superata. Risultato: un salasso di 20 miliardi, per ritrovarci a fine anno, se tutto va bene, con lo stesso debito della fine del 2010. Ovvero: 20 miliardi letteralmente buttati via, col rischio di dover fare altrettanto l’anno prossimo.
Secondo esercizio di fantasia (questo un po’ più difficile, ma non irrealistico) – Marzo 2011: il nuovo Governo di responsabilità nazionale si presenta alle Camere con l’obiettivo prioritario di ridurre il debito pubblico  (oggi 1.838 miliardi di euro)  dal 120 all’80 per cento del PIL entro cinque anni.
Aprile 2011: appena insediato, il nuovo Governo presenta il disegno di legge costituzionale per il dimezzamento dei parlamentari. Inoltre avvia una grande campagna di dismissione del patrimonio immobiliare statale male utilizzato (un solo esempio: vendita dell’area del carcere di San Vittore nel centro di Milano, con metà dei proventi costruzione di due carceri con capienza doppia fuori città, l’altra metà destinata a riduzione del debito; stessa cosa per centinaia di carceri e caserme oggi dislocate nel centro delle città italiane).
Luglio 2011: il Governo presenta un progetto severissimo di spending review sul modello di quello già avviato dal Gabinetto Cameron in Gran Bretagna, che comporta il taglio selettivo del due per cento della spesa pubblica per ciascuno dei prossimi tre anni. Come primo provvedimento vengono disposti il passaggio delle competenze delle Province alle Regioni e l’unificazione degli uffici territoriali del Governo; viene avviato l’iter costituzionale per la soppressione di un costoso ente inutile centrale: il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
Ottobre 2011: il giorno dopo l’approvazione definitiva da parte del Parlamento della riforma costituzionale che dimezza il numero dei parlamentari con effetto dalla prossima legislatura, il Governo presenta la legge finanziaria per il 2012, che punta al rilancio della crescita con una drastica riduzione dell’Irpef sui redditi di lavoro femminile (con l’obiettivo di tirare dentro il mercato del lavoro quattro milioni di donne entro cinque anni) e dell’Irap gravante sulle imprese. Le riduzioni sono finanziate con un’imposta che va dallo 0,5 allo 0,3 per cento del patrimonio immobiliare del dieci per cento più ricco del Paese, per un totale di circa 20 miliardi. (1)
Dicembre 2011: per effetto delle misure adottate nel corso dell’anno, l’affidabilità del debito pubblico italiano si rafforza notevolmente, con la conseguenza che gli interessi sul debito stesso si riducono all’incirca di mezzo punto. Ne consegue un risparmio previsto, per il 2012, di altri 10 miliardi.
Dicembre 2012: per effetto delle misure adottate dal Governo di responsabilità nazionale, il debito pubblico si è ridotto complessivamente di 100 miliardi. Per mantenere l’obiettivo della riduzione complessiva dal 120 all’80 per cento del PIL in cinque anni basterà proseguire con rigore nel programma di valorizzazione del patrimonio pubblico e di spending review. E se gli interessi sul debito si ridurranno ulteriormente si potrà dimezzare la patrimoniale per il 2014 e non rinnovarla per il 2015.

Si dirà – anzi, è già stato detto da molti critici della proposta avanzata da Veltroni al lingotto il 22 gennaio scorso – che questo secondo esercizio di fantasia è irrealistico. Ma non basta forse il primo (considerato facilissimo da tutti gli osservatori qualificati) per convincere una larga maggioranza degli italiani che anche il secondo presenta una prospettiva molto interessante?
Gli argomenti contrari (da Alessandro Penati sulla Repubblica del 29 gennaio a Franco Debenedetti sul Foglio dello stesso giorno, a Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 30) si riferiscono a ipotesi di patrimoniale diverse da quella del Lingotto, non collegate alle prime due fasi della manovra ivi delineate; e le critiche si riducono essenzialmente a queste due affermazioni: a) la patrimoniale è la vecchia ricetta della sinistra statalista e spendacciona; b) la patrimoniale non colpisce davvero i più ricchi, perché la proprietà immobiliare, che è il solo cespite patrimoniale facilmente individuabile, non identifica con precisione i patrimoni maggiori. La prima obiezione cade se si considera la proposta del Lingotto in tutta la sua complessa articolazione. La seconda obiezione resta; ma non mi sembra di portata decisiva: è vero, i proprietari di azioni e obbligazioni avranno maggiori possibilità di sottrarsi; ma questo non basta per squalificare l’intero progetto; del resto, anche un’imposta sulle ville, i parchi e i castelli dei grandi proprietari, che in Francia si applica in via ordinaria da molti anni, sarà sempre un male minore rispetto al costo per tutti del plausibilissimo scenario che è oggetto del primo esercizio di fantasia qui proposto.

Ma a convincerci della necessità di battere questa strada c’è soprattutto un terzo esercizio di fantasia: immaginare lo scenario, niente affatto impossibile con questi chiari di luna, della bancarotta dello Stato provocata dalla perdita della fiducia nella sua solvibilità da parte dei mercati finanziari. Tutti sanno che, nei Paesi dove questo disastro si è verificato negli ultimi decenni, il valore degli immobili, delle azioni e delle obbligazioni si è ridotto enormemente: persino cinquanta o cento volte in più rispetto all’incidenza della patrimoniale di cui si è parlato al Lingotto. Forse, allora,  quella proposta è conveniente anche per il dieci per cento più ricco degli italiani: come una polizza di assicurazione contro una calamità non meno grave dell’incendio o dell’alluvione. Anche qui, se non per amor di Patria, almeno per una oculata gestione e protezione del portafoglio.

P.S. Sul Corriere della Sera di oggi, lunedì 31 gennaio, Silvio Berlusconi prende posizione in modo sprezzante contro questa proposta, sostenendo che essa impaurirebbe e paralizzerebbe i ceti medi e che comunque la sola cosa utile sarebbe una sferzata liberalizzatrice capace di rimettere in moto l’economia italiana. Ma la patrimoniale di cui stiamo parlando non riguarda i ceti medi, bensì soltanto la classe dei super-ricchi (il dieci per cento più facoltoso), cui appartiene lo stesso premier. Quanto alla “sferzata  liberalizzatrice”, essa è assai poco credibille, se viene annunciata dalla stessa maggioranza che sostiene il disegno di legge sul nuovo ordinamento dell’avvocatura (di cui proprio in questi giorni riparte l’esame alla Camera [1]): l’esatto contrario di una liberalizzazione. Sull’orlo del burrone di una crisi catastrofica, ci resta dunque soltanto il nostro colossale debito pubblico, che il premier non dice come intenda ridurre anche solo di un euro.

 

 _____________________
(1) La Banca d’Italia ha certificato di recente che il decimo più ricco della popolazione italiana – in termini di patrimonio – possiede quasi la metà (46 per cento) del patrimonio privato italiano. Alla fine del 2009, il patrimonio privato attivo ammontava complessivamente a circa 9.400 miliardi di euro; il 62,3% (5.883) era costituito da beni immobili, mentre il 37,7% era costituito da attività finanziarie. I debiti dei soggetti privati ammontavano invece al 9,1% delle attività complessive (860 miliardi di euro).