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I NODI DELL’APARTHEID VENGONO AL PETTINE

LA DIRETTIVA EUROPEA DEL 1999 SUL RAPPORTO DI LAVORO A TERMINE, CHE VIETA L’UTILIZZAZIONE DI QUESTO CONTRATTO COME STRUMENTO ORDINARIO DI ASSUNZIONE E IMPONE COMUNQUE LA PARITA’ DI TRATTAMENTO ECONOMICO E NORMATIVO TRA LAVORATORI A TERMINE E A TEMPO INDETERMINATO, E’ INCOMPATIBILE CON IL DUALISMO DEL NOSTRO MERCATO DEL LAVORO

Articolo pubblicato dal Corriere della Sera, nella rubrica Lettera sul lavoro, il 31 marzo 2011 – Sulla non inamovibilità degli insegnanti pubblici nella scuola statunitense v. in questo sito l’articolo di Antonio Funiciello, Pd, sulla valutazione della scuola prendi esempio da Obama [1]

Caro Direttore, la direttiva europea n. 70 del 1999 vieta agli Stati membri di consentire che il contratto a termine sia utilizzato come strumento ordinario di assunzione dei lavoratori; e impone comunque la parità di trattamento fra assunti a termine e assunti a tempo indeterminato. In applicazione di questa direttiva, il Tribunale di Genova ha condannato lo Stato italiano, che pratica come normale l’assunzione a termine dei nuovi insegnanti nella scuola e attribuisce loro un trattamento nettamente inferiore rispetto a quelli di ruolo. Il rischio per le esauste casse dello Stato è elevatissimo, perché i lavoratori di serie B o di serie C nella scuola sono oltre 150 mila. Come se ne esce?
                Per ottemperare alla direttiva europea occorrerebbe stabilizzare tutti quanti. Questo, però, alle condizioni attuali è impossibile: non solo perché costerebbe troppo, ma anche perché il rapporto di impiego “di ruolo” è troppo rigido per potersi applicare a tutti. Quei 150 mila precari oggi portano – da soli – tutto il peso della flessibilità di cui il sistema scolastico ha bisogno. Governo e sindacati stanno studiando la possibilità di stabilizzarne soltanto una parte; ma anche questo non risolverebbe nulla, perché la discriminazione vietata dal diritto europeo resterebbe in vita nei confronti dei moltissimi che rimarrebbero fuori.
                C’è un modo solo per uscirne: ridefinire la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per tutte le nuove assunzioni che avverranno d’ora in poi, in modo che essa possa applicarsi davvero a tutti, senza portare con sé costi eccessivi e in modo che la flessibilità necessaria sia ripartita in modo uguale su tutti: solo questo può evitare una grandine di ricorsi giudiziali destinati a moltiplicare per centomila gli effetti della sentenza di Genova. In altre parole: il vincolo posto dal diritto europeo ci obbliga – se vogliamo evitare la bancarotta dello Stato – a una riforma profonda del rapporto di impiego nella scuola, che superi l’attuale apartheid fra insegnanti di ruolo e insegnanti di serie B o C. D’ora in poi, tutti a tempo indeterminato, ma nessuno inamovibile. E non è difficile prevedere che lo stesso discorso finirà per estendersi anche alle altre amministrazioni pubbliche, dove quello stesso apartheid è ormai pratica largamente consolidata: si calcola che i “precari permanenti” nel comparto pubblico siano oltre 500 mila.
                La direttiva europea, del resto, è vincolante anche per il comparto privato. Lo stesso identico problema è dunque destinato a riproporsi anche nel settore editoriale, in quello delle case di cura, e in molti altri dove ormai da un quarto di secolo è difficilissimo essere assunti con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dove l’apartheid tra protetti e non protetti è la norma. Se la questione è dappertutto la stessa, anche la soluzione deve essere la stessa: un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti destinati a costituirsi da qui in avanti. Se, poi, con l’occasione, saremo capaci anche di semplificarlo, sarà tanto di guadagnato per tutti.