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ADN KRONOS: PERCHE’ IL PROTOCOLLO GIUGNI DEL 1993 SULLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA È SUPERATO

IL MODELLO CENTRALISTICO COMPORTA L’ACCETTAZIONE DI UNA MOBILITÀ TRA AZIENDE DEBOLI E AZIENDE FORTI, CHE INVECE SISTEMATICAMENTE OSTACOLIAMO –  MA È COMUNQUE UN MODELLO CHE NON CONSENTE DI AFFRONTARE LE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE E DELLA PARTECIPAZIONE AL SISTEMA MONETARIO EUROPEO

Intervista a cura di Fabio Paluccio, in corso di pubblicazione su Adn-Kronos, giugno 2011 – In argomento, ultimamente su questo sito, leggi anche l’intervista per il Mattino del 6 giugno 2011 [1]

Professor Ichino, ieri il leader della Uil Luigi Angeletti ha annunciato che il suo sindacato è pronto a dire addio al protocollo del 1993. Dal canto suo la Cgil ha definito un “errore” questa eventualità. A suo parere l’accordo è ancora utile e valido, o è superato?
La fissazione di uno standard minimo inderogabile al livello nazionale avrebbe un senso se questa scelta centralistica fosse seguita con coerenza. La logica di questa scelta sta in questo: è bene che le aziende incapaci di rispettare lo standard chiudano e che i loro dipendenti si trasferiscano nelle aziende capaci di rispettarlo.

E invece?
Da noi quando un’azienda minaccia di chiudere i battenti perché non ce la fa, tutti si mobilitano per tenerla aperta a tutti i costi. Invece di predisporre un sistema che garantisca i lavoratori contro le perdite di reddito e di professionalità nel necessario passaggio da un’azienda a un’altra, si fanno carte false per evitare che essi debbano lasciare il vecchio posto: si attiva la Cassa integrazione anche quando non c’è alcuna prospettiva ragionevole di ripresa del lavoro nella stessa azienda, si invocano aiuti pubblici, si concedono deroghe allo standard. Ma il modello centralistico fondato sul protocollo del luglio 1993 sarebbe superato anche se i sindacati fossero più coerenti nella sua attuazione.

Perché?
Questo modello aveva come presupposto che allo stesso livello nazionale ci fosse un Governo capace di azionare leve di politica economica come la svalutazione della moneta, o gli aiuti di Stato a determinati comparti produttivi. Con la nostra entrata nel sistema monetario europeo, il Governo nazionale ha perso la disponibilità di entrambe quelle leve; e nel frattempo la globalizzazione dell’economia si è ulteriormente accentuata. Nel contesto attuale la dimensione di una singola nazione di 60 milioni di abitanti non ha più lo stesso significato che aveva quarant’anni fa; e la funzione del contratto collettivo nazionale non può più essere la stessa che gli era stata attribuita nel 1993, cioè quella di uno standard rigidamente inderogabile, sia sul piano del minimo retributivo, sia su quello della struttura delle retribuzioni, dell’organizzazione del lavoro, dell’inquadramento professionale, della distribuzione dei tempi di lavoro.

Cosa può significare questa scelta per la struttura della contrattazione collettiva?
La soluzione che ho proposto, insieme ad altri 54 senatori del Pd, con il d.d.l. n. 1872/2009 [2], e che ora sembra condivisa dalla Confindustria e dalla Uil, forse anche dalla Cisl (al di là delle dichiarazioni degli ultimi giorni), è quella che è attualmente sperimentata in Germania: il contratto nazionale resta la disciplina di default, che si applica quando manchi un contratto stipulato a un livello più vicino al luogo di lavoro da una coalizione maggiormente rappresentativa a quel livello. In altre parole, a determinate condizioni il contratto aziendale può integrare parzialmente o sostituire integralmente il contratto nazionale.

E per la rappresentanza sindacale?
La soluzione migliore è una proporzionalizzazione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori: i rappresentanti sindacali sono distribuiti tra i sindacati presenti in un’azienda in proporzione ai voti che ciascuno di essi ha conseguito in una consultazione triennale, oppure in proporzione a un indice composto per metà dal dato elettorale e per metà dal dato associativo, cioè dal numero delle iscrizioni.

Quale strada si dovrebbero intraprendere per realizzare un’eventuale nuova intesa?
La via maestra sarebbe un accordo interconfederale sottoscritto da tutte le associazioni sindacali e imprenditoriali maggiori. Ma se a questo non si arriva è comunque indispensabile una legge, che regoli la materia in via provvisoria e sussidiaria, con la clausola che la disciplina legislativa cederà il posto a quella collettiva se e quando un accordo interconfederale sarà in grado di sostituirla.