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L’APARTHEID NEL SETTORE GIORNALISTICO

I DATI IMPRESSIONANTI SULLA FUGA DAL DIRITTO DEL LAVORO NEL SETTORE EDITORIALE E SULLE SUE CONSEGUENZE PER I LAVORATORI DI “SERIE B” E “C”: I DIPENDENTI REGOLARI SONO MENO DI UN TERZO DEL TOTALE E GUADAGNANO OTTO VOLTE PIÙ DI UN “COLLABORATORE CONTINUATIVO” E SETTE VOLTE PIÙ DI UN “PARTITA IVA”

Intervento svolto al Senato durante la seduta della Commissione Lavoro del 5 aprile 2011 dedicata all’audizione dei rappresentanti dei free lances del settore giornalistico, cui fa seguito la risposta di Antonella Benanzato, responsabile della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI [1]) per gli autonomi, che fornisce dati davvero impressionanti sul numero dei giornalisti regolari e “atipici” e le rispettive retribuzioni nella regione Veneto – Sarò in grado nei giorni prossimi di fornire gli stessi dati, di fonte INPGI, riferiti ai giornalisti regolari e “atipici” di tutta Italia


[…]

ICHINO (PD). So bene che la domanda è di difficilissima risposta; se dunque mi direte che non siete in grado di rispondere non avrò nulla da eccepire. Può darsi però che dal vostro osservatorio possiate offrire un contributo per l’elaborazione di una risposta al quesito. Avete menzionato una serie di posizioni, nelle quali è agevole supporre che una larga porzione di attività non sia di lavoro autonomo, bensì di lavoro sostanzialmente assimilabile al lavoro del giornalista dipendente. Non sappiamo e non possiamo dire con precisione quale sia la percentuale; ma anche l’osservazione esterna ed empirica ci dice che spesso lavorano gomito a gomito il redattore dipendente regolare e l’altro lavoratore, che compie esattamente la stessa attività, ma in forma simulatamente autonoma.
Ipotizzando che una percentuale rilevante – c’è chi dice che si tratti addirittura dell’80 o del 90 per cento della categoria a cui ci riferiamo – sia vittima di questa simulazione, si pone un problema di policy molto delicato: da un lato gli editori sostengono che se li si obbliga a trattare questi lavoratori da subordinati regolari, ne dovrebbero mandare a casa almeno due terzi, poiché non sono in grado di offrire a questo, che oggi è il loro polmone di flessibilità, gli stessi standard di stabilità, non possono sopportare i costi tipici del lavoro subordinato; altri sostengono, invece, che così non è e che si tratta semplicemente di applicare la legge in modo più rigoroso.
Vi chiedo dunque il vostro punto di vista al riguardo. Lo ripeto: nessuno ha in tasca delle certezze su questo punto, ma il dubbio che si pone, in definitiva, è se inviare gli ispettori e trasformare tutti questi rapporti in rapporti di lavoro regolare e subordinato o seguire altre strade. Vorrei conoscere la vostra posizione al riguardo.

BENANZATO. È evidente che l’osservazione del senatore Ichino è, come egli ha detto, empiricamente rilevante: è sotto gli occhi di tutti che un redattore assunto ai sensi dell’articolo 1 del contratto nazionale e un collaboratore spesso fanno lo stesso lavoro, soltanto che il redattore ai sensi dell’articolo 1 gode di tutele che il collaboratore non possiede, anche se svolge la stessa professione, con gli stessi rischi.

ICHINO (PD). Un redattore assunto a norma dell’articolo 1 costa tre o quattro volte di più!

BENANZATO. Si tenga presente che a volte il collaboratore corre dei rischi che il redattore assunto ai sensi dell’articolo 1 non corre, perché gode di tutele molto forti ed evidenti.
Per quel che riguarda il dubbio se mandare o meno gli ispettori per tentare di stabilizzare tutti i lavoratori, credo che in un mercato del lavoro come quello attuale sarebbe forse un po’ difficile ottenere questo risultato, anche se auspicabile. Probabilmente bisogna cercare delle soluzioni per rendere al lavoro autonomo la dignità di cui ha bisogno, prima di tutto dal punto di vista economico e previdenziale. È chiaro che il lavoro autonomo presuppone probabilmente un compenso superiore, perché non ha determinate forme di tutela.
Bisogna studiare questo aspetto. Negli altri Paesi europei, in Germania o in Gran Bretagna, la situazione del freelance non è quella che esiste in Italia, in cui costui deve vivere del magro compenso di cui abbiamo parlato in precedenza per ciascun pezzo. Occorre trovare una strada più dignitosa per chi svolge il lavoro autonomo.

[…]

BENANZATO. Presidente, desidero comunicare delle cifre riguardanti il Veneto: i giornalisti titolari di un rapporto di lavoro dipendente in Veneto sono 753; i giornalisti iscritti esclusivamente alla gestione separata (solitamente i collaboratori) sono 1.640; il reddito medio di un giornalista dipendente è di 59.445 euro l’anno; il reddito medio di un giornalista co.co.co. è di 7.489 euro l’anno; il reddito medio di un giornalista libero professionista è di 9.000 euro l’anno.
Vorrei far presente, proprio per sollevare l’argomento della previdenza per i giornalisti precari, che dai risultati dell’indagine condotta dalla LSDI (l’associazione per la libertà di stampa e il diritto all’informazione), pubblicati recentemente, risulta che le pensioni dei lavoratori autonomi (sempre con riferimento ai giornalisti), per il 63 per cento delle contribuzioni, ammontano a circa 500 euro lordi l’anno. Vi lascio calcolare a quanto possa ammontare la pensione mensile. Ciò avviene perché i lavoratori precari, o i collaboratori, non sono neanche in grado di pagare delle quote importanti di previdenza e, quindi, si ritrovano con delle pensioni al di sotto di quelle sociali, assolutamente irrisorie, che anzi rappresentano un costo per la stessa cassa dei giornalisti, dal momento che quasi non è conveniente erogare delle pensioni pari a 20 euro al mese. […]